Un anno fa Qassem Soleimani raggiungeva l’aeroporto di Baghdad, pochi minuti dopo l’atterraggio del suo aereo due droni americani presero di mira il convoglio che lo scortava verso il centro della città, uccidendolo sul colpo: un omicidio mirato di un terrorista (per gli americani), l’assassino di un martire compiuto da terroristi (per gli ayatollah). Pochi giorni dopo alcuni missili balistici iraniani hanno colpito una base aerea americana, dalla quale erano decollati i droni che hanno ucciso Soleimani, causando solo pochi danni materiali e nessuna vittima tra gli americani; chi cercava vendetta non l’ha certo trovata con quella azione.
Sebbene per molti all’interno del regime, la figura di Soleimani fosse ormai diventata troppo ingombrante, esso è stato elevato al rango di martire, un martire ed un eroe che il regime degli ayatollah non è riuscito né a difendere né a vendicare. Proprio sul tema della vendetta la propaganda iraniana è diventata asfissiante nei giorni che hanno preceduto l’anniversario odierno. Una propaganda voluta, cercata, più e più volte reiterata. Ma quale può essere il senso di una così intensa, apparente, voglia di vendetta? Le interpretazioni possono essere molteplici, le più plausibili sono sostanzialmente due.
La prima ipotesi che vogliamo formulare é che l’Iran cerchi realmente una vendetta sul campo. Se questa fosse la scelta e la decisione della Guida Suprema, il Grande Ayatollah Alì Khamenei, e del Consiglio della Rivoluzione, è indubbio che la vendetta iraniana arriverà prima del cambio al vertice dell’amministrazione americana. La strada per la vendetta militare è stata già ben codificata dagli iraniani ed i sistemi d’arma necessari al suo compimento sono già arrivati a destinazione, si tratta di droni, missili da crociera e missili balistici, che sarebbero già stati posizionati in Iraq, Siria e Yemen. Nessun missile partirebbe dal territorio iraniano e gli obiettivi sarebbero sia basi americane in Iraq, sia obiettivi strategici all’interno dello stato di Israele. Questo tipo di attacco punta a causare danni diretti ai principali nemici dell’Iran e rafforzare la figura di Teheran come hub del fronte sciita e mussulmano anti-israeliano, senza apparire apertamente e direttamente come il responsabile dell’azione militare di cui sopra. L’Iran deve in un certo senso ristabilire quel tipo di “deterrenza terroristica” che lo ha reso in questi decenni fonte di ispirazione per numerosi movimenti e milizie che perseguono con la lotta armata, anche contro i civili, i loro scopi.
Ricordiamo inoltre che l’Iran ha subito l’assassinio di uno dei vertici del suo programma atomico militare, e che ancora nessuno tra i probabili mandanti ed esecutori ha subito la rappresaglia iraniana.
La tempistica di questo eventuale attacco iraniano non è secondaria, sarebbe infatti un vero e proprio suicidio politico attaccare interessi e forze militari americane dopo il 20 Gennaio (Biden regnante), fatto che comprometterebbe le possibilità (ottime tra l’altro) per Teheran di tornare al tavolo delle trattative con gli americani.
E qui giunge la seconda possibilità relativa alle motivazioni iraniane di inscenare una così fitta propaganda riguardo la vendetta contro gli Stati Uniti e contro Israele. Questa seconda motivazione potrebbe essere quella di offrire al prossimo presidente americano la possibilità di evitare la vendetta degli ayatollah in cambio dell’apertura di un tavolo negoziale. Vista in questa ottica la situazione attuale, non vi sarà nessun attacco iraniano né ad interessi americani e neppure ad assetti strategici israeliani, proprio per poter utilizzare la carta della non-rappresaglia alla prossima partita diplomatica da giocare con Joe Biden. Ricordiamo a tutti voi che il vero obiettivo dell’Iran è quello di essere al più presto una potenza nucleare militare, ma che senza una economia solida ed in gran parte autonoma da risorse estere la bomba iraniana non garantirebbe la sopravvivenza del regime teocratico. Quando si parla di Iran va sempre tenuto presente il fatto che l’aspetto millenaristico, e la conseguenza attesa per il ritorno del Mahdi, va sempre affiancato al desiderio del regime di non perdere il potere, che è stato consolidato in questi decenni di regno del terrore. Non abbiamo oggi dinnanzi l’Iran di Khomeini, ma una nazione con priorità che si sono sviluppate negli ultimi venti anni, priorità più borghesi che rivoluzionarie e che mirano più al mantenimento del potere che alla lotta contro il Grande e il Piccolo Satana (per usare una espressione tanto cara al fu Grande Ayatollah Khomeini).
I giorni tra oggi e il 20 gennaio saranno densi di frasi ad effetto e movimenti militari, cerchiamo di osservare il tutto ricordando queste poche righe.
Addendum
Può esistere anche una terza via per la vendetta iraniana contro Israele e Stati Uniti, non ne abbiamo parlato in modo esplicito in quanto porterebbe ad una reazione durissima di Washington e Gerusalemme chiunque sia il presidente in carica: gli attacchi terroristici sul suolo israeliano o americano.