Per la rubrica “Voce dei Lettori” riceviamo e pubblichiamo uno scenario di un nostro lettore che pur firmandosi in privato preferisce rimanere anonimo. Buona lettura
Oggi tuonano i cannoni, ma presto tardi anche la tragedia Ucraina finirà. Abbiamo provato ad immaginare qualche scenario, per chiarirci le idee sui possibili esiti, e sulle strade che già oggi potrebbero condurre ad una soluzione del conflitto. Li abbiamo divisi in tre gruppi: inimmaginabili (1) impossibili (3) possibili (3). Abbiamo disposto quelli possibili in una scala crescente di probabilità ed abbiamo cercato anche di tratteggiare uno scenario in cui potrebbero realizzarsi: come potrebbe essere la ragione oggi chiamata Ucraina nel 2016, qualche mese dopo la fine del conflitto.
Scenario Inimmaginabile
Sarajevo 1914 La crisi Ucraina potrebbe ancora produrre un’escalation capace di coinvolgere direttamente la Russia e la NATO. Da un certo punto di vista, anzi, questo esito è oggi più probabile che mai, La Russia probabilmente ha già alcuni suoi reparti sul campo. La NATO fornisce ufficialmente sostegno finanziario, attrezzatura militare non letale e armi provenienti dai paesi già appartenenti al patto di Varsavia, e probabilmente sostiene lo sforzo bellico del governo di Kiev con istruttori. Entrambi i contendenti (orientali ed occidentali) hanno rafforzato la propria presenza militare presso il confine e hanno annunciato l’intenzione di incrementarla ulteriormente. Si sono verificati ripetutamente confronti aerei e marini che hanno sfiorato l’incidente. Insomma, sebbene esistano anche segnali contrari (prima di tutto le riserve degli europei, molti dei quali contrari ad inasprire il confronto con Mosca) la possibilità di un confronto diretto rimane reale, specialmente nel prevedibile caso in cui l’offensiva della resistenza dovesse svilupparsi al di fuori del Donbass e paesi Baltici e Polonia decidessero di scendere in campo direttamente a fianco al governo di Kiev. Abbiamo chiamato questo scenario “inimmaginabile” in quanto le incognite che schiuderebbe sono imponderabili a noi e (a nostro avviso poco esplorate anche dai pianificatori delle due parti che dovrebbero gestire la crisi). Quindi non immaginabile ma niente affatto impossibile.
Scenari Impossibili
Come la Svizzera
La possibilità di una federalizzazione del paese che conservasse una struttura unitaria del potere centrale è ormai, dopo gli orrori della guerra civile, divenuta impraticabile. Lo è stata, probabilmente, fino all’inizio di quella che i governativi chiamano “ATO” (operazione anti terrorismo): oggi non più. Su questo punto si è espresso molto chiaramente il Primo Ministro della autoproclamata Repubblica di Donetsk in una conferenza stampa del 26 agosto: “Vorrei fare un chiarimento. Nessuna federalizzazione può essere possibile oggi. C’è un tempo per ogni cosa. Abbiamo chiesto la federalizzazione 3 mesi fa, abbiamo chiesto un permesso di tenere un referendum. Quel tempo è passato, ora vogliamo vivere in modo indipendente. Le autorità ucraine stanno utilizzando metodi di polizia per sottometterci: ci arrestano, ci tagliano fuori, e conducono operazioni anti-terrorismo contro di noi. Ormai così tanto sangue è stato versato e così tante persone sono morte per la libertà. Come possiamo parlare di federalizzazione?” Effettivamente la ricomposizione del paese in un “normale” stato federale, come la Svizzera, il Belgio o il Canada (altri paesi che con il federalismo mirano a risolvere problemi non solo amministrativi, ma anche di pluralismo culturale) appare oggi impraticabile.
Ugualmente precluso lo scenario Cecoslovacchia, che si attiverebbe qualora Kiev decidesse di riconoscere come legittime le pretese del Sud Est attivando un processo di separazione consensuale, riconosciuto dalla comunità internazionale. La dissoluzione della Cecoslovacchia è la “storia perfetta” quella a cui tutti i movimenti separatisti si richiamano, perché, oltre a non richiedere un tributo di sangue, consente ai diversi paesi già parte della stessa nazione di conservare nell’immaginario un ricordo comune del periodo unitario tutto sommato positivo. Qualcosa di simile potrebbe verificarsi nell’ipotesi di una prossima separazione della Scozia dal Regno Unito. Più vicino è l’esempio dei paesi dell’ex Unione Sovietica che, come Russia, Bielorussia e Kazakistan hanno deciso di coltivare un ricordo comune ed anzi esplorano possibili strade di riavvicinamento. Non servono molti argomenti per escludere che questa possibilità possa verificarsi per l’Ucraina. Manca sia la volontà del governo centrale, sia l’accordo della comunità internazionale.
Impossibile anche che si formi un Bantustan (o, se si preferisce, una Autonomia Palestinese), ovvero un soggetto politico dalla personalità giuridica internazionale limitata, all’interno di un altro soggetto dominante. Si tratta di una possibilità che esploriamo per pura completezza espositiva. Questo tipo di formazioni prendono corpo solamente in condizioni eccezionali, quando una compagine statale non è in condizioni di gestire direttamente una comunità controllata e tuttavia non intende riconoscerla come soggetto di diritto autonomo. Si tratta, di fatto, di una sorta di “colonia interna” la cui finalità è bifronte: consentire alla comunità soggetta di accedere ad un certo grado di autonomia e nello stesso tempo tenere questo autogoverno sotto controllo impedendo che superi i limiti imposti. Simili organizzazioni non si sono mai verificati nella storia recente dell’ Europa (con l’unica eccezione delle occupazioni militari durante le guerre mondiali) e certo non si verificheranno domani in Ucraina.
Scenari possibili
Apartheid si verificherebbe se una delle parti conseguisse una vittoria militare definitiva sull’altra. Fino a ieri Kiev è parsa ad un passo dal realizzarlo, oggi l’obiettivo sembra allontanarsi. Gli eserciti della Novorussia sono impegnati per la prima volta in una offensiva, ma da questo ad immaginare una loro entrata a Kiev (per non parlare di Leopoli) ce ne corre. Ci sono poi da considerare i “padrini” (Russia e NATO) che restano dietro alle quinte fino a che il proprio protetto non è vicino al tracollo, intervenendo a sostenerlo nel caso di più disperata necessità. Ad oggi questo scenario sembra quindi il più improbabile fra quelli possibili. Se però dovesse verificarsi nel 2016 avremmo un’ Ucraina unita, ma scossa in profondità da gravi dissidi. La vita pubblica del paese sarebbe organizzata in modo tale da impedire l’espressione politica, culturale, linguistica e forse financo religiosa, della comunità soccombente. Lo stato adotterebbe una ideologia ufficiale apertamente ostile a quella di una parte della popolazione, parte che verrebbe verosimilmente, e di fatto, incoraggiata all’espatrio. Se dovesse vincere il governo di Kiev la comunità russa (8 milioni di persone alla vigilia della guerra) verrebbe perseguitata ed in buona parte si rifugerebbe nella vicina metropoli (fenomeno peraltro già sperimentato nei Paesi Baltici). Gli ucraini di identità mista (russofoni, ortodossi devoti al Patriarca di Mosca) verrebbero sottoposti ad una “formattazione identitaria” intesa a “purificarne” lo stile di vita e le credenze. Si tratta di un processo già peraltro largamente avviato nei territori russofoni controllati dal governo. Forse sarebbe anche più devastante l’ipotesi di una vittoria delle Milizie. Non c’è dubbio che le regioni centrali ed occidentali del Paese vivrebbero un ingresso degli orientali nelle loro regioni come una occupazione militare. La dissidenza sarebbe larghissima e dovrebbe essere repressa con metodi polizieschi brutali. Nell’ovest del paese probabilmente si accenderebbe una rivolta armata latente sul tipo di quella dell’ Ulster. In entrambi i casi il paese conserverebbe una debolezza economica ed istituzionale letale: una simile “vittoria” darebbe al “padrino” vincitore molti più mal di testa che soddisfazioni. E’ anche per questo che una simile eventualità, se pure non impossibile, è, lo ripetiamo, la più improbabile. Visti gli enormi costi morali ed umani che comporterebbe, crediamo non sia il caso di dolersene.
Bosnia Erzegovina Dopo la guerra in Jugoslavia gli accordi di Dayton diedero vita ad una struttura istituzionale assai elaborata, che è difficile considerare uno stato indipendente, e che tuttavia ha sortito l’effetto di consentire una cessazione del conflitto che, con alterne fortune, regge da quasi 20 anni. La presidenza del Paese è gestita da un triunvirato: un serbo, un croato ed un musulmano, che si alternano al vertice per otto mesi ciascuno. Gli architetti di Dayton hanno compensato la sproporzione demografica fra le componenti della popolazione (i serbi erano la maggioranza relativa) compattando le minoranze croata e musulmana in un soggetto federale (la Federazione Croato Musulmana) unito su piede di parità alla comunità serba (Repubblica Srpska). A sua volta la federazione croata e musulmana risulta governata da complicati meccanismi istituzionali che assicurano una rappresentatività adeguata alle sue componenti. Tutto il sistema è poi garantito da un Alto Rappresentante nominato da un consiglio di 55 paesi “tutori” ed approvato dall’Assembela dell’ONU. Un esperimento, dunque, simile a quello del Libano ove vige dal 1943 il “patto nazionale”, un accordo secondo cui il Presidente della Repubblica è cristiano Maronita, il Primo Ministro è musulmano Sunnita e il Presidente del Parlamento musulmano sciita. I punti deboli di questi ordinamenti sono due:
1) congelano i conflitti creando stati artificiali all’interno dei quali le identità hanno agio di polarizzarsi, senza mai trovare una sintesi che permetta al “golem” di animarsi; questi conflitti “congelati” possono poi esplodere in occasioni di crisi economiche o nel caso l’evoluzione politica o demografica del paese si discosti dalle quote di rappresentanza immaginate dall’architetto del sistema;
2) dipendono da uno e più “garanti esterni” ovvero da fattori che potrebbero, a loro volta, entrare in crisi o disinteressarsi alla tutela;
Il vantaggio è che, intanto, in attesa di tempi migliori, il conflitto viene sedato. Come potrebbe essere l’Ucraina nel 2016 se si adottasse il modello bosniaco?
In primo luogo dobbiamo sottolineare una cosa: questo è l’unico modello fra quelli esaminati che consentirebbe di disinnescare il conflitto già domani. Nel 2016 la ricostruzione postbellica potrebbe già essere a buon punto. Le modalità pratiche di attuazione dovrebbero essere stabilite al tavolo negoziale. Tuttavia i presupposti irrinunciabili sarebbero:
1) accordo a tre fra USA UE e Russia: queste tre potenze costituirebbero il Gruppo di Garanti che assicurerebbe il rispetto e l’attuazione degli accordi;
2) dichiarazione di neutralità del paese;
3) creazione di un sistema cantonale rappresentativo delle diverse comunità. A nostro modesto avviso i “cantoni” potrebbero essere 4: est (comprendente il Donbass e Kharkov) Sud (la costa) Centro (con capoluogo Denpropetrovsk) e Ovest (Galizia), oltre al Distretto Federale di Kiev;
4) creazione di una struttura federale con rappresentanti ripartiti equamente fra i cantoni e con rotazione degli incarichi rappresentativi fra le comunità;
5) riduzione al minimo delle prerogative dello stato centrale;
Questa struttura potrebbe anche prevedere, come già ipotizzato da Geopoliticalcenter, una “revisione” dopo un termine di 10 – 20 anni per consentire alla cittadinanza dei vari cantoni di conservare i legami con lo stato centrale, rescinderli o accrescerli. Questa ipotesi è a nostro avviso la migliore, tuttavia ad oggi si scontra con la mancanza di un requisito fondamentale: il concerto internazionale. Senza l’accordo fra i “padrini, la possibilità di una soluzione bosniaca rimane remota.
Transnistria i due eserciti in campo potrebbero combattere ancora per molti mesi, la popolazione dell’Ucraina occidentale potrebbe trascorrere un terribile inverno, senza riscaldamento e forse senza acqua potabile. Entrambe le parti potrebbero patire la fame. Senz’altro i morti e i feriti ascenderebbero a decine, forse a centinaia di migliaia. Qualcosa sconosciuto in Europa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Nel corso di questa spaventosa guerra le parti combattenti ed i loro sponsor potrebbero misurare la rispettiva forza, ed alla fine nascerebbe a Nuova Russia, i cui confini dipenderebbero da fattori esclusivamente militari. Nel 2016 quindi una Ucraina distrutta e divisa in due parti (nord ovest e sud est) da una guerra spaventosa, si troverebbe attraversata dalla cortina di ferro della Guerra Fredda 2.0. Difficile dire quale sarebbe il confine fra le due entità: volendo azzardare una ipotesi potremmo immaginare che della Nuova Russia faranno parte tre oblast: Kharkov, Donetsk, Lugansk. Il soggetto orientale sarebbe riconosciuto ufficialmente solo da alcuni paesi, quelli dell’Unione Euroasiatica. La Russia continuerebbe presumibilmente a contestare la legittimità del governo del soggetto occidentale. In sostanza si accentuerebbe l’asimmetria che già caratterizza piccoli stati come il Kosovo, la Transnistria, l’Abkazia e l’Ossezia del Sud, riconosciuti solo da una parte della comunità internazionale. Per quanto riguarda le caratteristiche due stati possiamo tranquillamente richiamarci allo scenario apartheid, con la sola differenza che in questo le due ipotesi alternative si verificherebbero contemporaneamente. I due soggetti sarebbero più omogenei, e quindi più stabili. Nel complesso, data la situazione militare e le tensioni che contrappongono i grandi attori, ad oggi insanabili, questo scenario sembra oggi il più probabile, anche se certo non il preferibile.
Attenzione però, a giocare con il fuoco. Non possiamo disinteressarci del problema. L’impensabile è sempre