Secessione Siriana: chi la osteggia e chi la invoca. La lezione Libica
La Siria assomiglia ogni giorno di più alla Yugoslavia dei primi anni 90, uno stato creato su confini non rispondenti alle origini a alle necessità dei popoli e delle etnie che la abitano. La Siria, uno stato originato dalla fusione forzata di più popoli e con i confini statali tracciati su di una carta nella vecchia Europa coloniale e post coloniale. La Siria un paese dove alcuni popoli come ad esempio i curdi cercano da sempre la via per formare un loro stato sovrano, e dove oggi gli Alawiti per non tornare ad essere una minoranza, pensano sempre più concretamente ad uno stato dalle modeste dimensioni ma strategicamente fondamentale nella regione e inespugnabile se non a costo di decine di migliaia di vittime, da chiunque cercasse di invaderlo.
Davanti a noi si profila come un monito costante l’esperienza libica. Anche la Libia, ancora più della Siria è un paese i cui confini sono stati tracciati dai colonizzatori, confini che corrono diritti nel deserto, linee rette che non considerano le tribù della Libia, la loro struttura organizzativa e la loro presenza storica sul territorio, per non parlare di una popolazione come quella berbera che non possiede uno stato proprio, come i curdi in medio oriente, ma che a tutti gli effetti, per cultura, lingua, religione e genetica rappresenta un popolo senza diritti e senza una terra. La Libia è stata tenuta unita dalla forza delle armi, dalla repressione e dal miglioramento lento ma costante della qualità di vita dai tempi dell’invasione italiana, repressione e sviluppo infrastrutturale proseguito dall’amministrazione fascista e dalla dittatura di Gheddafi. La forza, la paura e lo sviluppo tenevano unita la Libia, al prezzo della mancanza della libertà e della possibilità di autodeterminazione. In Libia la comunità internazionale ha cercato di agire in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma questo strumento ha fallito. La risoluzione non fermata dal veto di nessuna delle cinque grandi potenze è nata con lo scopo di proteggere i civili, in poche ore è diventata lo strumento per dare la caccia a Gheddafi e coprire dal cielo l’avanzata, altrimenti impossibile, dei ribelli uniti dal nemico comune ma già divisi in modo evidente al loro interno. La Russia è rimansta offesa, anzi profondamente ferita nel vedere i propri interessi in terra libica sbriciolarsi sotto le bombe di una risoluzione che lei stessa avrebbe potuto fermare. Oggi la Libia è un paese fragile, a volte in preda a bande armate delle tribù insoddisfatte, che ogni giorno alzano il tiro, ad esempio bloccando armi in pugno l’aeroporto di Tripoli, dove ad intervenire non sono state per prime le forze armate regolari libiche ma i paracadutisti italiani folgore. Un altro esempio è la bomba esplosa contro il consolato americano di Benghazi o l’attacco dell’ 11 Giugno a colpi di RPG contro il convoglio dell’ambasciatore britannico, rappresentante diplomatico che ha concretamente rischiato la vita. La Libia si avvia lungo la strada della violenza settaria in stile somalo e poche forze esterne saranno in grado di fermare questa degenerazione a meno che il territorio e le risorse vengano divise e condivise, oppure che a Tripoli o a Benghazi ritorni un uomo forte, un dittatore spietato.
Vi abbiamo parlato della Libia per arrivare alla Siria. In Siria la situazione è diversa ma il problema di fondo è lo stesso, la regione è stata divisa in base alla politica, a volte in base alla geopolitica, quasi mai in base a confini geografici-etnici. Questo problema non riguarda solo la Siria ma riguarda molto da vicino la Turchia, l’Irak e l’Iran. Il comune denominatore di questi quattro paesi è il popolo curdo che nel nord dell’Irak ha istituito una regione con un alto grado di autonomia e che nel caso la Siria vada incontro ad una secessione potrebbe dare vita all’embrione di quel Kurdistan che rivendica territori anche alla Turchia e allo stesso Iran.
È questo il motivo principale per cui gli stati regionali, e di riflesso l’America, non sostengono l’idea della secessione. Assad stesso e la federazione russa sembrerebbero propensi ad una soluzione che modifichi gli assetti regionali, piuttosto di perdere completamente la possibilità di avere un appoggio saldo e sicuro in medio oriente. Anche le forniture di armi ad Assad sembrano rispecchiare le necessità difensive di un piccolo stato costiero e montagnoso come il nord della Siria dove i sistemi di difesa aerea a medio raggio e i missili antinave, come ad esempio il missile antinave supersonico Yakhont ( 3M55 Oniks ) e Kh-31A che rappresentano la migliore scelta possibile in tale contesto.
La Gran Bretagna appare oggi al nostro gruppo il paese occidentale che più degli altri possa accettare la nascita di uno stato Alawita, e di una regione Sunnita dopo aver osservato la fallimentare campagna libica e la grande antipatia verso gli occidentali che pervade oggi la Libia. Il ministro degli esteri Hague ha più volte ribadito che l’intervento militare sullo stile libico è escluso e che il governo di Sua Maestà non vuole ripercorrere la strada della guerra di Libia.
Cosa resta quindi “on the table” per usare un’espressione cara al presidente americano? Sul tavolo resta sicuramente il progetto di poter attuare covert operation per “neutralizzare” o indurre alla diserzione le alte gerarchie del regime siriano, così come rimane la possibilità di armare con mezzi più moderni i ribelli, e infine rimane la possibilità di una secessione, secessione che nel caso avvenisse potrebbe essere una mossa indipendente di Assad e della Russia, senza l’accordo delle potenze occidentali. Una mossa comunque che il Rais di Damasco deve prendere in tempo utile e mentre il suo apparato di difesa e sicurezza è ancora in grado di operare in modo efficace al fine di mantenere l’ordine in una fase così delicata. Sarebbe invece un fallimento ritirarsi nella “Siria Alawita” in caso di collasso del regime. A quel punto nemmeno la regione di Latakia e Tartus sarebbe un porto sicuro per gli ex padroni di Damasco.
Una piccola postilla, non abbiamo preso in considerazione il punto di vista dell’opposizione siriana. Non lo abbiamo fatto perchè l’opposizione ad Assad è una delle più frammentate e complesse organizzazioni, se così possiamo chiamarla, presente oggi nel teatro. Esistono laici, curdi, salafiti, integralisti sunniti, moderati sunniti, qualche druso. Questa opposizione non ha una voce comune e seppur la maggioranza al suo interno osteggerà la secessione della parte costiera del paese non è l’elemento fondamentale per cercare di capire quale via prenderà la Siria e il suo popolo vittima comunque vada di violenze settarie ed etniche.