Si parla e si parlerà tantissimo della Siria nei prossimi giorni, tuttavia un altro paese cardine del medio oriente arabo e ponte naturale con l’Europa, la Turchia è a pochi passo da una rivoluzione, una rivoluzione violenta che potrebbe vedere una profonda spaccatura nell’esercito di Ankara.
La prossima settimana sono previste ad Istanbul nuove manifestazioni nei pressi di Gezi Park, manifestazioni che sono provocate dal possibile inizio di alcuni lavori preparatori all’inizio di alcuni lavori di modifica del parco nel centro di Istanbul. Lavori che non dovrebbero svolgersi dopo che la magistratura turca ha bloccato nei mesi scorsi le necessarie autorizzazioni indispensabili al rinnovamento del parco previsto dal governo, governo che vorrebbe costruire la più grande moschea del paese proprio dove oggi sorge il parco. Ma la moschea è solamente un simbolo, le motivazioni del malcontento in Turchia, particolarmente nelle città maggiori del paese sono altre. Il malcontento è generato da una sempre maggiore perdita delle caratteristiche laiche dello stato disegnato da Ataturk e da leggi o proposte di leggi che mirano ad introdurre nell’ordinamento turco norme e principi comportamentali derivati dalla legge coranica.
Non di minore importanza è la forte presa di posizione del governo di Erdogan a favore di una attacco alleato alla Siria, attacco al quale la Turchia potrebbe partecipare in prima persona, sia dando il via libera agli americani all’utilizzo della base aerea di Incirlik, sia consentendo ai missili Tomahawk americani ed ai bombardieri strategici americani che bombarderanno la Siria il permesso di sorvolo dello spazio aereo turco.
Molta parte dell’opinione pubblica, per non parlare delle forze armate, è oggi contraria sia all’intervento diretto della Turchia, sia a concedere il proprio spazio aereo a chi andrà a combattere in Siria. Nonostante l’opinione pubblica e i vertici militari contrari il governo turco è intenzionato ad andare avanti con l’operazione siriana, così come era intenzionato a partecipare ad una eventuale azione contro la Siria l’ex presidente egiziano Morsi. E fu proprio la volontà di coinvolgere l’Egitto nella guerra di Siria, oltre alla continua epurazione dei vertici militari non fedeli alla fratellanza, che spinse i generali a deporre Morsi.
In Turchia la situazione è diversa perché in tre legislature al potere Erdogan e il suo partito hanno rimosso gran parte degli ufficiali nn schierati con il partito islamista. Tuttavia l’esercito turco rimane in gran parte laico e contrario ad una nuova islamizzazione del paese, così come rimane contrario ad un intervento militare turco in Siria, intervento che esporrebbe il paese e le forze armate alla rappresaglia siriana.
Ed è proprio il timore di vedere il paese coinvolto nella palude siriana che potrebbe spingere una parte significativa delle forze armate a prendere le parti dei manifestanti se in Turchia centinaia di migliaia di persone dovessero scendere nelle piazze e subire la repressione della polizia.