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La valenza strategica della Libia

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Chiariamo subito una cosa: non riteniamo la Libia una nostra colonia. E aggiungiamo subito una seconda cosa: altri paesi la pensano molto diversamente da noi e vorrebbero che Tripoli si trasformasse in una nuova Libreville, dove il dittatore di turno risponde unicamente ai bleus. Sì perché alcune nazioni europee, ad esempio, per citarne una a caso, la Francia, ha come cardine della propria economia la gestione delle risorse naturali delle sue ex colonie, a fini interni e di controllo geopolitico sia della regione africana che di quella europea.
Ricordiamo un ulteriore elemento. Nel 2015/2016 da queste pagine si sosteneva la necessità strategica di appoggiare l’Egitto ed il Generale Haftar nella lotta per il potere in Libia, non per simpatie personali verso il Generale o verso il Cairo, ma perché era a noi già evidente che Haftar aveva tutti gli elementi necessari, anche se non sufficienti, per diventare in breve tempo un riferimento per tutta la Libia. Ma il Governo Renzi e Gentiloni la pensarono diversamente e scelse di preferire l’alleanza con la Fratellanza Mussulmana, tanto cara ad Obama, ed appoggiare senza esitazioni Al Serraj.
Oggi da queste stesse pagine chiediamo al governo italiano coerenza nel sostenere Al Serraj, non tanto per una posizione di puntiglio o di orgoglio ma perché è l’unico modo per ridurre la capacità negoziale di Haftar, oggi sponsorizzato dai francesi e dai sauditi e che probabilmente in caso di resa senza condizioni di Al Serraj pagherà il suo debito con i francesi mettendo una bellissima (per Parigi) insegna della Total dove fino ad oggi si trova il cane a sei zampe dell’ENI. Avere il controllo degli idrocarburi libici, per i francesi, significa avere in loro controllo la principale fonte di approvvigionamento di greggio di ENI (e dell’Italia) in un periodo dove le sanzioni all’Iran rendono il petrolio “light” un bene raro ed ambito. Ma non si parla solo di greggio. Il gas naturale che da Tripoli arriva a Gela è linfa vitale per il nostro paese, privo di centrali nucleari e privo di giacimenti su suolo nazionale in grado di alimentare i servizi civili ed industriali. Con i francesi al comando, il 50% dell’energia nazionale sarà direttamente sotto il controllo di Parigi, che provvederà a venderci a carissimo prezzo l’energia prodotta con le centrali nucleari costruite a ridosso della nostra frontiera, e sarà sempre tramite il ricatto energetico che potrà “convincere” il governo di turno presente a Roma a non protestare su dispute bilaterali, territoriali, economiche o politiche che siano.
In seconda battuta Haftar il parigino potrebbe attaccare il nostro governo riversando una marea umana di immigrati irregolari verso il Mediterraneo centrale. Haftar, come arma di ricatto, con la benedizione dei suoi protettori europei, potrebbe non solo non fermare le partenze degli immigrati, ma procurare ad essi barconi di grandi dimensioni ed in grado di compiere la traversata fino a Lampedusa o fino alla Sicilia, rendendo impossibile qualsiasi opera di contenimento il nostro governo volesse mettere in pratica. In questo scenario non servono navi militari europee, non servono le ONG, in quanto gli immigrati sarebbero “autonomi” e non ci sarebbe modo per l’Italia di fermarli, se non con assurde stragi in mezzo al mare.
Cosa fare quindi, come agire? La soluzione esclusivamente diplomatica, come d’altra parte subito suggerito dai nostri amici francesi al vertice del G7 dei ministri degli esteri, sarebbe per noi fallimentare. Proprio noi che nel 2016 chiedevamo un’alleanza con Haftar oggi siamo a chiedere un intervento diretto delle forze armate italiane in Libia. Non parliamo di contingenti di terra ma di un supporto delle marine e dell’aeronautica per imporre innanzitutto una No Fly Zone a difesa della Tripolitania ed azioni chirurgiche contro le colonne di Haftar che dovessero avanzare ancora verso Tripoli, Misurata o Zuwara.
Allo stesso tempo sarebbe indispensabile normalizzare i rapporti con l’Egitto e far comprendere al Cairo che l’Italia è pronta a collaborare, non tanto con Haftar, ma direttamente con il presidente El Sisi per garantire in breve tempo l’estromissione della Fratellanza Mussulmana, e dei suoi sponsor turchi, dai gangli vitali della politica libica.
Solo questo mix di azione militare, politica e diplomatica può garantire all’Italia di non buttare alle ortiche 50 anni di impegno in Libia ed evitare ai libici un bagno di sangue, seguito dall’ennesima dittatura militare.
Per chi si preoccupa della giustificazione costituzionale di un nostro intervento, ricordiamo che il governo di Tripoli è riconosciuto dalle Nazioni Unite ed in caso di sua richiesta esplicita il nostro ruolo sarebbe quello, non di belligeranti, ma di assistenza di un legittimo governo minacciato da un bagno di sangue da parte di un generale golpista senza alcuna legittimazione a livello internazionale.
Purtroppo osserviamo i capi politici di Movimento 5 Stelle e Lega continuare la loro comunicazione, istituzionale e non, come se in Libia tutto andasse per il meglio. Chi crede che la tempistica di questo attacco di Haftar sia casuale sbaglio di grosso, chi ha pianificato l’assalto a Tripoli aveva piena coscienza del fatto che alla vigilia delle elezioni europee i “decisori” italiani non avrebbero mosso un dito per paura di un “danno” elettorale. Noi speriamo ancora che Salvini e Di Maio abbiano un sussulto di orgoglio, e una fiammata di coraggio in grado di scompaginare i piani dei nostri cugini d’oltralpe e di tutta quella parte di Italia esterofila che preferirebbe sostituire il tricolore francese alla nostra bandiera sui campi petroliferi della costa occidentale della Libia.

Addendum

Abbiamo anche il dovere di difendere i nostri connazionali ancora presenti in Libia. Parliamo dal corpo diplomatico, dei militari e dei civili che lavorano per e con loro, dai contractor che operano a vario titolo a Tripoli e di tutti gli altri italiani presenti. Nessuno li abbandoni.