Il Black Out elettrico in Venezuela rappresenta fattivamente il buio che da anni attanaglia il paese, il buio della dittatura chavista di Maduro, il buio della mancanza di libertà, il buio della ricerca al mercato nero di quei generi ormai impossibili da trovare nelle catene di distribuzione ufficiali.
Il Venezuela regge (o per meglio dire reggeva) incredibilmente nonostante la situazione economica e sociale si stia degradando da anni, così come allo stesso modo il potere di Maduro non si basa più sulla maggioranza della popolazione venezuelana ma sulla fedeltà dei collettivi armati, dell’esercito e di una fascia sempre più esigua di elettori.
In questo quadro desolante il presidente dell’assemblea nazionale, Jose Guaidò, invocato l’articolo 233 della costituzione venezuelana, si è proclamato, con l’assenso del parlamento, presidente ad interim del Venezuela iniziando una campagna per portare alla cacciata di Maduro (chiamato da qual momento “usurpatore”) e permettere l’ingresso nel paese di aiuti umanitari internazionali.
Il primo tentativo atto a far entrare nel paese gli aiuti è fallito per l’opposizione ferma della polizia venezuelana, i cui ufficiali sono ancora in gran parte fedeli a Maduro. Ufficiali e poliziotti fedeli al governo in quanto essi hanno comunque una via preferenziale per ricevere stipendi e quei beni alimentari così difficili da ottenere per la maggio parte della popolazione venezuelana. Ma il Black Out di questi giorni cambia la situazione. La carenza di energia elettrica non fa distinzioni, non distingue tra fedeli ed oppositori del governo, non sceglie chi colpire e chi risparmiare. Il Black Out infiamma gli animi dei più poveri e dei più disperati la cui condizione di vita arriva a livelli di concreto pericolo per la stessa sopravvivenza, essendo costretti a recuperare l’acqua dei fiumi delle città, oppure assaltando i negozi di alimentari per procurarsi un pasto. In questa condizione la forza pubblica non potrà allo stesso tempo mantenere l’ordine nel paese ed impedire le azioni dell’opposizione; Maduro dovrà scegliere se difendere i negozi o proseguire la repressione delle opposizioni come fatto fino ad oggi. Ma in questa situazione di tensione il dittatore di Caracas potrebbe ordinare ai suoi collettivi armati di aprire il fuoco contro la parte avversa nel tentativo di spegnere il seme della rivolta che minaccia il suo potere. Gli indicatori che ci parlano di una possible escalation violenta sono presenti e sempre più evidenti: cecchini sui tetti del centro di Caracas, collettivi armati che scorrazzano per le vie della capitale, frotte di saccheggiatori che sembrano aver compreso la difficoltà del governo, lo stato di emergenza richiesto da Guaidò e il numero di militari e poliziotti che continuano a varcare i confini verso la Colombia per non essere coinvolti nella prossima repressione armata.
Il popolo venezuelano ha fame, non ha energia per cucinare, non ha carburate, non ha acqua potabile, le scuole sono chiuse, gli uffici pubblici anche, le poche industrie ferme, gli aeroporti nel caos, gli ospedali al collasso.
E’ così che un paese scivola lentamente verso la guerra civile, fino a quando da un tetto, da un corteo, da una moto in corsa qualcuno esploderà un colpo di arma da fuoco verso un gruppo di persone. Non importa se saranno civili o poliziotti, così avrà inizio il caos nelle strade di Caracas.
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