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Libia incombe lo spettro della guerra civile

Ieri pomeriggio verso le 15 abbiamo avuto, da fonte certa, la notizia che lo Stato Maggiore delle forze armate libiche di Tripoli aveva ordinato la mobilitazione di tutto il proprio personale nella capitale libica. Pochi minuti dopo sulla nostra pagina Facebook (trovate il pulsante per connettervi nell’angolo superiore destro della pagina), che spesso utilizziamo per le comunicazioni più brevi e veloci, abbiamo dato notizia del fatto, evidenziando che la situazione a Tripoli poteva essere sul punto di degenerare.
Purtroppo poche ore dopo nella capitale libica sono scoppiati violenti scontri che hanno causato la morte di 32 persone e il ferimento di oltre 300.
Era accaduto che nel pomeriggio una colonna di miliziani armati aveva lasciato la città di Misurata e si stava dirigendo verso Tripoli. I miliziani di Misurata reclamano, fin dai primissimi giorni dopo la caduta del regime di Gheddafi, molta più influenza sulle scelte politiche che si prendono a Tripoli, senza che le loro domande trovino voce nella capitale libica. Misuara, una città portuale che si affaccia sul mediterraneo, non dispone di ricchezze petrolifere o di gas degne di nota, ma a pochi chilometri dal centro della città passa una dei più importanti gasdotti della Libia il quale apporta la maggioranza del gas che attraverso Greenstream, il gasdotto sottomarino che porta il gas dalla Libia in Sicilia, fatto che potrebbe essere usato dai miliziani di Misurata come mezzo di ricatto verso il governo centrale.
Tuttavia in Libia più che il sottile gioco diplomatico, negli ultimi mesi, ha sempre più peso la voce delle armi.
In Libia non esiste un vero e proprio esercito omogeneo, quello che noi definiamo “esercito libico” e che consiglieri militari occidentali, italiani inclusi, tentano di addestrare non supera le 12000 unità. Decine invece sono le formazioni paramilitari, delle vere e proprie milizie, organizzate su base etnica o geografica, che impongono la loro legge nella maggioranza del territorio libico.
Questo contesto non assomiglia, come molti sostengono alla Somalia, in Libia la situazione è diversa. Non esistono signori della guerra come era nella Somalia dei primi anni 90. Qui in Libia esistono molti capi milizia che tuttavia dispongono di una forza militare molto limitata. Essi sono in grado di controllare una città o una piccola porzione di territorio, ma non hanno la forza di imporre il loro volere sulla città vicine o sulla ampie distese di territorio libico. In Libia stiamo assistendo quindi ad un vuoto di potere, una assenza di controllo del territorio che apre le porte ad ingerenze straniere nella questione libica. Se così fosse, se dall’esterno una milizia potesse ricevere addestramento ad armamenti di molto superiori a quelli degli avversari, la situazione muterebbe radicalmente. Le milizie più piccole cercherebbero di unirsi alla milizia vincente, la quale fungerebbe da nucleo di condensazione per la nascita di un fronte in grado di rovesciare il precario governo della Libia. Se ciò accadesse assisteremmo ad una vera e propria guerra civile che metterebbe in pericolo la vita di centinaia di migliaia di persone, genererebbe un’ondata migratoria devastante verso l’Egitto, la Tunisia e l’Italia. Una guerra civile che metterebbe in pericolo la stabilità dell’Egitto stesso perché i fondamentalisti egiziani vedrebbero nella Libia in “Safe Haven” un porto sicuro dal quale condurre attacchi terroristici all’Egitto, un’alternativa quindi al Sinai ormai sotto il controllo dell’esercito Egiziano. Una guerra civile che comprometterebbe certamente le forniture energetiche verso l’Italia, forniture indispensabili per la produzione industriale del nostro paese.
E’ per questo motivo che la comunità internazionale, e l’Italia prima di tutti, dovrebbe valutare ora, in queste settimane di relativa calma in Libia l’invio di un contingente internazionale. Un contingente che supporti il governo libico prima che la situazione possa degenerare, perché se si attende lo scoppio di un’altra guerra civile sulle sponde del mediterraneo, gli interessi contrapposti delle potenze mondiali con diritto di veto alle Nazioni Unite rischiano di causare l’implosione completa della Libia e una reazione a catena che coinvolgerà tutto il nord Africa e l’Italia stessa.