Qualcosa non torna. Le istituzioni finanziarie internazionali, in primis le banche centrali, hanno aumentato in maniera massiccia la disponibilità di denaro nel sistema. Questa enorme massa monetaria, spesso ottenuta aumentando il debito pubblico, doveva servire per ridare slancio all’economia, far ripartire gli investimenti, determinare il ritorno al lavoro dei disoccupati e interrompere il circuito vizioso della recessione.
Così invece non è stato. I soldi, i soldi pubblici, i nostri soldi, sono finiti ad alimentare la speculazione finanziaria dei cosiddetti “poteri forti”. Grandi società multinazionali, entità finanziarie e soggetti nati dall’intreccio di queste stessi blocchi di potere hanno utilizzato la liquidità, ottenuta a tassi di interessi irrisori, per migliorare i loro bilanci e generare ulteriori profitti senza avere prodotto ricchezza reale nel sistema.
Questo meccanismo di utilizzo del denaro pubblico non si è evidenziato solo negli Stati Uniti o nella City londinese, ma ha avuto casi eclatanti anche nel nostro paese. Facciamo l’esempio di Monte dei Paschi, una banca, una azienda privata, fallita per errori della dirigenza, errori che sono stati pagati dallo Stato italiano. L’Italia, quindi noi tutti, abbiamo finanziato Monte dei Paschi con più di 4 miliardi di euro, quattro miliardi che il sistema bancario non impiegherà per il bene pubblico.
Poi, per assurdo, sempre il governo italiano non trova 400 milioni per riprendere il controllo di Telecom e garantire la gestione e il possesso di una infrastruttura strategica come la rete telefonica, non trova un miliardo necessario a mettere in sicurezza l’ILVA di Taranto entrando nel capitale dell’azienda e tutelare i posti di lavoro e tutto il settore dell’acciaio, non trova 500 milioni necessari ad un piano energetico per la Sardegna, un piano energetico per permettere il proseguo delle produzioni dell’industria nel Sulcis.
Il governo deve tutelare il lavoro, è il lavoro che genera ricchezza, prosperità e stabilità. Se l’Italia rinuncia al lavoro, quello dei settori primari, delle fabbriche della siderurgia e il lavoro dell’agricoltura, illudendosi di vivere di terziario di servizi o di green economy ha sbagliato tutto. Senza la ricchezza generata dal lavoro i servizi sono superflui, la sanità non può essere garantita, la stessa coesione sociale del paese non è realizzabile. Non c’è, e non ci deve essere destra o sinistra in questa battaglia per il lavoro. Una guerra che per essere vinta ha bisogno delle armi, come ogni guerra. E le armi di questa battaglia per il lavoro sono le fabbriche, le infrastrutture, l’innovazione.
Le armi sono gli operai, i dirigenti, le università e tutte le forze positive del paese che sono schiacciate dagli interessi personali della politica, una politica che guarda ad ottenere il massimo del potere ma non si cura del progresso della nazione, un potere che si ricicla che si auto sostiene e che spesso obbedisce solamente alla burocrazia, alla tecnocrazia, alla tirannide dell’Europa germanocentrica dei giorni nostri.