Lo Strike di Israele: rischio o opportunità per Obama? Un ipotetico scenario
Mancano circa due mesi alle elezioni presidenziali americane e circa 6 settimane al termine che i nostri analisti ritengono utile ad uno Strike unilaterale di Israele nei confronti dell’Iran. Se ciò avvenisse cadrebbe proprio nell’imminenza dell’Election Day e per le proporzioni dello scontro che ne deriverebbe influenzerebbe sicuramente il voto degli americani. Ma in quale direzione potrebbe andare il comune sentire del popolo americano? Lo Strike quale dei due candidati favorirebbe, Obama o Romney?
La questione è complessa e ricca di numerose variabili non tutte inquadrabili con esattezza ed ancor meno prevedibili con ragionevole precisione. Cerchiamo comunque di delineare alcuni possibili scenari in caso di scontro tra Iran e Israele.
Innanzitutto bisogna considerare la risposta dell’Iran all’attacco. Cosa faranno gli iraniani in caso di attacco israeliano? Nei mesi scorsi si poteva supporre con un alto grado di confidenza che la reazione iraniana sarebbe stata ad ampio raggio includendo il bombardamento delle basi americane in Arabia Saudita, la chiusura dello stretto di Hormuz e il lancio di vettori contro lo stato di Israele. Nelle ultime settimane, tuttavia, le dichiarazioni rese da molti alti ufficiali americani, incluso il Capo di Stato Maggiore delle forze armate americane Gen. Martin Dempsey che ha dichiarato che non vuole essere “COMPLICE” di un eventuale attacco di Israele, possono far pensare che li americani vogliano mettere in chiaro il fatto che loro non vogliono attaccare Tehran. Il nostro gruppo di analisi ritiene che queste dichiarazioni siano state fatte, pubblicamente e ai più alti livelli, al fine di mettere in chiaro con gli iraniani che gli Stati Uniti sono neutrali, anzi ritengono l’attacco israeliano quasi un crimine, la parola complice si riferisce spesso ad un atto criminoso. In questo modo gli americani sperano di evitare ritorsioni iraniane nei loro confronti in caos di attacco di Israele. È un disperato tentativo di non farsi coinvolgere in un conflitto che Israele e i sunniti del Golfo da soli non possono vincere. Da un tale scenario in patria Obama trarrebbe un grande vantaggio: l’America non scenderebbe in guerra, egli potrebbe assumersi il merito di aver risparmiato al paese un altro conflitto nonostante l’attacco unilaterale organizzato da
Israele, e di perseguire quella scelta di arroccamento interna, tanto cara a quegli elettori indipendenti che vedono da decine di anni un leader in Ron Paul, che rappresenterebbero per Obama un importante serbatoio di voti che altrimenti potrebbero andare al suo avversario Romney.
Altro il caso in cui gli iraniani rispondessero attaccando unità e basi americane nel golfo oppure chiedessero lo Stretto di Hormuz anche al solo naviglio militare. In questo caso Obama sarebbe costretto alla guerra e in patria la sua identificazione in un presidente di pace ad ogni costo verrebbe erosa. Se invece la sua risposta si mostrasse debole o remissiva molti potrebbero ricordagli le parole di un altro presidente democratico di cinquant’anni fa’: si chiamava Kennedy e durante la crisi di Cuba alla nazione che si preparava ad una guerra devastante disse: noi cerchiamo la pace ma non volgiamo la pace al prezzo della libertà, noi volgiamo sia la pace sia la libertà. Non è infatti certo che anche nel caso di un coinvolgimento diretto di unità o truppe americane il presidente dia il via libera al pentagono per una operazione militare di ampia portata, non è neppure certo che il presidente autorizzi una reazione maggiore rispetto a quella portata dal nemico.
Ma tutto alla fine giocherà su un fatto fondamentale: Israele avrà attaccato e danneggiato obiettivi militari, facendo danni e vittime in quell ambito, probabilmente nulla di devastante, e in risposta a questo attacco le forze missilistiche iraniane e di Hezbollah attaccheranno obiettivi civili israeliani, oltre alle basi militari, causando centinaia di morti tra la popolazione. Come sarà giudicato un presidente che non si impegnerà per difendere i civili di un paese alleato? Come sarà giudicato quando le immagini delle città sotto attacco arriveranno nel cuore degli Stati Uniti? E come potrà giustificarsi dal non aver inviato in Israele non tanto i mezzi offensivi, ma aver negato la presenza dei sistemi antimissile americani, prima promessi e poi mai inviati?
Il presidente americano pensa di avere un vantaggio da un attacco israeliano non appoggiato, anzi osteggiato, dalla sua amministrazione. Ma la morte di centinaia di israeliani nell’indifferenza del presidente lo identificherà come un cinico uomo politico impegnato nella difesa della sua ideologia e non degli alleati, anche strategici, degli Stati Uniti d’America. Un presidente non impegnato nella difesa di una popolazione civile che subisce le scelte del proprio governo di attaccare, ma un popolo che non è responsabile direttamente di questa scelta. Obama sarà giudicato dagli americani, non per non aver difeso il governo di Israele, ma per non aver difeso il popolo di una nazione amica.