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Tensione Usa-Iran: Teheran pensa ad un bluff di Trump

Tensione Usa-Iran: Teheran pensa ad un bluff di Trump

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La situazione si complica nel Golfo Persico e in tutta la regione mediorientale. Teheran sembra credere che il presidente americano Trump stia letteralmente bluffando nella disputa tra Stati Uniti ed Iran che ha portato alla denuncia dell’accordo sul nucleare iraniano e a nuove durissime sanzioni degli Stati Uniti nei confronti della teocrazia iraniana.
L’assunto di Teheran originerebbe dal comportamento passato di Trump in Estremo Oriente e in America meridionale. Nei due scacchieri, in particolare nei confronti della Corea del Nord, Trump ha minacciato più volte l’intervento militare per poi sedersi velocemente al tavolo delle trattative, ed interrompendo poi come richiesto da Kim le annuali esercitazioni delle forze americane nella regione.
Anche in Sud-America Trump ha più volte fatto trasparire la possibilità di un intervento militare al fianco di Guaidó in Venezuela, senza poi dare nessun seguito alle fatidiche parole “tutte le opzioni sono sul tavolo”. Gli iraniani oggi credono che Trump si comporterà allo stesso modo nel Golfo e che il timore, anzi il terrore, di una guerra lo farà desistere da ogni velleità di intervento contro Teheran.
Va letto a nostro avviso in questa prospettiva ciò che è accaduto ieri al largo degli Emirati, dove quattro unità navali commerciali sono state oggetto di atti di sabotaggio, non destinati certo a determinare l’affondamento delle navi in oggetto, ma funzionale a ribadire ciò che da Teheran ripetono da giorni, “abbiamo il dito sul grilletto”.
Va inoltre ricordato che i vertici militari iraniani, ed a ragione, non vedono più la presenza di un gruppo attacco portaerei americano all’interno del Golfo come una minaccia, ma bensì come una opportunità; sì, una opportunità per utilizzare i missili antinave che le forze regolari e le Guardie della Rivoluzione hanno ricevuto ed accumulato in questi anni e con i quali potrebbero tentare di affondare una portaerei americana.
Ed è così che il buon senso dimostrato da Trump ora è un elemento di svantaggio per gli americani che pagano ancora l’indebolimento della loro capacità di deterrenza, iniziato quasi dieci anni fa e che prosegue ancora oggi.
Purtroppo l’unico modo per ripristinare la capacità di deterrenza americana non si materializzerà con la costruzione di nuove armi, tantomeno con l’aumento del numero degli effettivi o delle portaerei nucleari. La capacità di deterrenza di Washington si potrà manifestare solo dopo che il presidente deciderà di affrontare militarmente, e con tutta la capacità offensiva a sua disposizione, uno dei nemici degli Stati Uniti, non importa quale.
Fino ad allora Russia, Cina, Corea del Nord, Iran, Venezuela e tutti gli altri non interromperanno la loro vincente strategia di minaccia costante alla ormai defunta Pax Americana.
Assistiamo ad un copione che si ripete uguale a se stesso. Un paese sfida la posizione di forza degli Stati Uniti (Corea del Nord, Venezuela, Iran, Siria, la Libia di Haftar, fate voi), la Cina offre supporto economico, la Russia armi e istruttori, se non truppe operative. La stessa cosa avviene oggi in Iran. Gli ayatollah sfidano Washington puntando a diventare una potenza nucleare come Pyongyang. La Cina garantisce gli acquisti del petrolio iraniano aggirando le sanzioni, la Russia attiva un ponte aereo per colmare le carenza tattiche di Teheran in vista di un possible confronto.
Con queste carte in mano Teheran chiama il bluff di Trump, oggi osservando petroliere finire in avaria con il timone distrutto da piccole mine magnetiche al largo degli Emirati Arabi e domani magari dirottando una petroliera saudita diretta negli USA nel porto di Bandr Abbas per un controllo relativo ai documenti di trasporto, oppure sfidando le unità maggiori americane avvicinandosi ad esse con i barchini suicidi dei Pasdaran.
L’Iran teocratico degli Ayatollah ha chiamato il bluff alla Casa Bianca, tocca ora a Trump cambiare le carte sul tavolo e riprendersi quella deterrenza alla quale da troppo tempo gli Stati Uniti hanno rinunciato.