Attenzione quello che segue è uno scenario futuribile, non è la realtà di fatti realmente accaduti.
Stretto di Hormuz una salva di missili da crociera appare sui radar della Task Force della portaerei classe Nimitz “Abraham Lincoln” le difese antimissile reagiscono ma sono quasi saturate, pochi secondi dietro i missili da crociera subsonici una dozzina di missili antinave supersonici Yakhont ( SS-N-26 ) vengono individuati a pochissimi metri dalla superficie marina, nel momento in cui accendono i loro radar di ricerca finale del bersaglio. Sulla Lincoln suonano le sirene di allarme, le difese di punto ingaggiano i bersagli ma i missili sono troppi per il tempo disponibile, e colpiscono. La Lincoln brucia, pochi minuti dopo, nel caos generale, quattro siluri di un sottomarino classe Kilo Iraniano la finiscono, la Lincoln e il suo equipaggio affondano.
Lo Stretto di Hormuz è ora di fatto chiuso, non da un campo minato ma dal relitto di una portaerei americana classe Nimitz, dai suoi reattori nucleari e dalle armi atomiche imbarcate che giacciono a 75 metri di profondità.
Come si potrebbe arrivare ad uno scenario come questo? Quali le risposte americane?
La decisione Iraniana:
Inizio Gennaio 2012 Teheran, Residenza del Grande Ayatollah Alì Khamenei, si riuniscono il comandante dell IRGC, il capo di stato maggiore dell’esercito, il comandante della marina, il nuovo responsabile del programma missilistico, il responsabile del programma nucleare militare e due analisti che godono della stima del Grande Ayatollah. Il Presidente Ahmadinejad è in America Latina alla spasmodica ricerca di alleati. Ai presenti viene chiaramente indicato che non solo il programma nucleare è a rischio ma che la stessa sopravvivenza del regime è messa in forse da un possibile attacco congiunto di Americani, Inglesi, Israeliani e delle Monarchie Sunnite del Golfo. L’opposizione è pronta alla rivolta la calma di questi giorni in Iran, solo apparenza. I presenti iniziano a discutere, cosa fare? Accettare le ispezioni, rinunciare alle armi nucleari, e poi fare la fine della Libia, che anche per colpa di quegli accordi non si è potuta difendere? Aspettare l’attacco dei nemici per rispondere duramente; e se restasse poco con cui rispondere dopo un bombardamento cui il mondo moderno non ha mai assistito? Oppure prendere l’iniziativa e attaccare per primi e dimostrare che con l’Iran nulla è semplice? Ma l’Iran non ha mai attaccato per primo, serve un “casus belli”, serve una motivazione più che concreta.
La motivazione è lì a disposizione di tutti, gli analisti devono solo sottolinearla: le acque ad ovest di Hormuz sono, secondo tutti i presenti alla riunione, acque territoriali Iraniane, circondate dagli isolotti reclamati dagli Emirati ma occupati dall’Iran i cui nomi sono “the Greater Tunb, the Lesser Tunb, and Faroor”, noi le conosciamo come Turb Al Kubra, Turb As Sughra e Abu Musa. I presenti annuiscono, del Grande Ayatollah basta un gesto. La decisione è presa se una portaerei americana, passerà in quel braccio di mare verrà ritenuta ostile e attaccata, l’Iran avrà risposto ad una violazione territoriale e questa non sarà nemmeno la prima, dopo la violazione territoriale ad opera del drone americano abbattuto nell’est del paese.
Vengono interpellati gli ingegneri nucleari, viene posta loro una domanda precisa, l’affondamento di una portaerei nucleare così vicino al paese, è pericolosa per la popolazione, ma soprattutto i reattori sul fondo dello stretto potranno di fatto bloccare il traffico commerciale? Gli ingegneri rispondono che i reattori delle portaerei sono progettati per resistere all’afondamento della nave e che difficilmente potrebbero essere danneggiati gravemente da un attacco alla portaerei, certo che se il contenimento cedesse l’impatto sull’aerea sarebbe devastante e non solo dal punto di vita psicologico. Inoltre i noccioli dei reattori e le armi nella santabarbara della nave andrebbero recuperati dal fondo dello stretto e durante tutte queste operazioni la via del petrolio rimarrebbe chiusa, probabilmente per molto più tempo rispetto a quello che sarebbe necessario per bonificare lo stretto dalle mine iraniane. Fare affondare in quel punto una portaerei nucleare americana vorrebbe dire chiudere Hormuz per mesi.
Viene poi valutata la risposta americana alcuni, nel fervore dell’entusiasmo, rispondono che gli americani fuggiranno e che non avranno più il coraggio di tornare, che sono in crisi, che non hanno le risorse e lo spirito per sopportare un tale colpo. Gli analisti non fanno nemmeno in tempo ad aprire bocca che la più alta carica iraniana parla: da esperto di strategia raffredda gli ottimismi, spiega cosa probabilmente accadrà e quale sara’ la portata della ritorsione americana, ma spiega anche perchè affondare una portaerei è l’unica speranza che ha il regime di sopravvivere alla guerra.
La risposta americana
Chi comanda a Teheran spiega però ai presenti un’altro aspetto della questione.
Il simbolo della potenza militare USA che affonda potrebbe scatenare un effetto di rivolta anti americana in mezzo mondo, potrebbe forse aprire il fronte Coreano, potrebbe far si che in Sud America, i leader rivoluzionari anti americani, dopo Che Guevara, ritrovino un nuovo esempio da seguire nei Pasdaran Iraniani. Nessuno in Iran si illude che Cina e Russia si muovano, ma chi da gli ordini a Teheran spera e pensa che gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a fronteggiare due o tre fronti contemporaneamente e non potrebbero focalizzare le loro forze per sradicare il regime. Per quanto riguarda l’opposizione interna una così grande dimostrazione di capacità militare potrebbe rendere più incerto il tentativo di una rivoluzione laica, che senza lo slancio necessario fallirebbe.
Così in questo nostro scenario, per la verità molto ardito, in Iran si è deciso di prendere l’iniziativa, speriamo che tale scenario rimanga solo un esercizio accedemico e che nessuno lo veda, se non realizzato, nemmeno tentato.