Il fatto è di portata storica ed è dovuto agli accordi presi dal presidente Obama con la controparte iraniana all’epoca dei colloqui di pace sul programma atomico di Tehran.
Ma esiste una motivazione molto più pratica al ritiro della flotta americana nel Golfo e alla chiusura della base americana in Bahrain.
Gli Stati Uniti dall’inverno scorso non sono più dipendenti dal petrolio del Golfo Persico. La politica energetica di Obama basata sull’espansione della produzione di energia nucleare, l’aumento delle fonti rinnovabili, e la produzione di petrolio dagli scisti bituminosi, ha reso gli Stati Uniti indipendenti dal petrolio del Golfo, sebbene esista ancora una quota di commercio di greggio con il Regno Unito il cui petrolio Brent è utilizzato per alcune produzioni di raffinerie sulla costa est degli States.
Per quanto riguarda l’energia nucleare il presidente Obama nel 2012 ha deciso di stanziare 54,4 miliardi di dollari sotto forma di garanzie sui prestiti per edificare nuove centrali e ad oggi (marzo 2018) nove centrali di terza generazione affiancano le cinque già esistenti sulla costa est. Le nuove centrali sono distribuite su tutto il territorio americano e permettono di coprire efficacemente il fabbisogno energetico di fondo di tutti gli States, il petrolio prodotto nel Golfo del Messico e quello importato dalla regione artica unito agli scisti bituminosi fa il resto.
Per supportare la sua politica isolazionista, che mantiene come unica area strategica di interesse la regione pacifica, e volendo al tempo stesso ridurre fortemente le spese militari, gli Stati Uniti hanno scelto di abbandonare il medio oriente e la regione del Golfo Persico in particolare.
In questa nuova situazione strategica e geopolitica gli Stati Uniti si sono trasformati da importatori a produttori primari di greggio e presto, se questa linea di tendenza continuerà diverranno esportatori verso l’Europa, ma non verso la Cina che preferenzialmente importa greggio dalla regione del Golfo. Proprio in questa ottica va considerato il nuovo assetto mediorientale.
L’Iran oggi (marzo 2018) controlla l’accesso al Golfo Persico, i corridoi di navigazione in ingresso e in uscita dal Golfo ricadono ora sotto le acque territoriali iraniane dopo che l’Iran ha reclamato l’annessione formale delle Isole dello stretto (Abu Musa, Great Tumb e Lesser Tumb) inoltre sembra che la Repubblica islamica possegga la tecnologia per costruire armi atomiche sia a base di uranio sia a base di plutonio nonché sia in possesso dei sistemi missilistici per minacciare tutto il medio oriente, l’intera Europa e la quasi totalità della Federazione Russa.
In questa situazione di tensione anche una piccola scaramuccia può degenerare in un confronto armato tra Arabia Saudita ed Iran, compromettendo le forniture petrolifere alla Cina, che sempre più necessità di energia a basso costo per alimentare la propria economia in crescita.
Così, se dopo l’indipendenza energetica americana, la regione del Golfo Persico esplodesse gli Stati Uniti vedrebbero il loro maggiore competitor nell’area pacifica soffrire per una crisi energetica senza precedenti, mentre gli States potrebbero diventare loro stesi fornitori di petrolio dei cinesi, arrestando forse la corsa del gigante asiatico verso il controllo dell’economia globale. Allo stesso tempo l’economia e l’industria americana potrebbe contare su energia garantita dal mix di nucleare, rinnovabili, e petrolio Made in Usa, in quantità sufficiente da non soffrire particolarmente la nuova crisi petrolifera che metterà in ginocchio Europa e Cina.
In questo modo il ritiro dal Golfo Persico degli Stati Uniti si può leggere oggi come una strategia ben studiata in una guerra economica con la Cina che nell’arco temporale da noi descritto potrebbe materializzarsi ai nostri occhi.
Questo scenario ha voluto evidenziare un possibile aspetto positivo per l’America del futuro, di un medio oriente instabile. Tuttavia numerose variabili, e la grande distanza temporale sul quale lo scenario è focalizzato, permette di considerare questo post (forse) un puro esercizio accademico.