Naufragi intenzionali, una definizione dell’immigrazione a partenza dalla Libia che è sicuramente tranciante, cruda, spietata, ma ha una caratteristica assoluta: molto probabilmente è vera.
I trafficanti di uomini, che incassano lauti guadagni con i biglietti di imbarco, anzi i biglietti di naufragio, che spacciano a chi vuole arrivare in Europa attraverso la Libia, hanno un piano ben preciso per il loro businnes. Il piano prevede di portare gli immigrati oltre le acque territoriali libiche e poi abbandonare uomini donne e bambini al loro destino. Nei fatti ecco che si assiste ad un naufragio intenzionale, causato dai trafficanti di uomini, che poi cercano di attirare l’attenzione delle varie unità in transito, o di pattuglia, al fine di far recuperare i passeggeri che essi stessi hanno abbandonato tra le onde.
Ed ecco che assunto lo status di naufraghi queste persone diventano oggetto delle contese politiche e giuridiche nonché oggetto dell’odio di parte dell’opinione pubblica, che erroneamente li identifica come il nemico, quando il realtà il nemico sono i trafficanti e la loro organizzazione strutturata e capillare.
In effetti chi arriva in Libia, per poi giungere in Italia, è solo alla ricerca di un posto migliore dove vivere, spesso illusi da una propaganda capillare nei loro paesi di origine, una propaganda che si scontra qui in Italia con una situazione di isolamento, ghettizzazione, sfruttamento. Ma allo stesso tempo chi entra in Libia sa benissimo di entrare in un paese in guerra, in quanto queste persone non sono originarie della Libia ma usano la Libia solo come un punto di transito. Perché questa premessa? Perché questi, loro malgrado, naufraghi intenzionali poi rifiutano di tornare in Libia in quanto la ritengono, ed a ragione, un paese non sicuro. Ma queste stesse persone sono entrate in Libia volontariamente giorni, settimane o mesi prima, sapendo benissimo che la Libia è un paese non sicuro, ma con l’obiettivo di giungere poi in Italia. Ecco che la Libia prima era una agognata meta intermedia per il loro viaggio in Europa, Tripoli poi però diventa un luogo non sicuro dove tornare se intercettati dalle navi in transito al largo di Tripoli.
Tutta questa premessa è funzionale per far prendere coscienza alla nostra opinione pubblica che esiste una sostanziale differenza tra un naufrago che si trova per un imprevisto a rischiare la vita in mare, e una persona che coscientemente prende atto del fatto che per poter arrivare in Europa deve ineluttabilmente diventare un naufrago.
Come ci si deve quindi comportare in queste situazioni? Anche qui una premessa è doverosa: la vita è sacra, e nessuno deve mettere in atto azioni che determinino la morte o danni fisici a queste persone. E’ quindi a nostro avviso non augurabile che unità militari italiane confrontino le navi che abbiano a bordo degli immigrati al fine di impedire fisicamente il loro ingresso nelle nostre acque territoriali. E’ invece augurabile che un dispositivo militare osservi costantemente la situazione in Libia, e agisca in maniera diretta, su mandato del legittimo governo di Tripoli, contro gli scafisti che rientrano verso la costa dopo aver abbandonato il loro carico umano a 15-20 miglia dalla Libia. E’ a queste imbarcazioni che va intimato l’ALT, ed è a queste imbarcazioni che bisogna impedire, con ogni mezzo, di far perdere le loro tracce.
Se non viene compreso questo meccanismo, se non viene compreso che gli immigrati non sono naufraghi veri e propri, ma persone che scelgono di naufragare come strategia per giungere in Italia; e se non viene compreso che gli organizzatori, gli sfruttatori, gli istigatori di questi naufragi volontari devono essere assicurati con ogni mezzo lecito, anche con l’uso delle armi, alla giustizia libica o internazionale per traffico di esseri umani, la questione dell’immigrazione senza regole rimarrà insoluta ed amplierà ancora maggiormente la polarizzazione della politica e dell’opinione pubblica italiana ed europea.
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