Il regime iraniano anche se in silenzio e senza darne troppo risalto sta organizzandosi per fronteggiare imponenti proteste interne, proteste che potrebbero originare senza molto preavviso in particolare nei campus universitari, nelle grandi città dell’Iran, ed in modo particolare a Tehran. In questa ottica le forze paramilitari dei Basij avrebbero effettuato nei giorni scorsi esercitazioni simulando azioni anti-sommossa nelle aree metropolitane e altre esercitazioni sarebbero previste nella zona di Theran. Ma è un’altro l’indicatore di quanto il regime iraniano tema le proteste interne. Secondo fonti purtroppo non confermate pienamente sarebbero stati sospesi gli invii di volontari nelle aree di crisi estere nell’ottica di un possibile utilizzo di tali forze, particolarmente fedeli al regime, sul suolo nazionale.
Le sanzioni internazionali stanno alimentando lo scontento, così come la disoccupazione e la sempre crescente inflazione stanno spingendo molti tra i moderati ad organizzarsi per tentare una “primavera di Tehran”. Ma l’effetto più importante delle sanzioni è stato far percepire il regime come una piramide instabile, una costruzione dalle fondamenta fragili e non una entità destinata a durare in eterno. Le valutazioni discordanti di diversi analisti avevano frenato l’applicazione delle sanzioni internazionali, temendo che esse potessero rafforzare la presa del regime sul popolo iraniano. Così invece non è stato, anzi far apparire il regime vulnerabile sta dando coraggio a una moltitudine di iraniani “normali” che ora pensano di poter contribuire a cambiare il destino del proprio paese. Ma il potere repressivo del regime è ancora molto forte e questa capacità di repressione basata sui volontari Basij e sulle guardie della rivoluzione sta frenando la voglia di rivoluzione che serpeggia in Iran. Il regime inoltre non è aiutato dal supporto che fornisce massicciamente all’ alleato siriano Al Assad, il popolo iraniano lo ha individuato come un esempio negativo, come un tiranno che difende il proprio potere usando le armi contro il proprio popolo, forse come un simulacro della leadership iraniana. Contestando Al Assad gli oppositori iraniani contestano il regime di Tehran.
In questa ottica andrebbero valutati gli effetti di uno Strike americano contro i siti nucleari iraniani. Anche su questo scenario gli analisti si dividono. Alcuni, la maggioranza in realtà, credono che un attacco contro i siti nucleari degli ayatollah combatterebbe il paese contro il nemico interno, altri e tra questi parte dei nostri analisti credono invece che uno Strike “chirurgico” che abbia come obbiettivi solo siti militari legati al programma nucleare e le principali installazioni delle Guardie della Rivoluzione e delle milizie paramilitari possa essere la scintilla che faccia divampare un nuova rivoluzione in Iran. Questo perchè il regime perderebbe definitivamente la propria aura di invincibilità e contemporaneamente le strutture di comando e controllo delle forze deputate alla repressione delle rivolte interne si troverebbero nel caos, impegnate più a sopravvivere che a contrastare i dimostranti. Siamo tuttavia coscienti del forte nazionalismo iraniano e per questo motivo lo Strike dovrebbe indebolire selettivamente le forze più fedeli al regime lasciando quasi intatte le capacità dell’esercito, il quale avrà sicuramente un ruolo determinate nella possibile futura rivoluzione iraniana.