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Food equity? Una chimera

Image by Morguefile.com

Nei mesi scorsi abbiamo parlato più volte di commodities e in particolare di materie prime alimentari. Abbiamo brevemente indagato le cause dei recenti e costanti aumenti delle materie prime alimentari che a cascata hanno comportato l’aumento di tutti i lavorati e semi-lavorati della stessa filiera. Tra le principali cause individuate, sicuramente il costo del carburante sia per la trazione dei mezzi agricoli, sia per il trasporto delle derrate, ha influito notevolmente sul prezzo finale delle materie prime. Tuttavia i nostri lettori ben sanno che altri fattori hanno avuto un influsso negativo sul prezzo: la speculazione finanziaria e i biofuel.

Tutti temi ampiamente dibattuti, ma sui quali vorremmo fare una sorta di riepilogo. Ciò si rende necessario soprattutto in seguito a numerose affermazioni, provenienti da più parti, sulla necessità di combattare la guerra dei prezzi sui beni alimentari di base.

Una su tutte, è stata l’affermazione da parte della FAO e dell’ONU (ma anche dell’UE) a sostegno di una riduzione dell’utilizzo di bio carburanti, laddove e soprattutto se in competizione con la produzione agricola a fini alimentari. Questa ed altre affermazioni, che vedremo più avanti, hanno trovato la corretta soluzione?

Partiamo dalle questioni più spinose.

La speculazione finanziaria

Intorno a metà degli anni ‘90 la deregulation sui mercati finanziari ha aperto la strada alla speculazione sulle materie prime alimentari. Vale la pena ricordare che strumenti derivati sono sempre stati utilizzati per coprire rischi insiti nell’attività stessa agricola. Ci si domanda adesso come mai, oltre ad un aumento generalizzato dei prezzi, si assista ad una notevole volatilità dei prezzi delle commodities. Un po’ di numeri: gli scambi in derivati su commodities ammontano a circa 9000 miliardi di dollari. Il 90% di questi scambi avviene OTC1 , mentre il 96% di tutte le transazioni su derivati fa capo a 5 banche. Dicevamo che negli anni ‘90 si è assistito alla deregolamentazione delle transazioni su commodities alimentari: da allora il profilo degli investitori è decisamente cambiato. Oggi il rapporto tra gli speculatori finanziari e gli investitori veri e propri è di 4 a 1. Una decina di anni fa, il rapporto era inverso.

Le commodities alimentari sono state inserite all’interno dei panieri degli index fund con lo scopo di proteggere gli investitori dal rischio derivante dall’investimento in altri settori più dinamici. Gli index fund normalmente hanno un profilo di investimento “lungo”2 in uno scenario di prezzi crescenti e sicuramente tendono a mantenerlo più a lungo di un investitore di tipo commerciale. A prezzi crescenti, mantenere l’investimento, tende a far crescere ulteriormente i prezzi che, a sua volta, tende ad attrarre altro capitale speculativo, contribuendo in ultima analisi a generare volatilità sui prezzi. Essendo strumenti particolarmente sicuri, hanno rappresentato l’investimento ideale nel periodo 2002 – 2008 che ha visto l’insorgere della crisi dei subprime. E’ stato questo meccanismo della deregulation e degli index fund che ha determinato il sorpasso del capitale speculativo sul capitale degli operatori commerciali.

Vi è un ulteriore meccanismo che amplifica ed aggrava la volatilità dei prezzi alimentari. Gli index fund, infatti, sono costituiti da commodities alimentari per non più del 30% dell’intero valore nominale. In media, in realtà, ben il 75% è costituito da futures sulle materie prime energetiche.

E allora i nostri lettori avranno già capito che gli index funds sono mossi principalmente dall’andamento del prezzo del petrolio che, a sua volta, è caratterizzato da estrema volatilità. Questa volatilità si somma a quella delle commodities alimentari, indipendentemente dall’andamento del mercato dei prezzi agricoli.

Questo è il meccanismo principale speculativo sulle commodities alimentari e se negli ultimi anni si è fatto poco per cercare di superare la discrasia di questo mercato deregolamentato, è altrettanto vero che il problema è stato finalmente portato all’attenzione dei tavoli che contano. Per il momento, senza alcun risultato tangibile.

I biocarburanti

Di biofuel ne abbiamo parlato già ampiamente nei mesi scorsi. In questo contesto ricordiamo rapidamente che molti studi imputano alla sola domanda statunitense di etanolo ben il 21% dell’aumento del prezzo del granoturco. Gli Stati Uniti ormai consumano una quota pari a circa il 40% della produzione interna di granoturco.

La nostra attenzione e quella degli analisti in genere è sempre intorno al granoturco, in quanto questo alimento è alla base dell’alimentazione di almeno un miliardo di esseri umani e costituisce inoltre mangime per una serie di animali da cortile.

Dal momento che di questo argomento ne abbiamo trattato pochi giorni orsono, non ci dilungheremo in questa sede e vi rimandiamo alla lettura di “Starving for biofuel”.

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L’utilizzo di terreni agricoli per i biofuel ha effetti soltanto negativi sulle economie di sussistenza. Ricapitoliamo qui i motivi:
1) contribuisce all’aumento della volatilità dei prezzi delle materie prime alimentari;
2) contribuisce all’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari e di prodotti da esse derivati;
3) contribuisce allo smantellamento del tessuto agricolo locale dei paesi in via di sviluppo, in favore delle più favorevoli importazioni da paesi con economie agricole sussidiate.
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Land grabbing

Questo fenomeno è strettamente connesso al precedente, sebbene abbia anche altre cause. La produzione, sia essa agricola alimentare o per bio carburanti, necessita di sempre maggiori superfici da coltivare e dato il maggior costo del terreno nei paesi occidentali, i grandi produttori (ma anche investitori finanziari) acquistano dove è più conveniente, in particolar modo in Africa e in Centro / Sud America. L’effetto, in questo caso, è tutto speculativo in quanto da un lato fa aumentare vertiginosamente il costo per ettaro dei terreni agricoli, portandolo de facto fuori dalla portata del contadino autoctono. Dall’altro lato inoltre spinge il contadino a cercare altrove terreni sui quali coltivare, terreni assolutamente marginali in termini di produttività costringendolo a ridurre il proprio paniere di consumo e il proprio introito monetario, derivante dalla vendita dei prodotti delle terra.

Riserve alimentari

In questi anni le riserve alimentari hanno toccato i livelli storicamente più bassi. L’immagazzinamento è basso e lo è ormai dal punto di vista strutturale. Tali livelli minimi, chiaramente, espongono l’andamento del prezzo delle materie prime alimentari a potenziali shock dal lato dell’offerta. E’ ancora nella memoria di tutti noi l’effetto nefasto dell’ondata di siccità che colpì gli USA l’estate del 2012. I prezzi delle materie prime andarono alle stelle, per poi calmierarsi soltanto dopo l’arrivo di notizie positive dall’andamento dei raccolti in altre nazioni, garantendo la continuità nell’approvvigionamento.

Cambiamenti climatici

A più riprese si è tentato di agganciare il dibattito sui cambiamenti climatici a quello sulla produzione agricola alimentare. In particolar modo si è cercato il nesso tra i cambiamenti climatici e l’aumento del prezzo delle materie prime alimentari. L’ultimo round di incontri avvenuto a Doha, di fatto non è riuscito nell’intento sebbene ci sia accordo tra i governi nel dover disegnare un meccanismo che riesca a compensare le future previste maggiori perdite nel settore agricolo per via dell’aumento delle temperature globali.

Prospettive

Come fatto notare da più parti, in particolar modo nell’ultimo Commodity Report della World Bank3, nonostante i prezzi delle principali commodities sono previsti in calo nel corso del 2013, nessuno dei fattori strutturali che ha determinato l’aumento dei prezzi degli ultimi anni è stato rimosso. Per un maggiore dettaglio delle voci principali, si osservi la tabella successiva tratta dal report sopra citato.

Tratto dal World Bank’s Development Prospects Group Commodity Market Outlook

E’ chiaro che l’alleggerimento dei prezzi sulle materie alimentari è principalmente determinato dalla previsione ribassista del prezzo del petrolio (che in ogni caso è visto ad un costo medio superiore alle attuali quotazioni, ovvero intorno ai 102$ a barile). Fatta salva questa premessa, rimane la consapevolezza della fragilità del sistema alimentare mondiale così fortemente legato ai driver brevemente elencati in questo articolo. Una delle mission di GeoPoliticalCenter è di agire come osservatorio imparziale della questione alimentare e come sempre da quando scriviamo, ve ne renderemo conto.

  1. http://www.ase.tufts.edu/gdae/policy_research/resolving_food_crisis.html#speculation []
  2. http://it.wikipedia.org/wiki/Fondi_comuni_di_investimento#Gli_index_fund []
  3. http://siteresources.worldbank.org/INTPROSPECTS/Resources/334934-1304428586133/Commodities2013A_FullReport.pdf []