E’ iniziata una nuova corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Federazione Russa, questa è una chiara evidenza, così come è evidente che questa nuova pericolosa gara non sarà sui “numeri” ma sulla “qualità”, ed al centro di questa corsa agli armamenti, se non addirittura alla sua origine, è la difesa antimissile.
La difesa antimissile americana viene edificata con quello che noi osiamo definire un “peccato originale”. Il peccato originale in questione è la denuncia del trattato ABM, il trattato che regola (anzi regolava e fortemente limitava) lo sviluppo e il dispiegamento di sistemi antimissile.
Negli anni 60 era iniziata la ricerca di soluzioni per bloccare i missili balistici nemici (armati di testate nucleari) diretti contro il proprio territorio. All’epoca si combattevano le testate nucleari in arrivo con altre testate nucleari, le quali avevano il compito di esplodere oltre l’atmosfera e distruggere i veicoli di rientro in arrivo sul territorio difeso dal sistema antimissile in questione. La nascita di queste armi difensive aveva causato un aumento esponenziale dei vettori missilistici di Unione Sovietica e Stati Uniti nei primi anni 70. Per mettere fine a questa spirale fu firmato il trattato ABM che limitava in maniera netta il possesso di sistemi antimissile, autorizzando Stati Uniti e Federazione Russa a dispiegare un solo sistema per paese. Mosca scelse di difendere Mosca, gli Stati Uniti decisero di difendere una strategica installazione militare nel Midwest, era il 1972. La limitazione dei sistemi antimissile determinò la precondizione ai trattati di riduzione delle armi atomiche strategiche.
Quaranta anni dopo, nel 2002, gli Stati Uniti annunciarono l’uscita da ABM, non senza irritazione da parte di Mosca. Era l’epoca degli accordi di Pratica di Mare tra NATO e Russia, una stagione dove molti di noi hanno creduto ad un nuovo assetto dell’emisfero settentrionale, non più diviso in blocchi.
La Federazione Russa chiese agli Stati Uniti di essere partner nello sviluppo di questa nuova difesa antimissile, che per caratteristiche e numeri degli intercettori doveva essere una garanzia del mondo libero contro alcuni “stati canaglia” che stavano espandendo il loro potenziale missilistico, ed allo stesso tempo tentavano di dotarsi dell’arma atomica (parliamo in primis di Corea del Nord ed Iran).
Washington non accettò che Mosca facesse parte dello sviluppo e del controllo di ABM, aumentando i timori ed i sospetti della Federazione Russa, già nelle mani di Vladimir Putin.
Nel 2004 la NATO autorizza l’ingresso nell’Alleanza di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. L’ingresso delle Repubbliche Baltiche nella NATO rafforza l’idea di Mosca che gli Stati Uniti si stiano muovendo per limitare l’influenza russa a livello globale, riducendo la Federazione a potenza regionale. Il sistema di difesa missilistica americano viene da quel momento visto da Putin come una minaccia diretta alla capacità di deterrenza nucleare della Federazione e quindi come mezzo per limitare la stessa sovranità di Mosca. E’ nel 2004 che a nostro avviso inizia la corsa agli armamenti, i cui frutti (perlomeno da parte russa) osserviamo oggi.
Dal 2004 ad oggi la difesa antimissile ha aumentato notevolmente il numero e la qualità degli intercettori. Esistono armi antimissile in grado di colpire i missili nemici non solo nell’ultima fase del loro volo (come ad esempio facevano i Patriot che difesero Israele dai missili di Saddam Hussein), ma intercettori in grado di colpire le testate a quote elevate, seppur ancora all’interno dell’atmosfera (ad esempio i sistemi THAAD). Sono stati però costruiti missili in grado di colpire i loro bersagli oltre i 100 km di altezza (come i missili SM-3); gli stessi SM-3 sono oggi in grado di colpire i missili nemici in fase di spinta e i prossimi intercettori avranno capacità ancora migliori sia in termini di flessibilità di utilizzo che in termini di portata utile. Esistono poi intercettori studiati specificamente per ingaggiare e distruggere i missili nemici durante il loro volo spaziale, si tratta degli “Intercettori di Corsa Intermedia” basati in Alaska ed in California, il cui numero è destinato ad aumentare notevolmente quando sarà completato il loro sviluppo. Dispiegando questi sistemi a ridosso della Federazione Russa, sia su terra, come già accade oggi in Polonia e Bulgaria (e domani potenzialmente nelle Repubbliche Baltiche e in Ucraina), sia su navi, le quali già oggi sono un cardine della difesa antimissile. In questo quadro la capacità di deterrenza russa è notevolmente ridotta. Parimenti alla riduzione della capacità di deterrenza, è quindi aumentato il timore di Mosca di un possibile primo attacco americano in caso di potenziale conflitto.
Per garantire la propria capacità di deterrenza, in assenza di una capacità di spesa elevata, Putin ha deciso di puntare tutto su vere e proprie armi da “giorno del giudizio”. Sistemi d’attacco dotati di una potenza devastante ed immuni alla difesa antimissile sviluppata dagli americani. Si tratta di missili balistici a raggio intermedio (la Russia denuncerebbe così un secondo pilastro dell’impalcatura negoziale che ha impedito una corsa agli armamenti senza freni, parliamo del trattato INF). Oltre a questa classe di armi parliamo anche di missili antinave ipersonici, di missili da crociera supersonici ed alimentati da un reattore nucleare al posto del propulsore convenzionale (fatto che conferisce al sistema autonomia illimitata e quindi la possibilità di tracciare rotte di attacco imprevedibili). Infine dobbiamo ricordare gli enormi droni sottomarini, lunghi circa 60 metri e dotati anch’essi di un propulsore atomico, in grado di trasportare nei pressi delle costa americane una bomba atomica di potenza incredibile, fino a 100 Megatoni (ricordiamo che la bomba di Hiroshima era di 0.014 Megatoni, oppure se preferite la bomba di Hiroshima era di 14 (quattordici) Kilotoni, mentre la bomba trasportata dal drone subacqueo russo ha potenza di 100000 (centomila) Kilotoni.)
Il problema è che le nuove armi sviluppate dalla Russia possono essere classificate anche come armi utili per un primo attacco nucleare e questo determinerà un’ondata di fondata isteria all’interno delle stanze del Pentagono, così come i sistemi antimissili americani hanno generato la medesima fondata isteria presso il Cremlino.
Si apre quindi una nuova era di tensione, dove la ricerca e sviluppo delle armi più letali mai creati dal genere umano sarà l’argomento principe della pianificazione strategica classica, che verrà affiancata da una forsennata corsa alla creazione e utilizzo pratico dell’Intelligenza Artificiale applicata al mondo dei droni, anche armati, e ai sistemi di Cyber-Warfare.
Solo un nuovo accordo tra Washington e Mosca, un accordo che ripristini i limiti del trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, proibisca l’utilizzo di droni armati con armi nucleari, proibisca il dispiegamento di missili da crociera a propulsione nucleare e permetta la condivisione del sistema antimissile potrà garantire un mondo privo di blocchi e dove lo sviluppo sia improntato al benessere dell’uomo e non allo sviluppo di armi.
In caso contrario sarà un conflitto (non per forza armato) a stabilire chi sarà il dominus del mondo, senza dimenticare che un nuovo attore è ormai presente a livello globale anche in campo militare: parliamo della Cina alla quale dedicheremo preso un approfondito editoriale, anche alla luce del nuovo ruolo “perpetuo” del presidente Xi.