In particolare per quanto riguarda gli assetti operativi e le strutture di comando e controllo ricordiamo che in Giordania stazionano due batterie complete di missili Patriot due squadroni di F-16 dell’USAF, è operativo un centro di comando fortificato del CENTCOM Usa e alcune migliaia di soldati americani sono schierati tra Amman e il confine siriano. Nel mediterraneo la marina Usa ha aumentato il numero di cacciatorpediniere classe Burke da tre a quattro mentre non si hanno informazioni sulla eventuale presenza di un’unità classe Ohaio, un sottomarino progettato come unità di lancio per i missili balistici intercontinentali imbarcati, tuttavia due/tre di queste unità sono state modificate per lanciare missili da crociera Tomahawk. Questi Ohaio modificati possono trasportare e lanciare più d 130 missili Tomahawk.
E sono proprio i missili Tomahawk l’opzione che secondo i nostri analisti il presidente Obama avrebbe scelto per trasformare in realtà le minacce di attacco formulate da Obama nel caso in cui il regime siriano avesse utilizzato armi chimiche.
Ciò non significa che il presidente Obama abbia già deciso di attaccare. Egli stesso alcuni giorni fa aveva infatti dichiarato alla CNN che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato la Siria senza aver avuto l’autorizzazione all’uso della forza da parte del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Se questa fosse la realtà dei fatti non assisteremo nel breve periodo ad un attacco americano in Siria e, sia il summit di sabato alla Casa Bianca, sia i piani di attacco con i missili Tomahawk sarebbero unicamente un esercizio accademico, visto il probabile veto russo ad ogni risoluzione che autorizzi l’uso della forza in Siria.
Tuttavia questa amministrazione americana si è spesso caratterizzata per uno spiccato doppiogiochismo in politica estera, elemento che va considerato e che non ci permette di non dubitare delle dichiarazioni del presidente usa quando egli dichiara di voler attendere la luce verde del Consiglio di Sicurezza per poter attaccare la Siria.