Ne avevamo parlato proprio qualche giorno fa nell’ultimo nostro editoriale, la crisi greca ha focalizzato l’attenzione di un continente intero su di se ed ha fatto perdere di vista altre problematiche che minacciano direttamente la nostra società.
Prima tra tutte la minaccia del terrorismo internazionale che si è manifestato al Cairo contro la nostra sede consolare nella capitale egiziana. L’atto è gravissimo e sebbene sia stato derubricato a “avvertimento” da numerosi media evidenzia come il nostro paese sia il primo della lista negli obiettivi da colpire nel continente europeo. Un aspetto che come dicevamo sfugge ai media tradizionali, nonostante il nostro Ministro degli Esteri On. Paolo Gentiloni, abbia da subito e chiaramente identificato nell’Italia il vero obiettivo di questo attentato.
Certo l’autobomba, che noi stimiamo essere stata imbottita con 250/300 Kg di tritolo, è stata fatta detonare all’alba quando la sede consolare, il circolo culturale e la scuola erano ancora chiusi e quando il traffico nella zona era ridotto; non per questo si può dire che questo attentato sia stato un “avvertimento”, contrariamente se l’ordigno fosse stato fatto esplodere all’ora di punta avrebbe causato una ondata di indignazione internazionale che avrebbe causato una reazione di ampia portata contro gli autori della strage, fatto che i pianificatori del gesto terroristico non volevano innescare. Ma perché quindi compiere un attentato contro l’Italia, perché abbattere fisicamente un simbolo della presenza italiana in nord Africa?
Le ipotesi sono molteplici. Prima fra tutte a nostro avviso le massicce forniture di armi ai curdi della Siria e dell’Irak da parte del nostro paese e la presenza in quelle aree di contingenti militari italiani che svolgono il ruolo di consiglieri militari per le truppe Peshmerga.
Altra ipotesi è l’aumentata attività di intelligence italiana in Libia, in vista di una possibile azione atta a ridurre gli introiti dei trafficanti di uomini che fanno attraversare il mediterraneo a decine di migliaia di profughi e clandestini (migranti economici), traffico che frutta alle organizzazioni terroristiche 2000/2500 dollari per ogni uomo donna o bambino che tenta la traversata.
La terza ipotesi è legata alla relativa vicinanza, sebbene mai esteriorizzata in maniera palese, del nostro paese all’Egitto di El Sisi, e della mancata condanna pubblica delle sentenze capitali pronunciate contro i vertici della fratellanza mussulmana.
La quarta ipotesi è la meno probabile e mette in relazione il furto del software RCS (Remote Control System) creato da Hacking Team (HT) e rubato da un pirata informatico non identificato nelle scorse settimane, furto culminato nella messa in rete del software lo scorso 6 luglio. La perdita del codice di RCS ha compromesso l’unidirezionalità del software stesso trasformando i cacciatori di informazioni in possibili prede. A seguito di questo fatto Hacking Team ha fortemente consigliato i suoi utilizzatori di sospendere l’esecuzione del software. Tra questi utilizzatori c’è il nostro governo. Non sappiamo se oltre a RCS la nostra intelligence dispone di simili programmi per la sorveglianza attiva a distanza, che possano rimpiazzare il Software di HT. Nella malaugurata ipotesi che i nostri servizi contassero solo su RCS la nostra intelligence dal 6 luglio è privata di uno strumento fondamentale per la prevenzione degli atti terroristici, fatto che potrebbe aver favorito la messa in atto dell’attentato del Cairo. La coscienza delle nostre ridotte capacità di intelligence da parte dei terroristi potrebbe aver quindi determinato in parte la scelta di colpire un obiettivo italiano.
Se così fosse il gruppo terroristico responsabile dell’attentato va considerato una minaccia reale alla sicurezza nazionale, non solo per le capacità organizzative dimostrate, ma per la padronanza del Cyber Spazio, e per la presenza di una leadership in grado di eseguire una valutazione strategica di ampio respiro e di medio lungo termine.
Certo a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca….