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Taiwan: veramente parte della “civilizzazione cinese”?

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Una prospettiva storica.
Il dibattito sul destino della Repubblica di Cina, conosciuta soprattutto come Taiwan, è più che mai acceso; la volontà del regime cinese, l’ambiguità della comunità internazionale, il rischio di una guerra aperta.
Probabilmente molti di noi pensano che ciò che distingue la Cina continentale da Taiwan sia solo una visione diversa delle istituzioni e della società, totalitarismo contro democrazia, rigido controllo delle persone contro libertà “all’occidentale”. Differenze politiche all’interno di uno stesso popolo. In realtà c’è molto di più.
È infatti possibile argomentare che Taiwan ed i suoi abitanti costituiscano quasi una civilizzazione ed un popolo a se stante e nettamente distinto da quello “cinese”, cosa ben diversa da ciò che il partito comunista cinese vorrebbe che pensassimo, nel suo tentativo (rivolto anche ad altre etnie e minoranze) di standardizzare ed unificare il “popolo cinese”, anche attraverso un racconto parziale della storia dei popoli che per millenni hanno abitato l’attuale Cina e dintorni.
In questo articolo riprenderemo brevemente e succintamente alcuni elementi storici che ci consentono di capire meglio perché la maggior parte dei taiwanesi si sentono una nazione distinta e separata e perché l’unificazione, desiderata ardentemente da Pechino, sia forzata, innaturale e priva di legittimità.
La maggior parte dei cittadini taiwanesi sono discendenti di cinesi di etnia Han emigrati dalla provincia del Fujian (che si trova direttamente di fronte a Taiwan) sull’isola diversi secoli fa. L’isola era già abitata da persone che, secondo studi genetici e linguistici, erano legate ai popoli della Polinesia. In ogni caso gli “aborigeni” taiwanesi formano oggi solo una piccola parte della popolazione.
È importante sottolineare che la migrazione di Fujianesi attraverso lo stretto non è avvenuta in base ad una volontà statale organizzata, essendo iniziata molto prima che qualunque dinastia imperiale cinese riuscisse ad esercitare la propria autorità sull’isola.
A dirla tutta la dinastia Qing (di cui parleremo dopo) non ha neanche mai provato a controllare tutta l’isola, limitandosi ad una parte della costa occidentale costituente circa un terzo della superficie totale. Questo significa che a parte una brevissima parentesi di pochi anni durante i quali il Kuomintang (KMT, ci torneremo più tardi) governava sia Taiwan che la terraferma, l’autorità cinese centrale ha controllato solo una piccola parte dell’isola.
Dei migranti Fujianesi che hanno colonizzato l’isola e non solo (si è trattato infatti di una migrazione che ha interessato buona parte del sud est asiatico) alcuni erano Hakka, un gruppo etnico cinese separato con una lingua propria (ci sono ancora oggi dei villaggi a Taiwan dove si parla la lingua Hakka), ma la maggior parte erano cinesi Han che parlavano una forma di cinese che troviamo ancora oggi nella parte meridionale del Fujian, lingua conosciuta con il nome di Amoy o Hokkien e la cui variante parlata sull’isola è chiamata dai suoi abitanti Taiwanese. Taiwanese e Cinese Mandarino non sono mutualmente intellegibili, sono distanti come l’inglese lo è dal tedesco, ma il Taiwanese rimane invece molto vicino alla variante Fujianese dell’Hokkien.
Il Taiwanese è la lingua comunemente parlata nelle case taiwanesi.
La dinastia imperiale Qing, alla quale abbiamo già accennato, prese il controllo di Taiwan solo nel 1683.
Da notare che tale dinastia non era di etnia Han, ma Manchu; all’epoca l’etnia Han era semplicemente una tra le molte che componevano un impero multietnico.
Tutto ciò era abbastanza normale peraltro, visto che non esisteva un’identità nazionale basata sull’appartenenza etnica né su una lingua specifica (nell’ambito della sola etnia Han si parlavano una dozzina di lingue maggiori differenti!).
Questo significa che il nazionalismo cinese odierno basato sulla supremazia della dinastia Han e sulla standardizzazione della lingua e della cultura “cinese” non era parte del pensiero e della realtà della Cina imperiale sotto la dinastia Qing, e quindi neanche dell’esperienza taiwanese durante il dominio imperiale cinese.
E se questo era vero per molte delle province dell’impero, lo era ancora di più per Taiwan: era considerata una remota provincia di frontiera distante dal centro di potere imperiale, priva di

grandi centri abitati, che dava i natali a pochi funzionari imperiali e le cui élite erano poco collegate alla dinastia regnante.
L’impronta imperiale a Taiwan era poco marcata ed il senso di un’identità comune con il resto dell’impero era debole.
In ogni caso se non ci fosse stato un’intervento esterno, anche Taiwan sarebbe stata integrata nella moderna nazione-stato Cinese esattamente come è stato il caso per altre province periferiche. Ma è accaduto qualcosa che ha messo Taiwan su una rotta differente.
La guerra sino-giapponese del 1895, persa dai Qing, vede Taiwan passare sotto il controllo dell’impero giapponese, che la reclama come bottino di guerra.
Si tratta di un momento cruciale della storia che infrange la narrazione nazionalistica cinese: Taiwan ed i suoi abitanti smettono di far parte del sistema politico cinese appena prima che i Manchu perdano il potere e gli Han lo prendano. Sono i nuovi leader Han a realizzare che la Cina deve essere unita da un forte senso di identità nazionale condivisa se vuole essere capace di difendersi e modernizzarsi.
La costruzione di questa identità è un progetto durato un secolo, che non ha toccato Taiwan, la quale invece resterà sotto il controllo giapponese per i successivi 50 anni.
Mentre la Cina veniva dilaniata da decenni di guerra civile e conflitti tra signori della guerra, Taiwan viveva pacificamente come parte dell’impero giapponese.
Al contrario di quanto avvenne successivamente alla Cina continentale, non ci furono particolari violenze da parte giapponese a Taiwan, se non verso alcuni gruppi aborigeni che non erano mai stati sotto il controllo imperiale cinese e rifiutavano quello giapponese.
Per molti taiwanesi la cessione al Giappone non fu altro che il passaggio da un lontano imperatore ad un altro.
Mentre, come dicevamo prima, l’influenza imperiale sotto la dinastia Qing a Taiwan era stata molto ridotta, lo stesso non avvenne sotto il dominio giapponese, che trasformò e riconfigurò le istituzioni, l’educazione, le abitudini, il linguaggio e la lealtà stessa del popolo.
Non sorprende che al tempo della seconda guerra mondiale molti taiwanesi si consideravano fieri sudditi dell’impero giapponese, e quelli tra di loro che presero parte ai combattimenti lo fecero nelle armate giapponesi.
Finita la guerra, Taiwan fu ceduta ai nazionalisti del KMT che considerarono l’isola, risparmiata dagli orrori del conflitto, una specie di miniera a cielo aperto piena di preziose risorse da sfruttare per vincere la guerra contro i comunisti che imperversava sulla terraferma; i nazionalisti cinesi non ebbero alcuno scrupolo nel depredare l’isola delle sue ricchezze in quanto non avevano alcuna simpatia per la sua popolazione, che aveva combattuto dalla parte dei giapponesi.
Tale comportamento provocò una rivolta nel 1947 che venne soppressa violentemente e che provocò l’istituzione della legge marziale, rimasta poi in vigore per decenni.
I Taiwanesi ricordano questi eventi come “il terrore bianco”.
Come avevamo accennato all’inizio, questo è l’unico periodo del ventesimo secolo che ha visto l’integrazione dell’isola al continente, e per la popolazione locale si è trattato di un attacco dispotico “cinese” verso il popolo taiwanese.
Una volta che i nazionalisti avevano perso la guerra contro i comunisti, si ritirarono in massa sull’isola.
Fino a quel momento Taiwan non aveva sperimentato grandi cambiamenti demografici, considerando che gli amministratori imperiali Qing e poi giapponesi avevano sempre costituito una minima parte della popolazione.
Con la ritirata dei nazionalisti al di là dello stretto assistiamo invece ad una migrazione di circa 2 milioni di persone, che si stabiliscono principalmente nella parte nord dell’isola.
Una ritirata dalla terraferma che doveva essere solo temporanea divenne poi definitiva.
Questi nuovi immigrati ed il loro discendenti sono conosciuti come Waishengren, “gente proveniente da fuori la provincia”, mentre gli abitanti Han immigrati sull’isola secoli prima sono chiamati Benshengren, “gente originaria della provincia”.

Molte differenze politiche e culturali presenti a Taiwan dipendono proprio da questa suddivisione.
Il regime KMT era una dittatura (non comunista) che impose agli abitanti di Taiwan il progetto di costruzione di una nazione cinese che non poteva più avere luogo sul continente, ormai in mano alle forze comuniste.
La variante taiwanese dell’Hokkien fu bandita dalle televisioni e ne fu vietato l’insegnamento nelle scuole (per questo oggi tutti sono capaci di parlare il Mandarino, anche se meno bene e con un accento più forte nel sud dell’isola) e tutte le espressioni dell’unicità taiwanese furono soppresse dallo stato.
Essendo percepita dalla popolazione come un’imposizione dittatoriale, una volta caduto il regime tutti questi elementi tornarono prepotentemente in superficie.
Con la fuga dei nazionalisti dalla terraferma il progetto di costruzione di una nazione cinese unita ovviamente non era più viabile a causa di quello che nel frattempo stava accadendo sul continente e la divergenza tra le due realtà continuo a crescere col passare del tempo: la Cina continentale divenne comunista, si tagliò fuori dal resto del mondo, combatté una guerra in Corea e Vietnam, visse la collettivizzazione.
Le strutture tribali e religiose tradizionali furono sradicate, la popolazione sperimentò una dozzina di campagne politiche e di modernizzazione, le carestie, la rivoluzione culturale, la disillusione nei confronti del comunismo ed infine l’affermazione definitiva del partito unico.
Niente di tutto questo accadde a Taiwan, dove la religione ed i costumi tradizionali furono riaffermati, furono aperte le porte alla cultura occidentale ed a quella giapponese ed il partito unico perse progressivamente la presa e l’isola virò completamente verso la democrazia.
Quando le due realtà entrarono di nuovo in contatto, anni dopo, erano ormai separate da un mare, e non parliamo dello stretto di Taiwan!
Mentre l’identità cinese rimane più forte nelle persone più anziane del gruppo dei Waishengren, pochi dei Taiwanesi sotto i 45 anni discendenti dello stesso gruppo si considerano “cinesi”, non avendo alcuna memoria della Cina pre-comunismo e non avendo vissuto sotto la dittatura del KMT. Per ovvi motivi tale identità non è presente neanche nei discendenti dei Benshengren.
Per riassumere possiamo dire che Taiwan ha vissuto gli ultimi 115 anni della sua storia su una strada politica, economica e culturale completamente diversa da quella del continente.
I Taiwanesi non hanno vissuto nessuno degli eventi chiave che hanno contribuito alla formazione dell’attuale identità cinese e persino l’immigrazione di due milioni di Waishengren negli anni 40 non ha potuto cambiare la situazione.
Il regime cinese ha interesse a nascondere tutti questi elementi, soprattutto agli occhi degli attori ed osservatori occidentali, allo scopo di legittimare le sue pretese sull’isola, così come pretende di far discendere il proprio nazionalismo da “5.000 anni di storia cinese”, mentre in realtà si tratta di un’idea sorta nel diciannovesimo secolo.
Oggi il regime cinese cerca comunque di esercitare il suo soft power sulla popolazione taiwanese attraverso i media per conquistarne “le menti ed i cuori”, manipolarne la storia, scoraggiarne l’unicità.
Considerato quanto è stato detto, possiamo affermare che Taiwan ed il suo popolo non fanno parte della Cina, non ne condividono la visione né la cultura ed hanno il diritto di essere riconosciuti come una nazione ed uno Stato libero ed indipendente.
Sta a noi assicurarci che questa piccola oasi di democrazia, unicità e libertà non venga sommersa dalla marea standardizzata, totalitaria ed illiberale del partito comunista cinese.