Nel 1978 l’allora presidente egiziano Sadat e il primo ministro di Israele Begin, firmarono uno storico trattato di pace tra Israele ed Egitto, un trattato che ha garantito oltre 35 anni di pace tra i due stati mediorientali e una collaborazione tra Il Cairo e Tel Aviv che è andata oltre gli accordi firmati alla presenza del presidente americano Jimmy Carter. Quell’accordo però costò la vita a Sadat, che morì in un attentato organizzato dai Fratelli Mussulmani, attentato che quasi costò la via anche al vice di Sadat, Moubarak. I fratelli mussulmani hanno sempre osteggiato l’accordo di pace con Israele, ritenendo una lesione dell’onore nazionale l’obbligo della smilitarizzazione della penisola del Sinai, dimenticando che gli Israeliani erano arrivat ifino al Canale di Suez e l’Egitto aveva perso la guerra. Durante la recente campagna elettorale, dominata e vinta da Morsi, un fratello mussulmano, il tema degli accordi di pace di Camp David è stato più volte nominato, anche se spesso a mezza voce, dai candidati. Ai nostri analisti è apparso subito chiaro che il presidente Morsi e il suo partito avrebbero fatto di tutto per modificare quegli accordi. Morsi ha aspettato, e in parte sta ancora aspettando l’occasione giusta per portare il proprio affondo sulla questione. Un primo importantne passo lo ha fatto dopo l’attacco di un gruppo terroristico al confine con Israele, proprio nel Sinai. Dopo l’attacco notturno ad un posto di frontiera che è costato la vita a 16 militari egiziani, le autorità di Israele hanno invitato l’Egitto a controllare meglio la zona di frontiera. Il nuovo presidente non si è lasciato scappare l’occasione e, con il benestare di Israele, ha inviato nel Sinai alcune compagnie meccanizzate ed un piccolo numero di elicotteri d’attacco Apache. Pochi giorni dopo ha esautorato il ministro della Difesa, Gen. Tantawi, uno dei suoi più agguerriti oppositori e con lui il capo di stato maggiore della difesa e i comandanti in capo di aeronautica, esercito e marina, elimiando buona parte di quei generali che avrebbero potuto opporsi a suoi ordini diretti. Un vero e proprio repulisti, interpretato da molti analisti come il desiderio del presidente egiziano di liberarsi di quegli uomini che avevano buoni rapporti con gli israeliani. Morsi ha accompagnato questi fatti con dichiarazioni pubbliche concilianti verso i partner occidentali e ribadendo la propria volontà di rispettare i trattati di pace con Israele. Tuttavia l’esercito dell’Egitto si prepara a schierare un numero sempre maggiore di truppe nella penisola demilitarizzata del Sinai e questa volta senza chiedere il permesso a nessuno. La risposta americana è stata debole, come sempre quando un governo, quale esso sia, associa fatti bellicosi a parole distensive. L’amministrazione americana tende a non evidenziare i fatti bellicosi e tende a dare credito alle parole concilianti. In questo contesto e ricordando uno degli obiettivi principali dei fratelli mussulmani ( la riconquista della piene sovranità sul Sinai ) il nostro team ritiene altamente probabile che nei prossimi mesi si possa assistere ad un aumento dell’attività militare egiziana nel Sinai che vada oltre i limiti posti dagli Accordi di Camp David del 1978. Attività che riporterebbe una discreta presenza militare egiziana in una zona cuscinetto fondamentale per Israele, proprio in una fase della storia dove Tel Aviv si trova impegnata a fronteggiare la minaccia iraniana e tenere in grande considerazione gli avvenimenti in Siria e nel sud del Libano. Morsi e i fratelli mussulmani potrebbero cercare di approfittare del possibile conflitto tra Israele Iran e Hezbollah per riprendersi con un colpo di mano la piena sovranità del Sinai, e rendendo ancora più precaria la condizione di Israele che nella regione ormai può contare solo sulla neutralità della Giordania. In questa situazione chiudere i conti con Tehran prima della prossima primavera diventa per Israele un esigenza ancora più pressante.