La visita odierna a Mosca del Segretario di Stato statunitense Rex Tillerson testerà le sue abilità diplomatico negoziali e la tenuta delle relazioni forgiate quando ricopriva la carica di CEO di Exxon. Seppur non esista alcun riscontro obiettivo che corrobori l’ipotesi universalmente accreditata quale veritiera dalla comunità internazionale occidentale – che sia stato, cioè, il regime di Assad ad utilizzare potenti gas nervini contro i propri civili inermi nella provincia di Idlib – lo strike missilistico americano in Siria ha impresso una brusca inversione di 360 gradi alla politica estera mediorientale dell’amministrazione Trump. Fino a poche settimane fa, infatti, priorità era attribuita alla lotta contro Isis ed il terrorismo jihadista piuttosto che alla defenestrazione di Assad – quell’ “Assad must go” assunto imprescindibile della presidenza Obama – il cui futuro sarebbe stato rimesso alla scelta sovrana del popolo siriano. Un atto unilaterale, che nonostante costituisca una chiara violazione del diritto internazionale, ha ottenuto la legittimazione da parte dei capi di stato e di governo degli alleati di Washington (supporto reiterato nel corso del G7 dei ministri degli Esteri a Lucca, nonostante sia fallita la linea intransigente inglese circa l’implementazione di ulteriori sanzioni a Mosca) che riflette alla perfezione la mentalità degli influenti generali collaboratori del presidente Trump: un’azione circoscritta, dimostrativa, dissuasiva, – impossibile pensare ad un coinvolgimento maggiore senza la preventiva autorizzazione del Congresso, bypassato nello strike alla base aera di Shayrat – strumentale a recuperare posizioni di forza negoziale nel tavolo politico che deciderà l’assetto della Siria post-conflitto. Il Generale dell’Aeronautica Militare Vincenzo Camporini, già capo di Stato Maggiore, preoccupato da potenziali incidenti difficilmente gestibili, ha parlato di “utilizzazione impropria della forza militare” perché non v’è chiarezza sugli obiettivi politici che l’amministrazione sta perseguendo. Tra i plurimi aspetti geopolitici da tenere in considerazione, c’è un aspetto incomprensibilmente ignorato: il rafforzamento delle tradizionali alleanze statunitensi nella regione – Arabia Saudita ed Israele – potrebbe potenzialmente forgiare una nuova alleanza (a guida americana) tra le principali potenze sunnite e Tel Aviv. Egitto, Giordania, Turchia, Oman, potrebbero far parte della stessa perché interessate a contrapporsi all’egemonia iraniana nella regione, ai suoi alleati sciiti, alla sua pragmatica intesa con la Russia, alla intransigente lotta all’Isis. L’avversione di Trump nei confronti di Tehran non è certamente un mistero e lo strike in Siria potrebbe aver lanciato un chiaro segnale politico-militare di ostilità alla proiezione di potenza dell’Iran nell’intera area. E’ in corso un mutamento del paradigma strategico statunitense nel Medio Oriente; le stellette della situation room, cui è stato dato potere pressoché illimitato, sembrano aver commissariato lo stesso Presidente. In questo senso, entrano in gioco il ruolo del Segretario di Stato americano, il suo estro e la libertà di manovra di cui egli gode all’interno del ristretto cerchio composto prettamente da generali nell’establishment della sicurezza nazionale. Originariamente scelto per la sua esperienza di pragmatico amministratore di una grande compagnia petrolifera e per i rapporti con le élite russe – fu lo stesso presidente Putin a consegnargli l’Ordine dell’Amicizia, la più alta onorificenza concessa agli stranieri – le aspettative sulle sue capacità negoziali circa il conseguimento di una intesa sistemica di alto profilo tra Washington e Mosca in funzione di un relativo miglioramento delle relazioni bilaterali tra le potenze nucleari erano alte. L’imprevedibilità e le dichiarazioni di Trump – “Assad è un animale” – così come quanto dichiarato da Putin stesso – “Il livello di fiducia, sopratutto a livello militare, non è migliorato ed anzi è peggiorato” (arrivando addirittura a rimpiangere Obama) – hanno incrementato esponenzialmente la tensione alla vigilia. Nell’incontro tra Tillerson ed il suo omologo russo Lavrov l’atmosfera deve esser stata gelida.
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