Isolare la Russia, isolarla ad ogni costo e con qualunque mezzo, anche a costo di irritare, o alienarsi la fiducia, dei propri alleati, anche al prezzo di sacrificare la lotta per i diritti umani (si ma solo dei prigionieri politici), questa è la strategia pensata dal presidente americano Obama per mettere in difficoltà la Russia e il suo presidente Vladimir Putin.
Tutto è iniziato con le riduzioni di budget alla difesa decise da Obama all’inizio del suo primo mandato, tagli che hanno compromesso la capacità americana di reagire in maniera compiuta a due crisi maggiori simultaneamente in due aree distinte del Globo. In conseguenza di questa scelta il presidente americano, da sempre molto vicino alle problematiche dell’area Pacifica, ha deciso di concentrare la maggioranza delle forze militari americane nell’estremo oriente e nell’Oceano Pacifico, ripercorrendo a cento anni di distanza le scelte strategiche del presidente americano Wilson.
Ma per garantirsi la supremazia in Europa, risultava indispensabile rendere inoffensiva la Federazione Russa, o meglio far si che la Russia dovesse impegnarsi in attività di difesa della propria area di influenza del 2009, e non cercasse di avere accesso, per le sue aziende e per le sue forze armate a nuove regioni delle geopolitica mondiale, come ad esempio il mediterraneo e l’Europa centro-meridionale.
In questa ottica va letto il supporto attivo degli Stati Uniti alle “primavere arabe”, rivoluzioni che hanno determinato con un effetto domino la caduta della Tunisia di Ban Alì, quindi dell’Egitto di Mubarak, infine della Libia di Gheddafi dove la Russia aveva la sua più importante base navale oltre i confini della Federazione, il cui contratto si utilizzo fu annullato dal nuovo “governo” libico nei primi giorni dopo la caduta di Gheddafi. Alla Russia quindi restava solo la base secondaria di Tartus, ma lo scoppio della guerra civile in Siria ha messo in dubbio anche l’ultimo approdo della flotta russa nel Mediterraneo senza il quale, la Russia sarebbe stata esclusa da quello che a nostro avviso è ancora un Mare strategico per il commercio mondiale.
Fu nei giorni dell’estate del 2013 che lo scontro tra Russia e Usa divenne da indiretto a diretto. Fu in quei giorni, mentre si parlava di armi chimiche, di stragi a Damasco e nel nord della Siria, e mentre il presidente americano era pronto a lanciare un attacco finale contro il regime di Al Assad, che il presidente russo Putin schierò la residua flotta navale russa del Mar Nero davanti alle coste della Siria, pronta a difendere con le armi l’alleato siriano (e la base di Tartus) contro qualsiasi nemico, America. In quei giorni il mondo, senza rendersene conto, fu prossimo ad un conflitto tra Stati Uniti e Russia, e fu in quel momento che la strategia del presidente Obama, atta ad isolare la Russia ad ogni costo, prese ancora più vigore.
L’America di Obama, forse anche contro le indicazioni dell’Office Of Net Assessment, decise di cercare ad ogni costo un accordo con l’Iran. Israele e i sunniti, da sempre avversari, se non nemici, si ritrovarono di colpo spiazzati. L’alleato Americano, il presidente che ad ogni telefonata ribadiva la volontà di impedire l’espansione iraniana, per perseguire i suoi ideali, e la sua guerra personale contro il presidente russo (che di fatto lo aveva obbligato ad una indecorosa ritirata a riguardo dei bombardamenti sulla Siria), non riteneva obiettivi primari la sicurezza, e la stessa esistenza di Israele e del regno dei Saud.
A queste notizie Israele e i sauditi reagirono in maniera differente. Israele attuò dei sabotaggi e attività clandestine contro gli impianti atomici iraniani, nonché assassini mirati in Libano, Siria e Iran. I sauditi foraggiarono ogni formazioni non sciita in Irak e Siria, dando ossigeno a quella galassia integralista che poi ha avuto la capacità di evolversi e sostenersi senza più freni.
Ma la strategia americana è proseguita con l’appoggio e il supporto della rivoluzione in Ucraina, e la possibile estromissione della Russia dalla base navale di Sebastopoli, fatto che avrebbe comunque comportato l’estromissione della Russia dal mediterraneo, e quindi concretizzato per gli USA la possibilità di concentrare le forze navali ad oriente. Anche in quel frangente siamo stati prossimi ad uno scontro tra USA e Russia. Per stessa ammissione del presidente russo, mentre egli ordinava la presa “manu militari” della Crimea, le forze nucleari strategiche russe furono messe in stato di massima allerta e pronte ad agire nel caso in cui la Casa Bianca avesse cercato di impedire la conquista russa della Crimea.
Con la Crimea in mani russa il presidente Obama ha ulteriormente spinto la sua politica di avvicinamento a paesi che gravitano, o per meglio dire che gravitavano, nella sfera di influenza russa. Parliamo sempre dell’Iran ma anche di Cuba.
Dopo la presa della Crimea l’Amministrazione Obama ha fatto concessioni enormi a Cuba e all’Iran pur di avvicinare Teheran e L’Avana a Washington. A Cuba, il presidente americano, ha smesso di contestare la mancanza di libertà politica, la presenza nelle carceri cubane di prigionieri politici, e con grande probabilità ha promesso la restituzione della base militare di Guantanamo Bay, reclamata da Castro fin dal 1º giorno dopo la vittoria della rivoluzione comunista.
All’Iran Obama consente di diventare l’hub mondiale dell’espansionismo sciita, della lotta politica, miliare e e clandestina contro i sunniti e contro Israele, e consente all’Iran di dotarsi dell’arma atomica tra 8/10 anni. Sì un Iran atomico che innescherà una corsa agli armamenti nel Golfo e sulle sponde del Mediterraneo ma che sarà anche il faro dell’irredentismo Mussulmano nel caucaso oggi controllato dalla Russia. L’Iran atomico non è un problema immediato per gli USA ma sarà un problema immediato per la Russia. L’Iran è già e sarà ancora di più un competitor della Russia per le forniture di energia all’Europa e alla Cina, ed un Iran atomico sarà il faro dai Mussulmani che desiderano un loro stato teocratico in quel caucaso oggi faticosamente controllato direttamente o indirettamente dalla Russia. Oggi la Russia concede molto all’Iran, in quanto per i prossimi 2/4 anni la Repubblica Islamica non rappresenterà una seria minaccia per Mosca. Mosca venderà all’Iran anche tecnologia militare, ma non cederà alla Repubblica Islamica ne uno stock imponente di pezzi di ricambio, ne tantomeno esporterà tecnologia di ultima generazione, un modo tale da mantenere un vantaggio strategico su Teheran.
Gli Stati Uniti stanno spendendo capitali ingenti per questa strategia. Non parliamo di capitali monetari, non parliamo di voci che incidono sul budget dello stato, parliamo di capitali ancora più preziosi, parliamo dei valori, delle alleanze storiche degli USA, della fiducia nell’alleato che questa amministrazione ha letteralmente distrutto. I nemici hanno ottenuto concessioni, gli amici subito danni, tutto per contenere la rinascita russa in maniera asimmetrica e sul piano del sotterfugio e del cavillo, piuttosto che sul palese piano militare, diplomatico o politico. Questa amministrazione USA il pugnale ed il veleno, non la spada per difendere i propri scopi.
Ma a cosa porterà questo modus operandi?
Ecco questo sarà l’oggetto di un nostro mini net assessment nelle prossime settimane, nel quale strategia, forza militare, economia, psicologia dei leader e la potenza della geografia degli attori mondiali verranno valutati in un complesso scenario. Ci servirà tempo ma sarà molto interessante…..