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Tensione nel Pacifico Occidentale: la Cina minaccia Taiwan?

Taiwan

Sono giorni di estrema tensione nel Pacifico Occidentale, le forze armate cinesi sono mobilitate per alcune esercitazioni aeronavali che simulano l’invasione di alcune isole. Queste esercitazioni hanno determinato l’innalzamento dello stato di allerta delle forze di difesa di Taiwan, in quanto informazioni dell’intelligence militare di Formosa adombrano la possibilità che queste esercitazioni possano trasformarsi in qualcosa di molto più concreto, minacciando quindi le isole denominate Tosha e da sempre contese tra la Cina comunista e la Cina nazionalista. Il nostro gruppo segue questa vicenda da giorni; simultaneamente alle mosse dell’esercito di Pechino si è registrata una notevole attività delle forze armate americane dispiegate nel Pacifico Occidentale.

Parallelamente a questi episodi di tipo militare, oggi registriamo una fortissima e molto importate presa di posizione di un quotidiano, che è diretta espressione del Partito Comunista Cinese, e quindi di conseguenza del governo di Pechino. Si tratta del Global Times, il quale riporta una precisa e puntuale minaccia di invasione dell’isola di Taiwan. Il Global Times ricorda che se Taiwan insisterà sulla secessione (in realtà Taiwan non deve secedere da nulla in quanto essa stessa è Cina), le esercitazioni militari possono tramutarsi in azioni militari reali.

Le mosse di questi giorni e di queste settimane della Cina vanno quindi lette non solo come esercitazioni militari fini a se stesse ma come una possibile concreta minaccia all’indipendenza di Taiwan. Anche le dichiarazioni estremamente decise della Casa Bianca di queste ultime giornate vanno rilette in chiave di un potenziale conflitto militare tra Taiwan e la Cina Comunista, così come allo stesso modo va valutato l’irrituale Consiglio di Sicurezza Nazionale tenuto alla Casa Bianca lo scorso sabato. Cosa possiamo attenderci nei prossimi giorni.

La situazione geopolitica mondiale ed in particolare nel Pacifico Occidentale non è di facile lettura in questo particolare periodo storico. Il nostro gruppo ritiene che la Cina potrebbe ordinare a Kim Jong Un di procedere al lancio del suo nuovo missile balistico intercontinentale. Questa mossa consentirebbe alla Cina di ottenere un duplice vantaggio. Il primo consisterebbe nell’impegnare le forze armate americane in un possibile confronto con la Corea del Nord, il secondo ridurre la politica di Trump nei confronti di Kim e della Corea del Nord ad un vero e proprio fallimento, utile alla campagna elettorale di Joe Biden, da sempre noto per essere molto ben disposto verso la globalizzazione Made in China.

Se la Corea del Nord procederà al lancio di un vettore a lungo raggio questo segnale andrà interpretato non tanto come un guanto di sfida di Pyongyang a Washington, bensì come un segnale della volontà di Pechino di aumentare la pressione militare contro l’America anche in vista di un possibile uso dello strumento militare della Cina stessa nel Pacifico Occidentale, approfittando di un momento storico di estrema debolezza americana. Sì perché gli Stati Uniti ed in particolare il suo Presidente vivono oggi una grave crisi multi-fattoriale. L’economia americana è bloccata dal virus che non riesce ad essere contenuto dal modello di governo democratico americano, le forze armate americane subiscono gli effetti del virus con una riduzione teorica delle prontezza operativa ed entro sei mesi il presidente dovrà competere nelle elezioni per rinnovare il suo mandato per altri quatto anni. Quale momento migliore per tentare, da parte cinese, di soffocare una volta per tutte il desiderio di libertà della Cina Nazionalista a Taiwan, quale momento migliore per mandare un segnale durissimo al Giappone e perché no alla stessa Russia, quale momento migliore per sostituirsi agli Stati Uniti come paese di riferimento nel Pacifico Occidentale? Questo è il momento ideale per tutti questi obiettivi del regime comunista cinese, senza contare che la materializzazione di un nemico esterno potrebbe forse allentare le tensioni che dai mesi scorsi attanagliano la Cina, non solo Hong Kong, tensioni che in potenza, senza il Covid-19, avrebbero potuto incrinare il potere assoluto di Xi e del suo regime comunista.