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Voce dei Lettori: La Vittoria di Trump

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Per la rubrica “Voce dei Lettori” un interessantissimo post di Pasquale Camuso. Buona Lettura
La squadra di governo si sta formando, sono passati alcuni giorni e possiamo dire di avere dei dati un po’ più chiari e definitivi sulle elezioni americane.
Hillary Clinton appare aver vinto il voto popolare con circa 1 milione e mezzo di preferenze in più di Donald Trump, su un totale di 130 milioni di votanti che hanno partecipato alle elezioni, in calo al 57% del totale (ci sono meccanismi negli states per cui ancora si pensa che lo spoglio durerà fino al 5 dicembre, e per cui alcuni voti non vengono conteggiati in alcuni stati, dove la differenza fra i votanti registrata è estremamente alta).
Donald Trump tuttavia viene eletto attraverso i voti dei collegi elettorali, con 306 voti contro 232, una vittoria raramente ottenuta negli Stati uniti, una delle più importanti in termini di voti per il partito repubblicano, che di rado è arrivato a tanti voti nel collegio.
Nonostante i sondaggisti dei media avessero, in larga parte, previsto una vittoria schiacciante per la Clinton, quello a cui abbiamo assistito non è un fenomeno imprevisto o impensabile. In realtà abbiamo assistito chiaramente ad un mix di speranza e complicità di molti dei media tradizionali, allineati al partito Democratico, insieme finanziati e finanziatori collegati al partito, che nei casi più eclatanti sono arrivati a dichiarare una vittoria per Hillary di addirittura il 95% (NY Times) dei votanti come poll reale, cosa evidentemente impossibile e quindi, per quel che riguarda giornali che dovrebbero fare informazione, deprecabile perfino da presentare come scherzo. Questo metodo di presentare le notizie ha fornito aspettative falsate riguardo al voto, ingenerando la conseguente meraviglia per il risultato ottenuto dopo.
Curiosamente però, esistono anche sondaggi che davano vincente Trump, e con risultati del tutto simili a quelli che davvero sono arrivati: questi sondaggi sono per lo più tracciabili in rete, fonte di analisti politici. Tenete a mente questo dettaglio, perché verrà importante più avanti.
Trump ha vinto, e i giornali e le tv mostrano notizie catastrofiche, gli elettori e i vip democratici che si stracciano le vesti per l’accaduto, e propongono come motivazioni alla vittoria spesso il cosiddetto “effetto brexit”: il voto del popolino poco colto ha ribaltato la situazione. Questa informazione in realtà è falsa, visto che sulla base del voto del popolino avrebbe, dati alla mano, perduto. Il sistema dei collegi elettorali, è quello che ha consegnato la vittoria al prossimo Presidente: istituito nel 1787 per contrastare le differenze di possibilità di voto fra il sud e il nord del Paese (all’epoca infatti al sud la maggior popolazione era nera e schiava, pertanto il diritto di voto era più disponibile al nord), che trova posto al secondo articolo della Costituzione Americana; allo stato attuale, l’elezione tramite collegi rappresenta una garanzia di voto per gli stati meno popolati, che in questo modo possono avere una possibilità maggiore di portare la loro rappresentanza allo Stato: considerando ad esempio l’estensione di stati metropolitani come quello di New York, è facile capire che la popolazione della città, o addirittura di solo alcuni quartieri della città, possa avere la stessa valenza di interi stati con una superficie di 5-8 volte superiore, e con una popolazione inferiore, a questo punto immaginatevi se la popolazione della città decidesse di sfruttare intensivamente quel singolo Stato, ed ecco il perché di questo problema e di questa soluzione.
Trump quindi, non ha vinto perché ha convinto le masse, sebbene abbia compiuto un lavoro non da poco da questo punto di vista, paragonandolo al suo predecessore infatti ha guadagnato in termini di voti sia da tutte le comunità: +1% dai bianchi, +7% sui neri, +2% ispanici, rispetto alle elezioni 2012 con Romney. E’ certamente vero che il prossimo Presidente ha attirato a sé il voto di molti, ma in realtà è stata la Clinton a perdere molti elettori rispetto al suo predecessore, come possiamo vedere da questo grafico (non accuratissimo rispetto al totale voti attuale, ma sempre significativo).
Questa vittoria quindi si deve, in realtà, al fatto che il candidato Democratico, con ogni probabilità, ha perso malamente, ma anche perché Trump si è rivelato, ad occhi attenti, uno stratega sottovalutato.
Solo ad elezioni concluse infatti, ci si inizia ad accorgere di un lavoro certosino di pazienza e intelligence nei confronti del “nemico” che potremmo predatare di anche dieci anni. Trump è, negli States, un personaggio pubblico estremamente conosciuto fin dagli anni 70, animale da scena e da tv, da giornale di gossip, ma anche imprenditore notissimo, coi suoi alti e bassi. Considerato questo e le sue innumerevoli apparizioni anche in classici del grande schermo, parrebbe quantomeno strano il fatto che non sfruttasse, come ha fatto, questa sua popolarità tramite i media classici.
In realtà Trump era intenzionato fin dall’epoca Bush Jr. a tentare la corsa alla Casa Bianca, ma la situazione in Iraq decisamente dava opportunità negative per i Repubblicani, quindi Donald ha semplicemente agito come ogni buon stratega, osservando l’avversario in battaglia per decidere la strategia da applicare in futuro, e ha scoperto con facilità che già nel 2008 la battaglia elettorale si svolgeva in un altro luogo: quello virtuale. Da qui, inizia la vera strategia di Donald John Trump .
Possiamo intravedere perfino molti dettami di Sun Tzu nella strategia di Trump, molti elementi infatti sono decisamente collegati e affatto casuali.
Trump segue le due elezioni in cui Obama vince, non si candida al posto di Romney per il semplice motivo che i Repubblicani ancora soffrono le scelte di Bush Jr. riguardo l’Iraq, e Obama è indubbiamente un candidato troppo competitivo per riuscire a vincere. L’attesa lo ripaga, infatti in queste recenti elezioni i Democratici si presentano, stavolta, divisi su due candidati che per dire bene, non rappresentano certo il loro elettorato nel complesso, ma anzi lo rappresentano in maniera piuttosto divisa: Hillary Clinton col suo bagaglio ingombrante del marito, degli scandali personali e infine perfino dei problemi di salute e giudiziari, Sanders che, da milionario ebreo non ispira simpatia in alcune fasce di poveri e di americani, per via della sua vicinanza a idee socialiste così estreme che da molti vengono tacciate di comunismo, che in America è ancora un punto sul quale si vince o si perde.
Trump ha abbandonato da anni l’idea della campagna sui media tradizionali, appare poche volte in tv solo per fare un po’ di scenetta e praticamente solo per appuntamenti che si ritiene siano “necessari”, creando attorno a sé il culto dell’immagine, che si riversa poi sui lidi virtuali: del resto, se i media tradizionali sono allineati, lui sa già che tentare di ottenere il
favore degli elettori che li seguono è pressoché inutile. Trump ha già infatti creato qualcosa che lo aiuterà a propagare il culto della sua immagine: favorisce infatti la nascita e crescita dei movimenti alt-right, dei siti di contro-informazione di destra come Breitbart, ha perfino una squadra di persone che creano una quantità di meme impressionante solo per alimentare la macchina che lo vede impresso OVUNQUE sulla rete: si parla di arrivare, sui siti più conosciuti come 4chan, al primo posto come diffusione di meme che lo riguardano, durante la campagna elettorale, con fenomeni in cui si accreditano addirittura immagini in cui viene definito “L’Imperatore-Dio”, ripreso da quotidiani dem e dai detrattori come una dichiarazione fascista, quando in realtà si fa riferimento ad un noto wargame da tavolo e, insieme, al romanzo Dune di Frank Herbert.
Questo fiume continuo di informazione ridicola su Trump segue una logica: bene o male, purché se ne parli. La divisione, la spaccatura che crea nel popolo è chiara ed utile alla vittoria, e controbatte allo strumento già in uso durante le campagne di Obama, da parte dei dem, sulla rete, ossia la formazione dei famosi SJW, Social Justice Warriors.
Si combatte sì, a suon di ipocrisie, di meme, di falsità, ma è il terreno sul quale entrambe le fazioni si scontrano, laddove alle elezioni precedenti, uno dei due schieramenti semplicemente non esisteva: si combatte al suono del meme, dell’immagine dissacrante che, in teoria, dovrebbe più danneggiare Trump stesso, ossia Pepe the Frog, nato da un innocente fumetto e declinato in tutti i possibili modi deridenti per l’Arancione.
Esistono poi, come dicevo, gli alt-right, ovvero l’alternativa di destra, fra cui spiccano figure come quelle di Milo Yannopulos, giovane imprenditore, gay, molto presente nei dibattiti, antifemminista e dichiaratamente repubblicano, una persona che con ogni probabilità ritroveremo negli anni a venire in primo piano, negli schemi politici americani.
Altro personaggio interessante è Benjamin Shapiro, giornalista, autore, commentatore radio e attivista di destra, che si batte specialmente contro il fenomeno degli SJW e delle aberrazioni che si portano dietro, oltre ad essere l’editore capo del Daily Wire.
Nella lotta fra i movimenti Alt-Right e SJW, che dura da qualche anno, è interessante notare come i secondi abbiano prima deriso, poi bollato i primi, e infine li abbiano eletti a potenti elementi malvagi della nazione, con un parallelismo notevole col candidato repubblicano che, da impresentabile, è divenuto poi un pericolo, fino ad arrivare, nelle propagande legate a questi movimenti, ad essere paragonato ad un novello Hitler.
Del resto i Social Justice Warriors hanno fatto loro una forma di lotta che si sta evolvendo perfino in forme violente, secondo gli ideali che li vedono pressoché dalla parte della difesa di qualsiasi minoranza, rispetto a temi prettamente sociali che sfociano nel ridicolo a volte, contro una unica categoria: quella degli uomini bianchi. Facile intuire il perché questi finiscano col rappresentare una buona fetta dell’elettore votante Trump. I Social Justice Warriors sono anche la deriva autoritarista del pensiero di sinistra, un modo di raggiungere i risultati spesso poco democratico, che infatti ha dato vita alle proteste post-elezioni, proteste risultate organizzate dalle associazioni e cooperative che hanno letteralmente assunto i manifestanti.
Ci sono molteplici altre figure di questo tipo e, come vedrete se cercherete approfondimenti in rete, la stragrande maggioranza di loro in sostanza segue la stessa metodologia di Trump: non molte apparizioni in TV, molto attivismo e tanta, tanta rete.
Possibile che funzioni, se si deride da solo? Sì, perché se sulla rete non si prende troppo sul serio, come dicevo crea anche due fazioni, chi è pro e chi contro, mentre lui stesso, fisicamente, si dedica ad un tour che tocca esattamente quegli stati che poi gli han fornito la vittoria tramite il sistema dei collegi. Trump si mostra al pubblico, parla in maniera molto differente nei comizi di come sembra che faccia in tv, incontra le fasce povere della popolazione e questo si trasforma in stima, si reca nella cintura del carbone, snobbata dai democratici perché in maggioranza bianca, parla agli elettori ispanici di chiudere il confine col messico, e molti sono d’accordo perché questi, adesso, fanno parte della società americana e vi sono arrivati con lavoro e fatica, dove ai nuovi arrivati si prospetta, probabilmente, una vita assai più facile (e sono gelosi di questo, probabilmente).
Trump ha vinto la battaglia dell’immagine su internet, deridendosi, creando consensi sul territorio, che si sono poi riversati nella scelta dei voti dei collegi, concedendogli la vittoria reale.
Dettagli da notare sono il fatto che Johnson ha eroso molti voti a Trump, imponendosi molto di più nei suoi collegi che in quelli della Clinton, per un totale del 3.2% dei voti totali (verso un 1.7 % di differenza fra i due più importanti).
La spesa elettorale per Trump è stata decisamente inferiore a quella della Clinton, secondo Wikipedia si tratta di 367.5 milioni di $ circa contro 534.5 circa della sua avversaria (Johnson ha speso 10.5 milioni di $ invece), e negli States è particolarmente difficile che un candidato che spende anche poco di meno vinca le elezioni, si parla di oltre l’80% di vincitori che han speso di più dell’avversario.
E’ interessante notare che la differenza fra i votanti di Clinton vs Trump al di sotto della soglia di povertà è solo dell’11%, ed è addirittura di 6% quella dei votanti con reddito al di sopra dei 50.000$, mentre le differenze più sostanziali si registrano per età dei votanti, con una maggioranza decisa dei votanti pro Trump dai 40 anni in su. Il tema educazione risulta travisato anch’esso dai media, come quello riguardo la povertà e la ricchezza, con un dato rilevante solo per i bianchi non laureati pro-trump (67% contro 28%), laddove le percentuali per i non-bianchi sono pressoché identiche a favore dei dem sia per i laureati che per i non laureati (oltre il 70% dei votanti con preferenza alla Clinton).
Se non stupiscono i numeri riguardo il voto delle aree cittadine (oltre i 50mila abitanti) e neppure quello delle aree rurali, è nelle aree suburbane che probabilmente Trump vede la sua differenza per la vittoria, col 50% delle preferenze rispetto al 45%.
A corredo del post 

http://edition.cnn.com/election/results

https://en.wikipedia.org/wiki/United_States_presidential_election,_2016
http://www.politico.com/magazine/story/2016/02/how-donald-trump-did-it-213581