Nel 1981 Saddam Hussein con la collaborazione della Francia stava costruendo sul territorio dell’Irak, nel cuore del paese, una struttura nucleare, ufficialmente un reattore di ricerca che però Israele temeva potesse essere usato per scopi militari, il suo nome era Osirak. Israele vedeva quel reattore come una minaccia diretta e cercò in molti modi di eliminarlo, sia con la diplomazia che con azioni di forza palesi oppure sotto traccia. I lavori presso il sito designato ad ospitare il reattore andavano avanti spediti dopo l’inizio nel 1979 nonostante un bombardamento da parte delle forze iraniane nel 1980 che però non ebbe un grande impatto sui lavori. La struttura era locata a soli 18 chilometri dalla capitale dell’ Irak e quindi era un bersaglio estremamente difficile da colpire vista la cura con la quale la difesa aerea di Saddam, seppur con la carenza di mezzi del periodo, cercava di difendere la capitale della nazione.
Vogliamo ripercorrere quegli eventi perchè a volte dal passato si possono trarre spunti interessanti con il presente.
All’epoca era primo ministro di Israele Menachem Begin, persona la cui vita è stata sempre segnata da sfide personali e comunitarie veramente ardue. Anche allora, così come oggi, non tutti in Israele erano convinti che attaccare il reattore sul suolo Iracheno fosse la cosa giusta da fare. I responsabili di allora dei servizi di intelligence e alcuni,non tutti, tra i capi militari, ritenevano l’azzardo troppo grande e sconsigliavano l’impresa. Anche gli americani non vedevano di buon occhio un attacco, sia perchè temevano conseguenze a livello delle nazioni confinanti con Israele, sia perchè al reattore era impegnata direttamente la Francia e maestranze Francesi si trovavano al lavoro sul reattore. La discussione tra i vertici del governo ebraico su lunga, ma quando il completamento del reattore era ormai in vista il gabinetto di sicurezza autorizzò l’azione, consci che poteva essere un grande successo oppure un fallimento che avrebbe esposti i piloti, lo stato e il governo a scenari inquietanti, come ad esempio la cattura di qualche pilota abbattuto e il suo eventuale ” processo ” in terra straniera.
Una sera d’estate inizio così l’ operazione Opera, che vide impiegati F-15 e F-16 i primi con compiti di scorta e probabilmente rifornimento in volo e i secondi nel ruolo di attacco, la formazione di aerei volò al confine tra Arabia Saudita e Giordania, dubitiamo fortemente che il regno Saudita ignorasse completamente che cosa stava avvenendo sopra il proprio deserto nord occidentale, ma in fondo era convenienza anche dei Sauditi eliminare quel reattore. Era interessa dei Sauditi eliminare quel reattore ieri, così come è interesse dei Sauditi ritardare la minaccia iraniana oggi. Compiuta la missione, senza perdite e distrutto il reattore gli aerei tornarono alle proprie basi. Che gli aerei passarono sopra il territorio saudita è una certezza, infatti nel deserto del Regno Wahabita furono ritrovati i serbatoi di carburante ormai vuoti abbandonati dagli aerei in missione. Il risultato fu la totale distruzione del reattore, lo stop del progetto nucleare di Saddam ma anche l’allontanamento della Francia da Israele, Francia che aveva sempre sostenuto che il reattore in questione era solo un reattore sperimentale. Ricordiamo inoltre che nell’attacco perse la vita un tecnico francese che lavorava al sito di costruzione e questo fece grande scalpore nell’opinione pubblica francese.
Ricapitoliamo quindi e parallelismi tra il passato e il presente:
Oggi come allora l’America non è favorevole “ufficialmente” all’attacco, i servizi informativi preferiscono la loro guerra a carte coperte, i sauditi premono perchè sia tagliata la testa del serpente, e se è vero che la distanza da attraversare per arrivare in Iran è il doppio di quella per arrivare a Baghdad, dobbiamo ricordare che lo spazio aereo dell’ Irak da ieri è praticamente un’autostrada per chiunque voglia passare, l’antiaerea non esiste, l’aviazione ha solo qualche turboelica da addestramento e gli americani non hanno più ne un aereo ne un radar, quindi chi vorrà potrà passare ufficialmente sopra l’Irak anche se in realtà, forse, passerà qualche centinaio di chilometri più a sud, su un deserto che da tanti anni ha imparato a mantenere i segreti dei popoli che lo abitano e dei Re che lo governano.