La repressione dell’esercito egiziano è stata dura e ha reclamato un alto numero di vittime, tuttavia il non agire avrebbe probabilmente portato l’Egitto guidato da Morsi verso scenari di conflitto, interno ed internazionale, dalla portata ben maggiore e che avrebbero causato non centinaia ma decine di migliaia di vittime.
La propensione alla guerra del governo Morsi era apparsa chiara fin dai primi mesi del suo mandato, quando di fronte all’operazione “Pillar of Defense” lanciata da Israele nella Striscia di Gaza egli aveva fato balenare la possibilità di un intervento egiziano a difesa di Hamas, successivamente poche settimane prima della sua destituzione Morsi aveva parlato esplicitamente della volontà di istituire una no Fly Zone in Siria avvalendosi delle capacità dell’aeronautica egiziana.
Di fronte a questi intendimenti e queste premesse i generali hanno deciso di agire, hanno atteso cinque settimane prima di intervenire con la forza e ogni giorno di ritardo ha aumentato il conto delle vittime.
Il ritardo nell’azione dei militari è da attribuirsi in prima istanza alle pressioni effettuate dalla Casa Bianca, ed in questo caso anche dal Congresso Americano, che per settimane ha cercato di evitare l’intervento dell’esercito senza fare pressioni sulla fratellanza mussulmana al fine di indurre il movimento islamico a lasciare le piazze e accettare una mediazione.
Forti del sostegno americano i Fratelli Mussulmani sono rimasti fermi sulle loro posizioni iniziali e non avrebbero accettato niente di meno rispetto alla liberazione di Morsi e al reinsediamento dello stesso Morsi alla presidenza dell’Egitto.
In queste condizioni l’esercito ha proceduto allo sgombero delle piazze, con l’inevitabile bagno di sangue.
A questo punto Obama in un discorso da Camp David, quello stesso Camp David che vide sorgere l’alleanza tra Stati Uniti ed Egitto, ha interrotto una collaborazione con il Cairo che durava da trent’anni. Lo ha fatto con un semplice discorso alla radio, un discorso durissimo che esclude l’Egitto dei generali dalla cerchia degli alleati dell’America.
Ora i generali egiziani sono spaventati, settecento militari americani sono presenti nel Sinai, altri 1600 sono pronti per qualsiasi evenienza nella base italiana di Sigonella, due portaerei nucleari americane con i loro gruppi di attacco sono nella zona di responsabilità della 5ª flotta, così come un gruppo da sbarco dei Marines. L’America mostra i muscoli in attesa di una riunione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che dovrà discutere la crisi in Egitto anche se non è chiaro che tipo di risoluzione gli stati membri saranno chiamati a votare.
In questo scenario di crescente ostilità occidentale contro i militari si profila sempre più concreta la possibilità di una alleanza strategica del Cairo con Mosca. Un’alleanza che consentirebbe all’Egitto di potersi avvalere del Veto russo in sede di Consiglio di Sicurezza, di potersi avvalere della tecnologia militare russa al posto delle non più disponibili armi americane. Un’alleanza che consentirebbe ai russi di poter accedere allo stato dell’arte della tecnologia bellica americana ora in mano agli egiziani e apprendere da essa molti particolari degli aerei, dei missili e dei blindati Made in Usa. Non meno importante la possibilità per i russi di poter accedere alla base navale di Alessandria, una base navale propriamente detta, non uno scalo di emergenza come Tartus in Siria, una base che permetterebbe alla Task Force navale russa in mediterraneo di operare in mediterraneo per un tempo indefinito.
Ma questa alleanza farebbe perdere il controllo del canale di Suez agli americani, nessun accordo proibirebbe agli egiziani (e ai russi) di impedire il transito del naviglio militare americano da Suez, fatto che si tradurrebbe in una logistica molto più complicata di quella attuale per la marina Usa e la divisione della flotta Pacifica da quella Atlantica.
È proprio Suez il fattore decisivo della crisi tra Stati Uniti ed Egitto. Sarà ai bordi del canale, non al Cairo, che si decideranno le sorti dell’Egitto dei generali.
Putin e la Russia non staranno a guardare, non perderanno l’occasione di avere il controllo di uno dei punti più strategici dell’intero pianeta.
Il controllo russo di Suez cambierebbe gli equilibri geopolitici mondiali, aumenterebbe in maniera significativa la forza russa sul piano militare e diplomatico.
Suez, non la Siria, non il piccolo caso Snowden, potrebbero riportare il mondo agli anni più difficili della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, una guerra fredda che vedrebbe confrontarsi un avvocato di Chicago e un analista del KGB. Secondo voi chi dei due sarà più a proprio agio in questa condizione e chi saprà prendere le decisioni migliori?
Noi una idea l’abbiamo, e voi?
Comment(3)
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La foto di Putin che avete messo riassume tutto: LIKE A BOSS!
Obama forse vuole qualche altro premio Nobel, o forse semplicemente dorme…
Se veramente si concretizzasse lo scenario che avete descritto sul canale di Suez cambierebbero molte cose… (in meglio o in peggio io non saprei dire)
Obama ed il congresso americano dimostrano una volta di più la loro impreparazione nel gestire le situazioni di crisi internazionale. Il rischio elevato è che dei dilettanti allo sbaraglio provochino con Suez una gravissima crisi, inoltre aver scelto come alleato la parte più fondamentalista e non la parte social-liberale della società egiziana lo ritengo allucinante.