di Federico Artizzu
Dopo mesi dal mio ultimo articolo, gentilmente ospitato dallo staff di Geopolitical Center, mi ero ripromesso di aggiornare e ampliare l’analisi dei mutamenti geopolitici in corso. Ho organizzato quanto segue dando risposta alle domande che reputo indispensabili per tentare di capire il complesso momento storico che stiamo vivendo. Ringraziando ancora una volta l’ospitalità dello staff di Geopolitical Center, mi auguro umilmente di dare un contributo apprezzato alla discussione con questo scritto.
– Quali sono i nemici degli USA nel mondo di oggi? E quale la strategia per contrastarli?
Le principali potenze concorrenti degli USA sono Cina e Russia. Sono le uniche forze che possono anche singolarmente tentare di modificare gli equilibri nei rispettivi ambiti regionali. Ci sono poi un insieme di nazioni potenziali sfidanti degli equilibri regionali che possono alternare momenti di sfida a momenti di momentanea remissione, in alleanze da capovolgere all’occorrenza con una delle tre maggiori potenze per obiettivi di espansione regionale (è il caso Iran e Turchia rivolte al medio oriente, dell’Egitto rivolto al nord africa; così come del Giappone nel sudest asiatico, o dell’India nell’oceano indiano). In questo mondo dell’ormai tramontato ordine unipolare, stiamo vivendo il relativo declino di un impero, quello statunitense, che sta vivendo il passaggio da unica superpotenza globale, ad un più gestibile ruolo di primus inter pares come maggiore potenza tra le altre potenze. Il mondo dei prossimi anni è teso a svilupparsi lungo la direttiva del contrasto statunitense alla eventuali coalizioni di stati che potrebbero rappresentare uniti una minaccia potenziale a lungo termine al primato statunitense.
I limiti del militarismo americano e “l’arbitraggio” del fronte mediorientale
In merito alla strategia adottata per contrastare l’ascesa di potenziali nemici ci sarebbe da scrivere molto. In primo luogo gli Stati Uniti hanno preso coscienza dei limiti dell’utilizzo del potere militare per mantenere il potere internazionale incontrastato (strettamente legato al mantenimento del ruolo del $ come moneta di riserva internazionale, e quindi al mantenimento dell’attuale struttura economica e in ultima analisi al tenore di vita dei cittadini statunitense). Consci del non poter mantenere intatta una credibile deterrenza militare su tutti i fronti, impegnati a contrastare contemporaneamente le minacce provenienti dalle tre zone chiave per il potere globale (sudest asiatico in chiave anti cinese, est europeo in chiave anti russa e medio oriente come mantenimento di riserva globale di energia), hanno attuato un rapido disimpegno dal fronte medio orientale (probabilmente fin troppo veloce, scandito molto da spasmi di ricerca di consenso interno) credendo di poter gestire il processo con un equilibrio delle forze tra potenze regionali da plasmare e tessere con pazienza, con l’obiettivo ultimo di connettere il potenziale energetico dell’area mediorientale all’europa per renderla più indipendente dalle forniture russe (e di riflesso dalla crescente influenza di Mosca sulle nazioni del vecchio continente). Tutto ciò è stato possibile anche per la sopraggiunta indipendenza energetica americana, che ha permesso agli USA una più credibile invulnerabilità dagli umori e dalle cicliche crisi mediorientali, ora desiderate proprio in chiave di bilanciamento di potere regionale. Diverso però il discorso per il mantenimento del ruolo del dollaro che impone agli USA di tenere a lungo termine il controllo delle potenze petrolifere dell’area che vendono energia all’Asia attraverso mercati quotati in $, e che impedisce in ultima analisi un totale abbandono dello scenario mediorientale che gli USA preferiranno però controllare con il minimo dispendio di uomini e mezzi militari.
Questo a mio avviso troppo veloce disimpegno unito all’apertura all’Iran, ha provocato spasmi geopolitici devastanti nella regione, dove tra mille e particolari divisioni si è esacerbata fino al punto di rottura la feroce guerra regionale per procura tra le potenze che definiremo superficialmente sciite e filo sciite, capitanate dall’Iran e le potenze sunnite come le monarchie del golfo nel mentre di un rinascente e confuso spirito neo-ottomano della Turchia.
Il terreno di battaglia è quello di una Mesopotamia allargata. Tra Siria ed Iraq si consuma il futuro delle rotte energetiche della regione, con le potenze sunnite pronte a sostenere ed attirare qualunque forza impedisca la saldatura di una mezzaluna filo sciita tra Iran, Iraq e Siria. È lì che prende vita il peggiore jihadismo, figlio delle contraddizioni strategiche americane (e per estensione occidentali) e della furia potenzialmente irrazionale dei sunniti e delle loro potenti lobby nel contrastare l’ascesa iraniana sciita. L’ingresso della Russia ha decisamente complicato lo scenario.
Il contrasto all’influenza russa. Precludere la via dei gasdotti e l’europa da Vladivostok a Lisbona
Nel mentre della ricerca di un potenziale concorrente al gas russo verso l’europa, la strategia americana, troppo più spesso oggetto di contraddizioni interne (c’è da dire che a volte sembrano esserci almeno due diverse “Casa Bianca”, diversi centri decisionali dove vengono prese decisioni strategiche, forse solo apparentemente discordanti), si è sviluppata nel contenere la crescente influenza russa su una sempre più debole e divisa europa. Da qui la crisi ucraina che ha troncato la via più naturale del gas russo verso il centro europa, e la devastazione dei rapporti tra Turchia e Russia, iniziata ben prima della crisi degli ultimi giorni che tiene con il fiato sospeso il mondo, per stroncare sul nascere la via sud del gas. Resta in corso il contrasto della via nord, l’ampliamento del progetto north stream che salderebbe un potente asse energetico russo-tedesco con quest’ultimi nel ruolo di hub energetico per tutta europa. Lì gli USA stanno lavorando di soft power come il caso Volkswagen e l’affiorare negli ambienti finanziari di quello di deutsche bank, dimostrano. Inoltre l’iniziative legali in seno all’Unione Europea, capitanate dai paesi baltici e dai polacchi, per bloccare il previsto ampliamento della capacità di trasporto del north stream, rallenteranno e ostacoleranno il progetto.
Ad accompagnare questa strategia di contenimento, c’è il tentativo di logorare l’economia russa attraverso il vettore delle sanzioni e del crollo del prezzo del petrolio, già indebolito dal calo delle prospettive di domanda di asia e europa, con la complicità di uno scarso interventismo dell’OPEC, solo in parte giustificabili da ragioni prettamente di convenienza commerciale.
L’annessione della Crimea, il sostegno alle repubbliche del Donbas, il crescente sfoggio della potenza militare e l’intervento nel caos siriano sono tutte reazioni russe al tentativo di contenimento strategico in corso.
Contenimento della Cina in Asia e caos lungo la via della seta
L’altra strategia intrapresa dagli USA riguarda il contenimento dell’ascesa economica e militare cinese. Finchè la Cina è chiusa nei suoi giganteschi confini rappresenta una minaccia al potere globale controllabile. Ma l’espansione economica cinese, dalle nazioni del sud-est asiatico, fino alle coste dell’Africa, richiederanno presto una potenza militare all’altezza per controllare e mettere in sicurezza i traffici di materie prime e prodotti lavorati di cui l’economia cinese non può più fare a meno se vuole evitare l’implosione interna. Questa logica e naturale espansione militare minaccia però l’equilibrio dell’intera area asiatica, terrestre e marittima. Il contenimento USA passa anche in questo caso per due vettori, economico mirante a contenere ed isolare il potere di penetrazione delle economie emergenti asiatiche che con tutta probabilità rappresenteranno il sacro Graal dello sviluppo finanziario USA a lungo termine a parziale compensazione di un’economia europea a rendimenti decrescenti, e militare, rinforzando la presenza navale nell’area a controllo degli strategici passaggi del commercio.
La via terrestre, la nuova via della seta teorizzata dalla leadership cinese per integrare economicamente le vaste aree dell’asia centrale, sarà sempre più oggetto di ricercata instabilità e porrà seri dilemmi in un prossimo futuro.
Gli effetti collaterali della strategia USA. La saldatura dell’asse russo-cinese e la potenziale crescita di un caos incontrollabile con parziale e settoriale stop dei processi di globalizzazione.
Il primo e più importante effetto collaterale della strategia USA è stato l’inevitabile rafforzamento delle relazioni russo-cinesi. Questo riavvicinamento strategico, seppur anch’esso pieno di contraddizioni a lungo termine, dovrebbe preoccupare gli strateghi americani. Rendendo inevitabile alla Russia la ricerca di uno sbocco a est, la Cina sta facendo passi da gigante nell’acquisire tecniche e tecnologie militari all’avanguardia in ambito scientifico e militare. La Russia è altresì costretta a ricercare nella Cina uno sbocco dove vendere le sue risorse energetiche rendendo così progressivamente i cinesi meno dipendenti e controllabili dai flussi energetici via medio oriente che passano per stretti marittimi (come quello di malacca) e aree terrestri profondamente instabili (come il pakistan). Anche la Russia dovrebbe preoccuparsi del pericolo di una Cina sempre più potente e tecnologicamente avanzata, e non basterà bilanciare la sua forza con la crescita del gigante indiano o delle piccole nazioni asiatiche come il Vietnam (come la Russia sta saggiamente cercando di fare). Gli Stati Uniti hanno comunque tante carte da giocare per bilanciare l’ascesa cinese, come rinforzare l’alleato giapponese. Ma a lungo termine le strategie di contenimento rischiano di creare un insieme di paesi nella regione decisamente forti e poco controllabili.
Un altro effetto collaterale della strategia statunitense che ci riguarda purtroppo molto da vicino, è la crescita incontrollata del caos che rischia però di trovare un suo equilibrio catalizzatore nel più aggressivo jihadismo islamico. Tutto questo è notevolmente preoccupante perchè ha già dimostrato di poter impattare in maniera massiccia sul nostro stile e libertà di vita. Troppi attori statali e no stanno armando e finanziando gruppi jihadisti per interessi strategici. Il timore e i costi di rimettere il genio malvagio nella bottiglia una volta uscito dovrebbero preoccuparci. Già oggi assistiamo a pesanti limitazioni nella libertà di viaggiare sicuri in zone che l’integrazione economica aveva reso paradisi di cui liberamente godere con vantaggi reciproci di turisti e paesi ospitanti e dello sviluppo in generale.
Questo si ricollega all’ultimo effetto collaterale, un progressivo rallentamento all’integrazione che potrebbe assumere forme di rigetto violento alle conquiste culturali, sociali ed economiche finora raggiunte (con ben poco biasimo da poter fare alle crescenti proteste popolari). Le trasformazioni che potrebbero interessare le nostre società colpite da questo rigetto assumono oggi contorni oscuri e poco prevedibili nella loro interezza. L’UE nel suo insieme è attraversata da lacerazioni crescenti che mettono a rischio la tenuta del sistema unitario. La rottura dell’Unione prima di un sopraggiunto nuovo ordine atlantista rappresenterebbe un grave problema per la strategia americana.
– Tornando alla stretta attualità, perchè Putin è andato in Siria? Quali i suoi obiettivi? Quali sono stati raggiunti, quali no e quali sono ancora in corso?
Entrare nella regione con una tale dimostrazione di forza militare, aveva ed ha molteplici obiettivi. Li elenco schematicamente, non necessariamente in ordine:
1. Imporre un peso per esercitare una maggiore influenza sui turchi per raggiungere un accordo sul transito del gas, il turk stream. Per ora fallito.
2. Per difendere le sue basi sul mediterraneo, dalle quali può estendere la sua influenza verso europa e nord africa, con particolare interesse a Suez, porta dell’oriente verso l’Europa. Avere influenza su Suez significa estendere influenza su la maggior parte dei commerci tra Europa e Cina. La Cina parlerà con chi controllerà Suez. (RIUSCITO)
3. Evitare che con il collasso della resistenza di Assad le monarchie del golfo, prima fra tutte il Qatar, possano stabilizzare un corridoio ove si creino le basi per un futuro gasdotto che colleghi i ricchi giacimenti di gas qatarino alla turchia e da lì all’europa in concorrenza del gas russo. Obiettivo questo condiviso con Iran anche se fino ad un certo punto. (IN CORSO)
4. Imporre una maggior voce al cartello petrolifero dell’OPEC, in particolar modo alla sua principale guida, l’Arabia Saudita. Con i saud infatti ci sarebbero margini per raggiungere un più condiviso equilibrio sul prezzo del barile e se escludiamo la strana alleanza con il Qatar ricco di gas, e la contrarietà USA, saud e russi avrebbero sicuramente tutto l’interesse ad armonizzare e spartirsi i mercati energetici tra Asia ed Europa, invece di proseguire una costosa guerra di ribassi che sta danneggiando entrambi. (IN CORSO)
5. Stringere in un rapporto di dipendenza ancor più stretto l’Iran è divenuto interesse russo fondamentale e primario, in particolar modo in seguito all’appeasement obamiano dell’Iran Deal che getta le basi per un ritorno del business tra Iran e Occidente, che per la Russia oggi sarebbe il maggior pericolo. (IN CORSO)
6. Nella strategia geopolitica globale, ridisegnata dall’amministrazione obama e caratterizzata da un razionamento delle risorse militari nel contrastare un insieme crescente di nemici. La presenza della Russia nella regione impedisce facili giochi agli americani. La configurazione delle attuali alleanze potrebbe cambiare e capovolgersi tra qualche tempo, specialmente in caso di raffreddamento per sfinimento dei contendenti del fronte siro/iracheno. Se Iran dovesse riavvicinarsi alla Turchia e all’occidente, la presenza russa permetterebbe alle monarchie del Golfo di virare eventualmente verso Mosca, legate a quel punto da un obiettivo condiviso: il contrasto al ritorno iraniano sulla scena europea. Se la Russia non fosse stata presente nella regione gli USA avrebbero avuto indubbiamente maggior forza di imporre un punto di compromesso tra le potenze regionali, ma con russia pronta ad offrire una sponda all’eventuale “ostacolo” di turno al progetto geopolitico americano il gioco cambia radicalmente. (IN CORSO)
7. Con l’Europa sempre più minacciata dalla crescita incontrollata del jihadismo e dall’ondata migratoria epocale dalle zone di crisi ai confini, la Russia presentandosi come l’unica (al momento) credibile potenza militare nel mediterraneo e nel medio oriente, acquisisce potenziale influenza e forza ideologica all’interno dei paesi UE e di taluni membri della NATO, con il sottinteso obiettivo di palesare e dare forza a divisioni latenti da tempo all’interno dei 2 principali strumenti sovranazionali con i quali Washington tenta di plasmare interessi strategici ed economici fondamentali alla tenuta del blocco atlantico. Evidente anche il collegamento al fronte ucraino, dove la Russia sta tentando di consolidare controllo su Crimea e Donbas e allo stesso tempo sperano che l’UE allenti la presa sulle sanzioni imposte alla Russia in seguito all’annessione della Crimea. (IN CORSO)
8. La scoperta di ENI di un potenziale giacimento di gas davanti le coste dell’egitto e l’accelerazione di Israele nello sfruttamento del Leviathan (un enorme giacimento di gas che si estende dalle coste di Israele e Libano fino alle coste cipriote) è un altro motivo di interesse nella strategia russa. Poter controllare tali flussi attraverso i link sulla costa siriana, collegati a gasdotti che dall’egitto passerebbero per la giordania (sempre più al centro della diplomazia della regione) collegandosi eventualmente ai gasdotti israeliani, sarebbero un ricco bottino per Gazprom. Il controllo di tali flussi, sebbene concorrenti potenziali, lascerebbe alla Russia un considerevole potere nel mediterraneo. (IN CORSO)
Giudicare ora se la mossa di Putin di entrare in medio oriente si rivelerà vincente è presto. Diciamo che il numero di opzioni tra le quali muoversi è grande, di conseguenza anche il fallimento di uno o più obiettivi o il cadere in una crisi più violenta o in un futuro riassetto di alleanze lascerebbe aperte comunque altre opzioni e forse ne aprirebbe delle altre delle quali ora è prematuro anche solo immaginare. Come tutti gli statisti anche Putin effettua passi graduali tenendosi pronte eventuali vie d’uscite o strade alternative. Certo è che l’ingresso in medio oriente della Russia ha complicato la strategia americana, e aumentato il rischio di errori di calcolo da entrambi gli schieramenti. L’abbattimento del caccia russo da parte della Turchia ha innalzato pericolosamente la posta. Mi preoccupa..
– Quali sono queste preoccupazioni?
Tutte le grandi guerre della storia hanno in comune tensioni latenti da anni, un evento accidentale e una serie di errori di calcolo che portano gli schieramenti a collidere al di là della precisa volontà o controllo esercitabile dai leaders.
Quanto avvenuto con l’abbattimento del jet russo, il primo abbattuto ufficialmente nella storia della NATO, ricorda troppo paurosamente l’attentato di Sarajevo. Anche allora eravamo di fronte ad uno stato, la serbia, aggressivo e autoritario con legami poco chiari con il terrorismo internazionale coevo. L’Austria-Ungheria aveva tutto il diritto di reagire ad un atto di aggressione come l’assassinio dell’erede al trono Francesco Ferdinando. Ma la serbia aveva un potente alleato, la Russia, che negli anni e nelle crisi balcaniche precedenti era apparsa timida ed in difficoltà. L’impero austriaco, appoggiato dal fortissimo impero tedesco anche perchè costretto a non contrariare il suo unico vero alleato, pensò di poter reagire in armi contro l’affronto serbo contando sul fatto che la Russia, spaventata dalla potenza tedesca, non sarebbe intervenuta nel conflitto. Fu il primo errore di calcolo. La Russia aveva un amico alla frontiera ovest della Germania, la Francia, con il quale condivideva il contenimento strategico di Berlino, che un po’ per paura di perdere l’alleato Russo, un po’ per paura dei piani militari tedeschi, intervenne al suo fianco. Un secondo errore di calcolo che a quel punto aveva trasformato un conflitto locale alla periferia dell’europa in un conflitto europeo. Ci fu poi anche l’atteggiamento ambiguo degli inglesi che fino all’ultimo mandarono segnali misti, sia a livello governativo che a livello di opinione pubblica, facendo scommettere a molti che non sarebbero intervenuti nel conflitto. Fu il terzo e fatale errore di calcolo che avrebbe precipitato il mondo nella grande guerra. Oggi l’atteggiamento della NATO ricorda molto quello tenuto dagli inglesi nella crisi di luglio. Questo è molto pericoloso perchè potrebbe indurre al famoso errore di calcolo che precluderà ai leaders mondiali ogni altra via d’uscita all’infuori dello scontro armato. Resta la speranza che le armi nucleari rimarranno fuori dal tavolo, come i gas sono stati perlopiù fuori dal confronto durante la seconda guerra mondiale. Ciò non toglie il pericolo di limitati scontri diretti e l’inizio di una non meglio chiara terza guerra mondiale per procura in medio oriente.
– C’è una via d’uscita?
Sì vedo ancora una via d’uscita ma sia Russia che Stati Uniti devono fare un passo indietro che di ora e ora diventa sempre più difficile. Si deve necessariamente passare per una spartizione della Siria ma inevitabilmente serve tempo, tempo che l’accelerata della Turchia rischia di aver ridotto pericolosamente. In definitiva la guerra non è qui per finire ed anzi rischia di espandersi ad altri settori geografici. Forse la via d’uscita più probabile sarebbe quella di lasciare alla Russia un controllo sul gasdotto proveniente dall’Egitto.
– Ad esempio?
Ad esempio è ipotizzabile una ripresa delle ostilità in ucraina, o una nuova primavera in moldavia, per colpire gli interessi russi con l’obiettivo di portare allo sfinimento economico Mosca che sta già subendo pesanti contraccolpi, e quindi ad una tregua. In medio oriente il rischio di una Turchia in guerra civile è sempre più alto. Oltretutto la zona “curda” della turchia sarebbe pericolosamente strategica in caso di un eventuale gasdotto dall’Iran. Così come la Russia potrebbe tentare di ostacolare il TANAP, il gasdotto che dovrebbe collegare il gas dal mar caspio all’europa dove in un eventuale capovolgimento di alleanze potrebbe inserirsi anche l’Iran.
C’è poi tutto l’interesse della Turchia e delle monarchie del golfo, a cominciare dal qatar, nel destabilizzare progetti alternativi in nord africa come in Libia ed in Egitto dove l’Italia sarebbe chiamata ad agire e dove dovremmo prestare molta attenzione. Fortunatamente Renzi sembra aver bene in testa le priorità in questo momento.
Insomma. Ci aspetta un futuro molto instabile e pericoloso, dove tregue e ostilità si succederanno in base alle capacità economiche degli stati di sopportare conflitti. Un po’ come il periodo delle guerre d’italia, dove le grandi potenze del tempo, Francia e impero asburgico, si sono logorate per anni alternando alleanze, guerre e tregue in base alle possibilità economiche. Alla fine il keynesianismo militare potrà portare alcuni benefici ridistribuivi per alcuni ma si sarebbe potuto ottenere lo stesso effetto con altro tipo di investimenti (ma forse è la stessa storia a dirci di no!)