Secondo il nostro gruppo una delle priorità strategiche dell’amministrazione Trump sarà il contenimento proattivo della crescente potenza economica, politica, diplomatica e militare della Repubblica Popolare Cinese.
Le vie ed i modi per contenere l’espansionismo Cinese sono, secondo il nostro punto di vista tre: agire sui fornitori di energia (Russia e Iran), limitare l’accesso all’energia da parte di Pechino (regioni ricche di idrocarburi nel Mar Cinese Meridionale), utilizzare dazi (anche solo legati alla differenza di welfare tra occidente e Cina), per limitare la concorrenza non lineare della Cina nei confronti di Europa e Stati Uniti.
Oggi ci occupiamo del capitolo riguardante l’Iran che rappresenta uno dei maggiori fornitori di energia a basso costo della Repubblica Popolare Cinese.
Partiamo dall’Iran non a caso, ma perché insieme alla Cina sembra rappresentare l’avversario, per non dire il nemico, della prossima amministrazione americana. Iniziamo dall’Iran perché agendo contro la Repubblica Islamica gli Stati Uniti otterrebbero un triplice “risultato”, limitare gli introiti dell’Iran, ridurre la disponibilità energetica della Cina, aumentare i costi generali dell’energia utilizzata a Pechino.
Come può essere quindi messa in atto da parte americana una azione capace di intaccare la produzione petrolifera iraniana? Ad un primo sguardo l’ipotesi più probabile è un ripristino delle sanzioni contro la Repubblica Islamica Iraniana. Tuttavia oggi ripristinare efficaci sanzioni multilaterali contro Teheran è semplicemente impossibile. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato il JPOA, normalizzando legalmente i commerci tra l’Iran ed il resto del mondo, scambi che già prima dell’adozione formale del JPOA, erano intensi tra Iran e Cina, Iran e Sudamerica, Iran e parte dell’Europa.
Gli Stati Uniti avranno la capacità di imporre sanzioni unilaterali, ma non avranno più il potere di imporre sanzioni multilaterali, globali, supportate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (proprio a causa del veto cinese e russo).
Rimane quindi a disposizione degli Stati Uniti di Donald Trump esclusivamente una opzione di tipo militare per raggiungere questo obiettivo.
Ma quale opzione militare? L’unica opzione militare in grado di ottenere una riduzione della capacità produttiva di greggio iraniano non deve colpire le zone di produzione, ma le zone di stoccaggio e i terminal marittimi di esportazione. Infatti, senza aree di stoccaggio e terminal di esportazione, la produzione di greggio deve necessariamente essere sospesa (e non senza grandi difficoltà tecniche), e non senza problematiche sarà poi possibile riprendere la produzione di greggio, considerando il fatto che a quel punto le imprese straniere, desiderose di investire in Iran, saranno coscienti che esse si troveranno ad investire in una paese ad altissimo rischio, dove la totalità del loro investimento potrebbe essere compromesso da una nuova fase attiva dello sconto tra Stati Uniti ed Iran.
Un attacco contro i terminal iraniani genererebbe inoltre una reazione di Teheran atta bloccare il transito di qualunque unità navale (incluse le petroliere Saudite, Kuwaitiane, e degli Emirati) dallo Stretto di Hormuz, determinando una vera e propria crisi petrolifera in Estremo Oriente. Tale crisi non avrebbe grande impatto sugli Stati Uniti , oggi in grado di produrre autonomamente la totalità del greggio necessario agli USA, mentre la chiusura di Hormuz sarebbe devastante proprio per la Cina, particolarmente se tale blocco proseguisse per oltre le due settimane.
Le ripercussioni di un tale scenario sarebbero pensati anche per il sud Europa ed in particolare per l’Italia che si trova costretta, anche a causa dell’assenza di un piano energetico strategico nazionale, ad importare il 70% dell’energia necessaria al sostegno della nostra economia e delle nostre città. Di questo 70% una parte rilevante di petrolio che poi viene raffinato in Italia arriva dalla regione del Golfo, e se il tentativo del governo di fare dell’Iran un partner commerciale di rilievo avrà successo, la nostra dipendenza dal Golfo diventerà ancora più marcata.
E’ certo che un attacco alle istallazioni petrolifere iraniane dovrà essere inquadrato in un piano più ampio e che abbia come scopo primario limitare le capacità di militari, presenti e future dell’Iran. Come abbiamo già scritto in un precedente post la motivazione l’attacco potrebbe essere data da un deterioramento dei rapporti tra Usa e Iran in relazione al programma missilistico di Teheran, il cui sviluppo è bloccato da due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite che l’Iran non ha mai applicato.