Rex Tillerson sarà presto il nuovo Segretario di Stato Americano, e di conseguenza espressione diretta delle politiche di Donald Trump al di fuori dei confini degli Stati Uniti.
Tillerson ha mostrato quella che sarà la sua postura nella posizione ufficiale che presto andrà ad assumere, parlando al Senato degli Stati Uniti; possiamo sintetizzare l’agenda di Tillerson in due concetti: Assertività e Fedeltà agli Alleati, e cioè tutto quello che è mancato durante gli otto anni della presidenza di Obama.
Gli Stati Uniti, durante questi due mandati presidenziali, hanno più volte abbandonato, se non proprio tradito, gli alleati storici a livello globale, hanno concesso invece moltissimo ai nemici e agli avversari, e non hanno mai impiegato la forza militare americana per difendere gli interessi propri o dei principali alleati.
A quanto sembra da venerdì prossimo si cambierà registro nella Situation Room, finalmente.
Tillerson ha individiato le tre principali minacce agli Stati Uniti d’America: la Russia, la Repubblica Islamica dell’Iran e la Cina Popolare. Un’analisi corretta delle situazione globale e delle sfide che gli Stati Uniti dovranno affrontare al più presto.
Nessuno mette in dubbio che la Russia rappresenti un sfida per l’America, se non una minaccia, ma ad oggi la Russia non rappresenta il nemico per Washington, ma fino ad oggi la presidenza Obama si era rifiutata di considerare una minaccia seria la Cina, minaccia ancor più reale concreta e presente di quella russa. Sullo sfondo l’Iran che sebbene oggi non sia ancora il problema numero uno per la stabilità mondiale, si avvia con la pazienza tipica dei persiani, a poter sviluppare senza vincoli tra meno di dieci anni un’arma atomica, che cambierà per sempre l’aspetto della regione mediorientale e dello stesso Caucaso.
Come ricorderete, poco dopo l’elezione di Donald Trump, il nostro gruppo ha proposto a voi amici e lettori tre editoriali dedicati ai rapporti tra Cina e Donald Trump, parlando di tre vie per giungere al contenimento della Cina da parte della nuova amministrazione americana. Ecco il link ai post in oggetto: Trump e il Contenimento della Cina.
Il secondo di questa serie di editoirali si riferiva al contimento cinese che si può ottenre con azioni mirati nei mari che circondano Pechino, (https://www.geopoliticalcenter.com/attualita/trump-e-il-contenimento-cinese-parte-seconda-i-mari-della-cina/), durante la sua audizione al Senato, Tillerson ha confermato le nostre ipoetsi arrivando ad parlare di un blocco navale, atto ad impedire nuove attività cinesi sugli isolotti di cui Pechino si è apporpriata, con la chiara volontà strategica di costruire una linea di difesa per la Nine Dash Line.
In questi anni Obama ha lasciato fare i Cinesi, non si è opposto ad essi così come ha fatto con la Russia, ha permesso che la Cina diventasse quasi egemone nel Mar Cinese Meridionale, al punto da spingere nazioni storicamente alleate degli Usa, come le Filippine, ad intavolare un dialogo con Pechino, e un alleato indispensabile come il Giappone temere per la sua stessa futura indipendenza.
Tillerson al Senato, per invertire questa deriva, caratterizzata da remissività, paura, ed ignavia, ha prospettato un blocco navale nei confronti della Cina, un blocco che era da istituire già sei anni fa quando le prime chiatte senza insegne hanno iniziato a portare sabbia e terra su dei piccoli atolli affioranti, i quali oggi si sono trasformati in basi militari avanzate della Cina. In quei giorni sei anni fa iniziava le guerra ibrida, non in Crimea con i gentili uomini verdi o nel Donbass, sei anni fa concedendo alla Cina l’impensabile l’equilibrio mondiale si è incrinato ed ha portato alla situazione che oggi osserviamo.
Così come le basi per la seconda guerra mondiale furono poste (per non dire che la guerra iniziò proprio in quel momento) nel 1937 dall’invasione giapponese della Cina, così oggi l’instabilità mondiale è derivata dall'”invasione cinese” degli atolli del Mar Cinese Meridionale ed è lì che il mondo dovrà ritrovare il suo equilibrio, ma ancor di più gli Stati Uniti dovranno affermare nuovamente la loro potenza politica, diplomatica e anche militare.