Nelle ultime settimane il tema del petrolio è stato più volte affrontato sulle pagine di GPC. I motivi sono molteplici e sicuramente ben chiari ai nostri lettori: da un lato abbiamo le tensioni geopolitiche in tutto il mondo, dall’altro abbiamo i riflessi di tali tensioni sulle nostre economie. Sicuramente la situazione generale dell’Iran e dei suoi rapporti con l’Occidente stanno contribuendo per la maggior parte a generare tensioni sui prezzi del greggio. Non va però dimenticata la situazione in Libia, lungi dall’essere tornata alla normalità. Quello che è certo è che le attuali tensioni sui prezzi non sono generate da un complessivo recupero dell’economia globale. Il trasferimento di queste crisi geopolitiche sui prezzi del petrolio e quindi sulle economie mondiali è pressoché immediato.
Un aumento del prezzo del carburante colpisce l’economia in modo diretto e indiretto. Se la mobilità privata diventa più esosa, altrettanto possiamo dire per le merci. Quest’ultimo elemento porta a rincari generalizzati a tutti i livelli della catena produttiva e distributiva. I policymaker sono ben consapevoli di questi rischi e di certo non tralasciano i rischi prospettici. La situazione attuale non è rosea, ma cosa accadrebbe se venisse sferrato un attacco (indipendentemente dalle proporzioni) all’Iran?
Abbiamo proiezioni di analisti accreditati che vedono un ceiling intorno ai 160 / 200$ a barile. E questo costituirebbe un serio problema per le economie occidentali ma anche per le economie in via di sviluppo, soprattutto se tali prezzi si mantenessero nel lungo periodo.
Quali sono le leve di controllo, ammesso che ce ne siano, per cercare di contenere tali aumenti sproporzionati nel costo del petrolio?
E’ necessario a questo punto distinguere tra interventi per il breve e per il lungo termine. E’ chiaro che sul lungo termine gli interventi siano tutti di natura strutturale (diversificazione delle fonti, miglioramento delle strutture di distribuzione e trasporto dei carburanti, efficienza energetica, ecc.). Nel breve periodo l’unica leva disponibile è il ricorso alle riserve strategiche di petrolio. In linea di massima ogni nazione possiede uno stock di riserva di petrolio, utilizzabile solo in specifiche situazioni e comunque per un breve periodo.
Negli ultimi mesi, le riserve strategiche di petrolio (in inglese Strategic Petroleum Reserve, SPR d’ora in poi) hanno assunto un ruolo più “politico”. Non tanto per far fronte a crisi di approvvigionamento, quanto per calmierare i prezzi di mercato del petrolio. In altre parole, le SPR vengono utilizzate per contrastare la speculazione.
Lo leggiamo chiaramente nelle parole del deputato americano Ed Markey1 rivolte al presidente Obama:
Releasing even a small fraction of that oil could once again have a significant impact on speculation in the marketplace and on prices (…)
In altre parole si auspica un rilascio di SPR (anche di piccola entità) in quanto è stato dimostrato (forse, ndr) che ciò potrebbe avere un notevole effetto sulla speculazione e sui prezzi del petrolio.
La domanda che molti analisti, noi compresi, ci stiamo ponendo è se l’immisione di SPR possa effettivamente avere un qualche effetto sulla speculazione e sui prezzi. Si prenda ad esempio proprio il caso americano. Nel corso del 2011 si è verificato un ricorso alle SPR tra il 23 e il 24 giugno. Come possiamo vedere dal grafico, in realtà, l’andamento dell’indice S&P è simile all’andamento del prezzo del petrolio. Il rilascio di riserve strategiche quindi non rappresenterebbe una leva efficace per contrastare l’aumento dei prezzi. Chiaramente è solo un esempio, e non possiamo assurgerlo a paradigma. Nel mondo accademico e della finanza, per dovere di cronaca, va detto che esistono voci differenti. C’è chi sostiene che il rilascio di SPR invece contribuisca a calmierare i prezzi di mercato.
In questi giorni stanno circolando insistenti voci circa il rilascio di SPR, per tentare di frenare la corsa al rialzo che ormai sembrava puntare dritta ai 110$. Sebbene molti analisti vedessero il target a 110$ piuttosto lontano, va detto che anche un petrolio a 106 / 107$ al barile in questo momento e in questo contesto economico è assolutamente deleterio. Attualmente il prezzo del petrolio sta registrando un calo (all’atto di scrivere quota addirittura 102$). Nei prossimi giorni cercheremo di capire l’andamento del prezzo, anche se possiamo anticipare che alcuni analisti parlano già di un target minimo intorno ai 95$. Tale calo, che verrà approfondito in un prossimo appuntamento su GPC, al momento sembra dovuto principalmente al calo della domanda di benzina da un lato e all’aumento dello stock di riserve dall’altro. Questo è un segnale forte per i mercati, sempre timorosi di uno shortage. Il calo della domanda e l’aumento dello stock dovrebbero mettere al sicuro (almeno gli USA, in questo caso) da eventuali carenze di carburante, quale che sia la causa delle ristrettezze.
Vi è un ulteriore aspetto collaterale (o forse è il principale?). In questo modo viene lanciato al mondo e soprattutto a determinate zone geografiche, un segnale molto forte: abbiamo abbastanza scorte per far fronte ad eventuali tagli dell’offerta di petrolio.
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