Nudi di fronte al nemico, senza soluzioni efficaci né nel breve né nel medio termine, incerti, timorosi anche nell’associare la parola “islamista” alla parola terrorismo.
La nostra società, pronta alle marce di solidarietà, alla foto tricolore (francese) su Facebook, all’ “io sono” Charlie, Bruxelles, Paris, si trova smarrita quando si passa dalla dimensione virtuale alla dimensione reale. E non parliamo solo dell’uomo qualunque, ma ci riferiamo anche alle leadership dei vari paesi del mondo occidentale, dove i politici e i rappresentanti delle istituzioni si esprimono attraverso i social, i discorsi, le promesse.
Discorsi e promesse generiche, ragionamenti che non inquadrano nemmeno la causa prima del terrorismo che oggi ci colpisce in casa nostra, e che rende potenzialmente ogni evento, ogni ristorante, ogni luogo di culto, ogni piazza, un luogo a rischio.
Quali dunque le soluzioni davanti al problema del terrorismo interno e derivato della radicalizzazione di cittadini europei originari del mondo arabo?
La risposta, le risposte sono complesse e non sono utopistiche.
Per prima cosa andrebbe assunta una misura eccezionale, dettata appunto dalla particolare situazione contingente: revocare la cittadinanza ai foreign fighters ed ai reclutatori, nel momento in cui essi si trovino all’estero. Questa misura di rapida attuazione impedirebbe il ritorno “legale” in europa di questi soggetti, ma più di tutto fingerebbe da deterrente nei confronti di coloro i quali desiderano spendere parte dalla loro vita al servizio del Califfo.
La seconda misura riguarda i luoghi di culto islamici, i quali devono essere soggetti al controllo dello stato, i sermoni devono essere nella lingua dello stato dove il luogo di culto sorge e la comunità islamica deve impegnarsi nel rendere conto alla magistratura di casi di tentativi di reclutamento per la guerra santa o di anomalie nei finanziamenti delle moschee e delle comunità islamiche.
Deve essere istituito il reato di “indottrinamento alla violenza” e “cyber-indottrinamento alla violenza” atto a colpire non il soggetto che viene radicalizzato, in quanto esso non ha ancora commesso alcun reato, ma il reclutatore o il “radicalizzatore”, seguendo quella che oggi è la legislazione che impedisce “l’apologia di fascismo”.
Inoltre andrebbe a nostro avviso revocata la cittadinanza dei parenti di primo grado del terrorista ed espulsa l’intera famiglia verso il paese di origine, garantendo il rispetto dei beni e delle proprietà in possesso di tale famiglia, dopo i necessari risarcimenti alle parti civili ed offese.
Inoltre potrebbe essere utile quella che noi abbiamo definito la “Difesa Comunitaria Collettiva”, una linea guida per i cittadini vittime di terrorismo, che oggi purtroppo reagiscono quasi sempre con la paralisi e senza essere in grado di prendere iniziative di gruppo per contrastare la minaccia che sta mettendo a rischio la loro vita, e presto a questa teoria dedicheremo un editoriale.
Il tempo delle preghiere, della misericordia, del politicamente corretto, dell’accoglienza a tutti i costi e della rinuncia alla nostra sicurezza in nome di una integrazione che molti non vogliono è finito; ora è il tempo delle regole, della fermezza, della vera integrazione, perché tra gli immigrati mussulmani abbiamo uomini e donne disposti a diventare italiani, a contribuire al paese, a creare un’Italia più forte, ma tra essi abbiamo anche chi vuole trasformare il “nostro” paese nel “loro” paese; e a queste persone che non mettono in pratica attentati, ma che ci compiacciono tra loro quando essi accadono. A queste persone che sostengono la supremazia della religione sulla nostra società è ora di sbattere la porta in faccia.
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Ad un certo punto se, tra buonisti e politici che fanno parte del problema, non si vuole agire… giusto che diventiamo una colonia islamica.