Gentiloni: In Libia rischiamo la nascita di una nuova Somalia
Il Mistro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha dichiarato che in Libia si rischia di veder sorgere una nuova Somalia, la Somalia senza legge diretta dai signori della guerra che diventò tra gli anni 80 e 90 un hub per il terrorismo internazionale, per il commercio illecito di armi e droga, e una landa dove solo la violenza permetteva ai più di sopravvivere.
Egli ha aggiunto che questo sarà il destino della Libia “se falliranno le iniziativi diplomatiche”. Su queste pagine il nostro gruppo da oltre due anni definisce la Libia una nuova Somalia e invoca un intervento militare in Libia, un intervento militare diretto, non l’ormai usuale utilizzo di formazioni locali finanziate per eseguire le direttive dei principali attori della geopolitica mondiale. Da due anni chiediamo una scelta di campo al nostro governo, una azione decisa e mirata, con chiari obiettivi e una chiara exit strategy che abbiamo delineato chiaramente in questa nostra analisi.
Più volte abbiamo ribadito che la guerra decisiva contro l’espansione del terrorismo internazionale si combatte oggi solo in Siria ed Irak, ma che sarà in Libia che si vincerà o si perderà la guerra contro il Califfato, e sarà in Libia che si potrà porre un freno alle ambizioni neo-ottomane della Turchia guidata dal partito del presidente Erdognan, una Turchia che gioca in Libia, fin dai tempi della rivoluzione contro Gheddafi, un ruolo tanto importante quanto attuato in maniera molto defilata, ma determinante per l’espansione delle formazioni islamiste.
Intervenire due anni fa in Libia sarebbe stato sicuramente doloroso ma fattibile. Nessuno invece ai vertici dello stato ha deciso di interpellare il Parlamento sulla possibilità di un intervento militare in terra di Libia, prima che essa possa veramente trasformarsi nella nuova Somalia, in quella Somalia che è ancora oggi un incubo del Corno d’Africa.
La Libia però non è la Somalia, non è a migliaia di chilometri dall’Occidente, la Libia è al Centro del Nord Africa e dello stesso mediterraneo ed è potenzialmente in grado di destabilizzare la totalità delle regione mediterranea, aprendo la strada al nuovo fondamentalismo islamico-ottomano.
Dovrebbe far riflettere il fatto che si paragoni la Somalia alla Libia, dovrebbe far riflettere il fatto che queste due terre abbiano una “sfortuna” in comune: essere entrambe ex colonie italiane, colonie di una nazione, che nel momento della necessità, per il timore dei politici di turno di perdere le propria poltrona a Roma, sono state abbandonate al loro destino.
Mentre abbandonare la Somalia non ha riverberato su di noi particolari effetti negativi diretti, abbandonare la Libia potrebbe causare effetti diretti sull’Italia, e l’esodo dei clandestini che senza sosta partono dalla Libia per essere raccolti della nostra marina, è solo il primo di questi effetti.
Bisogna agire signori e signore che sedete a Roma (agire con la forza, in supporto di una diplomazia che privata dello strumento militare è solo un vuoto esercizio accademico), forse perderete la poltrona ma aiuterete il paese; e proprio per questo temiamo che non muoverete un dito.
Nei link inseriti nel post trovate le nostra analisi degli ultimi due anni, ve le proponiamo in quanto rappresentano in maniera documentale la validità della nostra visione sulla terra di Libia
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È lampante che non faranno mai nulla. Gentiloni dice che la Libia “rischia” di diventare come la Somalia. È in ritardo, come al solito. La Libia è già come, se non peggio della Somalia, date le sue ramificazioni internazionali e il suo peso energetico e strategico. Ma diciamo la verità, questo governo ha una sinergia de facto troppo stretta con i trafficanti della sponda sud per non essere in qualche modo complice. Impossibile che venga mobilitata la marina militare per la più grande operazione di immigrazione clandestina della storia, con il beneplacito di tutti (intellettuali, chiesa, stampa, militari), senza un vasto consenso per politiche completamente distruttive per il futuro dell’Italia. Siamo in mano a quelli che Dante avrebbe posto come dannati nel più basso dei gironi. Questa l’amara verità.
Un conto è salvare persone in difficoltà, per il quale non c’è nulla da eccepire, un altro conto è far spacciare queste persone ad ogni telegiornale e carta stampata come migranti.
Sono e rimangono CLANDESTINI per i quali, se dovuto, vale l’asilo politico. Se non è dovuto allora vanno rispediti nei paesi di provenienza.
E se i paesi di provenienza non li accettano è chiaro che risulta essere un atto ostile e come tale va considerato.
Per cui non solo bisognerebbe colpire la Libia in quanto posto di partenza, ma anche ad esempio il Pakistan, la Giordania, lo SriLanka, la Nigeria, l’Eritrea e la Turchia. In quest’ultimo caso dovrebbe essere posta immediatamente fuori dalla NATO e da ogni politica di integrazione europea visto che lascia partire flotte di clandestini dalle sue coste in direzione Grecia.
Qui invece di risolvere il problema dei luoghi di partenza con politiche di crescita economica e investimenti infrastrutturali, stanno pian piano portando il problema direttamente dentro casa e più passa il tempo e più questa Europa assomiglia ad una continuazione del continente Afroasiatico, determinando una deriva genetica di proporzioni considerevoli.
Le affermazioni di rappresentati dello Stato del Vaticano (cosa differente dalla Chiesa e di cui questi non risultano rappresentanti) in merito alla immigrazione clandestina sono illogiche e prive di ogni fondamento, visto che molti di essi parlano di qualcosa che non conoscono direttamente e che vedono dalla lontana.
Lo vadano a spiegare agli italiani a cui è stata tolta la casa, il lavoro, che vivono in auto e che non possono acquistare le medicine che finti profughi stanno ricevendo assistenza sanitaria, economica e politica.
Stiamo per fare la fine di Troia
A rafforzare quanto scritto da Andrea aggiungo questo:
http://www.rischiocalcolato.it/2015/07/perche-sui-barconi-non-arrivano-questi.html