Trattare un argomento come i biocarburanti (biofuel) senza scendere sul greve terreno del dibattito ideologizzato è una impresa assolutamente complessa. Il motivo è presto detto: i biofuel, qualunque sia la loro provenienza (granoturco, canna da zucchero o altra biomassa), costituiscono parte integrante delle politiche occidentali volte alla riduzione delle emissioni di CO2. Ciò fa sì che l’argomento rientri nel più generale dibattito del Riscaldamento Globale Antropico (Anthropogenic Global Warming, AGW) e siamo certi che i nostri lettori lo conoscano alla perfezione.
In questo ambito non vogliamo affrontare il tema dell’AGW, quello che invece desideriamo fare è, una volta ancora, riflettere sulla pericolosità di alcune soluzione adottate. Tale pericolo si riverbera sulle economie di intere nazioni e sulla vita di milioni di uomini appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo. Il nostro approccio è sicuramente economico.
In questi ultimi anni abbiamo assistito a numerosi riflessi della speculazione economica sulla materie prime alimentari, non ultima la cosiddetta primavera araba è stata facilitata dall’aumento vertiginoso del prezzo del pane, guidato dall’impennata del costo del grano. L’aumento notevole registrato dalle materie prime alimentari viene spesso attribuito ai fenomeni meteorologici estremi degli ultimi anni, tuttavia leggendo più fonti, tali fenomeni estremi non sembrano poter essere additati come la causa principale di questi aumenti. Vi è sicuramente altro.
Molti analisti ed economisti sono ormai concordi sul fatto che l’aumento del prezzo delle materie prime alimentari sia dovuto principalmente alla deregulation avvenuta verso la metà degli anni ‘90. La spinta lobbistica a svincolare le materie prime alimentari dalla sola logica di copertura del rischio ha fatto sì che queste entrassero nel normale circuito di contrattazione, al pari di tutte le altre materie prime. Compravendite legittime, ma anche speculazione. Da quel momento in poi, l’operatore di borsa poteva marginare sull’oro, sul petrolio, sul rame ma anche sul grano, sul riso o sul granoturco, tanto per citarne alcune.
Questo rapido preambolo è doveroso per riuscire a contestualizzare l’andamento del prezzo delle materie alimentari. Negli ultimi anni, tuttavia, è entrato in gioco un fattore nuovo, estremamente perturbante per la dinamica dei prezzi. I biofuel, dapprima relegati ad alcuni utilizzi di nicchia, si sono sempre più imposti come alternativa ai combustibili fossili e in connubio con le politiche di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Sulla validità degli stessi per il raggiungimento di tali obiettivi, rimandiamo a siti più tecnici sebbene l’idea che ci siamo fatti è che non siano così efficaci come vorrebbe la vulgata.
Ci interessa approfondire gli effetti, che definiremo senza mezzi termini, devastanti per le popolazioni del terzo mondo.
Il principio che sottende alla politica dei biofuel è quello di piantare sementi per poterne trarre energia per i veicoli. E’ chiaro che a fronte di pochi veicoli movimentati sia necessaria una piccola produzione di biodiesel o etanolo. Tuttavia al crescere delle richieste, policy driven, si rende necessaria una produzione più estesa ed integrata. Ad oggi sono state seguite due strade: sfruttare terreni agricoli già utilizzati per altri scopi (produzione alimentare), individuare nuovi terreni e dirottarli verso la produzione di biocarburanti. L’ottica del produttore è quindi individuare ampie zone di produzione al minor costo, e com’è facile immaginare il terreno a buon prezzo non si trova nelle plains americane o nella Mittel Europa, bensì nel Sud Est Asiatico e in Sud America. Gli enormi sussidi all’agricoltura meccanizzata occidentale hanno causato e causano tutt’ora l’abbandono dell’agricoltura da parte dei contadini del terzo mondo. Un caso eclatante è quello messicano: l’accordo NAFTA ha fatto sì che i contadini messicani non avessero più alcun vantaggio dalla coltivazione del granoturco, a fronte delle importazioni di un prodotto meno costoso in quanto più sussidiato dai vicini Stati Uniti.
Oggi sta accadendo esattamente lo stesso fenomeno. Le esportazioni dai paesi occidentali sono di certo più convenienti della produzione stessa nei paesi del Terzo Mondo (o in via di sviluppo). A questo si aggiunga che i produttori di biofuel, a caccia di terreni agricoli a basso prezzo, stanno letteralmente rastrellando intere nazioni del Sud America e del Far East asiatico. Come potrebbe confrontarsi con questi colossi il povero contadino con famiglia a carico del Centro America? Semplicemente, non può.
E se tutto questo non bastasse a rendere più scuro il futuro di queste masse, non preoccupatevi, per loro arriva anche la beffa. Se da un lato non riescono più a vivere con la vendita dei loro risicati raccolti, dall’altro lato non riescono nemmeno più a dar da mangiare ai propri animali. Tutti quegli animali da cortile e non solo che si nutrono ad esempio di granoturco non riescono più ad essere nutriti. D’altronde se nel giro di pochi anni il costo del granoturco è raddoppiato, non ce n’è per gli esseri umani nè tantomeno per gli animali da cortile.
Nel Guatemala, tanto per essere proporvi un caso concreto, nel giro di tre anni il prezzo del granoturco è più che raddoppiato, riducendo l’apporto diretto di tortillas, ma non solo. Il prezzo delle uova è triplicato, per il meccanismo che vi abbiamo spiegato poc’anzi. Allo stesso tempo, i contadini non avendo più terreno su cui coltivare, si sono ridotti a seminare nelle esigue strisce di terra che separano i due sensi di marcia delle autostrade. I terreni, quelli fertili, sono ormai troppo costosi e nelle mani di chi coltiva cibo, per farne carburante.
Il problema è che entro il 2020 sia gli USA sia l’UE si sono dati obiettivi estremamente ambiziosi circa i biocarburanti. Attualmente gli USA utilizzano il 40% del proprio raccolto di granoturco per farne biofuel, a voi i facili calcoli per il futuro.
Noi riteniamo, ma davvero non siamo soli a combattere questa “battaglia”, che la distrazione dei terreni agricoli ai fini della produzione di biofuel possa e debba essere annoverata come un vero e proprio crimine contro l’umanità. Vi sembra forte come definizione? Siete abituati ai toni neutri delle nostre analisi? Ebbene, in questo caso non ci è possibile tacere.
L’utilizzo di terreni agricoli per i biofuel ha effetti soltanto negativi sulle economie di sussistenza. Ricapitoliamo qui i motivi:
1) contribuisce all’aumento della volatilità dei prezzi delle materie prime alimentari;
2) contribuisce all’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari e di prodotti da esse derivati;
3) contribuisce allo smantellamento del tessuto agricolo locale dei paesi in via di sviluppo, in favore delle più favorevoli importazioni da paesi con economie agricole sussidiate.
Non è possibile per nessuno ignorare il problema, per nessuno che appartenga alla cosiddetta società civile. Il 2012, appena concluso, ha segnato una importante svolta: sempre più organizzazioni internazionali hanno iniziato a porsi in modo critico rispetto ai biocarburanti, FAO in testa. Meglio tardi che mai.
Noi analisti economici di GPC staremo dietro questo argomento per sensibilizzare l’opinione pubblica e vi informeremo di come si evolverà questa industria.