Siria: l’unica via percorribile è questa.
Questo articolo è uscito su GPC circa quattro mesi fa, con il titolo:”Siria lo scenario definitivo”, ve lo riproponiamo oggi in prima pagina, ritenedolo, alla luce dei fatti una valida analisi predittiva.
Roma, 19 febbraio 2012
Definire lo scenario definitivo della crisi siriana non è cosa semplice, ma il nostro team ritiene di avere oggi a disposizione informazioni sufficienti.
Iniziamo a metterle sul tavolo.
Per prima cosa il fattore Russia.
La Russia conferma ogni giorno sia in ambito politico, con le affermazioni del presidente, del ministro degli esteri, con le risoluzioni approvate dalla Duma all’unanimità, sia in ambito militare, con la spedizione di armi di ultima generazione come missili antinave e antiradar, aerei da addestramento avanzati, e la non secondaria presenza di un’ imponente task Force navale al largo della Siria, che non lascerà il campo.
Non lasciare il campo però, non significa non scendere a compromessi accettabili, per scendere a compromessi accettabili spesso bisogna dimostrare la propria forza. In molti ricordano i feroci combattimenti nella penisola Coreana poche ore prima dell’entrata in vigore della tregua che poi portò alla divisione lungo il 38º parallelo. Le parti in causa volevano sedersi al tavolo negoziale con alcuni punti strategici sotto il proprio controllo per poi ottenere condizioni più vantaggiose. A questo oggi potrebbe puntare la Russia arrivare ad una definizione negoziale con in mano ancora gran parte del paese, non con un regime scacciato dalla propria capitale dalla rivolta.
Per seconda cosa il fattore Iran.
La Repubblica Islamica è impegnata in questi giorni a ricompattare il fronte anti Israeliano, in modo particolare le maggiori attenzioni dopo la Siria, riguardano Hamas. Più di una voce all’interno del movimento palestinese sta valutando la possibilità di interrompere l’alleanza di ferro con l’Iran per volgere il proprio sguardo all’Egitto e alla Turchia. Le visite in Iran dei dirigenti di Hamas lo dimostrano così come l’impegno diretto della Guida Suprema, il Grande Ayatollah Alì Kahamenei, che parlando con Haniyeh, primo ministro di Hamas a Gaza, ha ribadito che la lotta armata è l’unico mezzo che esiste per combattere Israele, incitando quindi i falchi di Hamas a resistere alle lusinghe della fratellanza sunnita.
Sulla Siria la posizione Iraniana è chiara, la Siria è il contatto fondamentale con il Libano e con Hezbollah, la Siria attuale rappresenta un nemico temibile per Israele, e quindi un mezzo di dissuasione nei confronti di un attacco Israeliano contro l’Iran. Per gli Iraniani è fondamentale che la Siria mantenga la propria integrità territoriale che mantenga il controllo su tutte le basi militari del paese, in particolare sulle strutture dell’aeronautica, numerosi consulenti militari iraniani sono al lavoro in Siria e pare abbiano un ruolo, se non diretto nei combattimenti, quantomeno nella pianificazione strategica. L’Iran gioca il tutto o nulla con la Siria, il regime di Assad deve resistere nella sua forma attuale. A tal fine potrebbe essere pronto a distrarre l’opinione pubblica mondiale attirando l’attenzione su di se, magari stupendo il mondo con un annuncio epocale, riguardante il programma nucleare. Gli iraniani potrebbero anche incitare gli sciiti del Bahrein alla rivolta, per poi dimostrare che le monarchie del golfo attuano la repressione dei dissidenti, giustificando così la repressione siriana.
Esiste poi il fattore Assad, o se meglio credete, il fattore Alawita.
Gli Alawiti di Siria ed in particolare il loro leader Assad non sono i beduini della tribù dei Gheddafia, sono persone capaci di compromessi e di calcoli complessi. Assad per formazione personale, in pochi sanno che Assad è un medico specializzato in oculistica, è in grado di valutare molteplici opzioni non vede solo il tutto o il nulla. Così come non molti sanno che Assad iniziò a lavorare come medico nell’ospedale militare di Damasco proprio il luogo dove un misterioso omicida ha assassinato, pochi giorni fa, il generale che attualmente comanda tale ospedale. Un bel messaggio per Assad.
Riteniamo che si stia avvicinando un accordo internazionale, che possa garantire di fatto una secessione di una parte del territorio siriano la cui divisione territoriale potrebbe essere garantita da una forza di interposizione a guida araba con una forte componente turca. Richiamando a grandi linee le divisioni della Siria che furono fatte durante il mandato Francese della regione, negli anni 20, dove gli alawiti avevano il loro stato costiero tra le città di Tartus e Latakia. Se questo scenario, che riteniamo ad oggi il più plausibile, non dovesse realizzarsi, ci attendiamo un serio inasprimento della guerra civile in atto con il rifornimento di armi e munizioni di tipo moderno ai ribelli, e l’instaurarsi di “covert operation” nei confronti del regime di Assad e dei suoi vertici, che porterebbero ad uno scenario di guerra di posizione di lunga durata, fatto questo, che non è interesse di nessuno, ne a oriente, ne a occidente ne in Siria.
In conclusione riteniamo che l’occidente possa trovarsi concorde con la Russia nel concedere la secessione siriana, in cambio di un tacito consenso russo ad un attacco contro i siti nucleari dell’Iran.
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condivido gran parte dei passaggi contenuti in questa analisi inoltre il fatto è che queste soluzioni richiedono tempo e fermezza anche nelle situazioni più difficili in Siria infatti non ci si può permettere che il sistema politico crolli totalmente perchè il problema potrebbe ingigantirsi e delle armi molto pericolose potrebbero andare in mano ad estremisti che metterebbero in pericolo Israele e forse l’occidente anche se il tempo per ora c’è ancora .
Ottimo articolo. L’unica cosa che mi preme dire è che nonostante l’analisi dei fattori esterni sia ottima, la mancanza dei fattori interni potrebbe condurre ad una conclusione errata. Secondo me bisogna verificare bene quanto le forze interne abbiano un senso nazionale piuttosto che di emancipazione, se è più forte l’appartenenza entica o l’appartenenza nazionale, cioè con quale comunità politica essi si identificano; Perchè se è più forte quella nazionale, allora è ovvio che un accordo internazionale rivolto alla frammentazione del Paese, non condurrebbe alla scongiura della guerra civile, anzi, la amplificherebbe. E siccome le 2 milizie principali, più forti numericamente si chiamino rispettivamente Syrian Liberation Army e Fronte dei rivoluzionari siriani (12 mila uomini questo ) potrebbe essere un primo indizio. Inoltre, tanto per complicare le cose, c’è poi il problema del mosaico etnico: Da una parte c’è la maggioranza sunnita, che non sosterrà mai Assad ricordandosi l’assedio dell’82 durato 10 giorni da parte del suo clan e degli alawiti, con 30 000 morti, ed esiste anche una loro componente estremista che ora non ricordo come si chiama, in aperto scontro contro la minoranza alawaita. Quindi da questo lato sicuramente non si avrebbe una continuazione del regime di Assad. Poi c’è la minoranza curda che dopo 50 anni di repressioni sicuramente non appoggeranno Assad. Ci sono anche i Fratelli mussulmani che sono in scontro armato contro Assad dal 60. Inoltre non sono mancati episodi di coordinamento tra sunniti e alawiti nelle proteste, a dimostrazione ulteriore della totale mancanza di appoggio ad Assad ( sono sparite persino le proteste pro-regime a canna puntata ). Gli unici che lo sembrano sostenere sono i cristiani, spaventati dal caos e dagli abusi eventuali dei Fratelli mussulmani, ma il loro numero è talmente esiguo che non si può pensare che il regime possa continuare in un piccolo paesino fatto soltanto da cristiani. Ora non so com’è stata fatta la spartizione francese del ’20, ma stando alle solite spartizioni amministrative dei tempi, difficilmente era fatta su base etnica-religiosa, o almeno si guardava soltanto alle maggioranze più forti. Quindi se si aplicasse quella , ed in effetti non corrisponde alle divisioni etniche, ancora una volta la guerra civile è inevitabile. L’unico modo secondo me per scongiurare la guerra civile ( e da questo punto di vista ha ragione la Russia ) è quello del piano di Pace di Annan per una trasformazione del regime, anche se dopo il massacro di Homs, le probabilità che questo abbia successo ormai sono minime. L’altro modo è quello dell’Egitto: deposizione ed elezioni. Questo dall’inizio ha scarse probabilità di accadere, proprio per i fattori esterni indicati nell’articolo, ma comunque più del piano di pace di Annan. Per me, a questo punto, data la natura intransigente del regime, lo scontro è inevitabile.