Se l’Europa non riparte
Nella settimana in cui è uscito il dato delle vendite al dettaglio in Europa, che ha registrato l’ennesimo forte calo, ci troviamo a parlare una volta di più del mercato interno all’Unione Europea. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che la disoccupazione sia una marea montante in quasi tutti gli stati del vecchio continente. La severità della disoccupazione è pari soltanto alla severità con cui viene perseguita la politica di austerità. Nonostante ormai da più parti si stiano levando voci contrarie ad una prosecuzione di questa linea, al momento non sembra esserci altra prospettiva politico-economica per l’Europa.
In particolare le posizioni tedesche continuano ad essere irremovibili.
Come abbiamo avuto modo di dire più e più volte su queste stesse pagine, la politica di austerità non è scorretta tout court, anzi per paesi naturalmente proni all’indebitamento è un vero mantra da applicare bilancio d’esercizio, dopo biancio. Il problema ormai riconosciuto da quasi tutti gli economisti (ed anche dal FMI stesso) è la nefasta combinazione di recessione economica e severa politica di austerità. Se una politica economica di austerità è un indirizzo di gestione utile a rendere il bilancio statale sostenibile, allo stesso modo non è la risposta da dare in caso di recessione.
Una politica fortemente basata su tagli e compressione della spesa, in un momento di crisi durante il quale i posti di lavoro evaporano come l’acqua nel deserto, fa sì che circoli sempre meno ricchezza nei canali dell’economia reale. Senza alcun tipo di stimolo (ma non per questo stiamo implicitamente rievocando lo stimulus americano), l’economia si avvita in una spirale verso il basso ed è quanto sta accadendo ormai in modo inarrestabile da più di 12 mesi.
Noi di GPC non crediamo sufficienti le piccole, timide aperture fatte verso i paesi periferici: si tratta di concessioni minime, costituite nella maggior parte dei casi da proroghe di rientro all’interno dei parametri di deficit. Ci vuole una cura decisamente più massiccia.
Quello che vediamo, senza ombra di dubbio, è una notevole sofferenza dal lato della domanda: è su questa che bisogna agire ed andando a disaggregare la domanda, possiamo notare che la voce che sta soffrendo di più è quella interna. Il settore pubblico sta riducendo moltissimo (se non azzerando, in alcuni casi) la propria quota di domanda. Le esportazioni sono ancora piuttosto consistenti in Europa (verso paesi extra UE). In effetti anche l’Italia sta vivendo questa situazione: il settore privato (essenzialmente le famiglie e le piccole imprese) e quello pubblico sono quasi del tutto fermi al palo. Al contrario, le esportazioni sono ancora su livelli di riguardo. E’ chiaro che nessuna economia occidentale possa basarsi completamente e per lunghi periodi solo e soltanto sulle esportazioni, ed è per questo motivo che i policy maker devono intervenire in tempi rapidissimi per ristabilire livelli accettabili di domanda aggregata. Alcuni analisti, sostanzialmente di scuola anglosassone, sostengono che vada rinforzata la domanda interna tedesca, stimolando i consumi interni della Germania. In particolar modo, tale obiettivo sarebbe da raggiungere aumentando i salari tedeschi: a cascata questa operazione porterebbe nuovamente la Germania a trainare l’intera Europa, come nel periodo pre-crisi. Adesso, quale che sia lo strumento che liberamente la Germania vorrà adottare, noi continuiamo a sostenere che per paesi come l’Italia, la strada sia una soltanto: ridurre il costo del lavoro, agendo sul cuneo fiscale. Ovviamente non si tratta dell’unica misura, ma sicuramente della principale. E la misura va adottata rapidamente, poichè c’è da tenere in considerazione una certa inerzia nell’assenza di spesa delle famiglie. In un paese dove le ultime statistiche ci segnalano un incremento della spesa pari al +3,2% nelle persone più anziane e un contemporaneo calo del -3,4% nelle coppie giovani, come potremmo ancora giustificare dei ritardi? Si stanno completamente modificando gli schemi sociali: i genitori anziani, i nonni stanno provvedendo all’incapacità di spesa dei più giovani. Avete letto bene: la figura che emerge dall’ultima sintesi dell’ISTAT è quella di una famiglia giovane mantenuta con enormi sacrifici dai più anziani. E allora, anche in caso di riduzione delle tasse sul lavoro, che deve assolutamente tradursi in maggiori risorse a disposizione dei lavoratori e delle famiglie, c’è comunque da tenere in considerazione un considerevole lag temporale, tra implementazione e primi effetti positivi: chi si troverà con maggiori risorse in busta paga, infatti, dovrà prima far fronte a tutte le sofferenze accumulate in questi anni. Dopo questa fase di ripianamento dei tanti debiti contratti, finalmente le maggiori risorse a disposizione potranno tradursi in un ritorno alla spesa.
La lotta a tutto campo perpetrata dalla Germania ai danni dell’inflazione, fa sì che al momento non venga perseguita una politica degli stipendi. In questo senso non sarebbe attuabile quanto auspicato da alcuni economisti, come detto poco sopra. Noi paesi periferici non abbiamo tempo da perdere e non possiamo accodarci in attesa che la Germania decida cosa fare con i propri stipendi e la propria domanda interna. Noi dobbiamo agire immediatamente e l’Europa deve assolutamente tendere una concreta e fattiva mano a Italia e Spagna.