Isola di Kharg, maggior terminal petrolifero iraniano.
Una superpetroliera cinese capace di trasportare due milioni di barili di greggio è attraccata alcuni giorni fa alle banchine di carico in attesa di imbarcare petrolio iraniano per l’energivoro gigante asiatico. La tempistica dell’arrivo del supertanker cinese antecedente ai negoziati del gruppo del 5+1 con l’Iran è un segnale che va ricollegato all’esplosiva situazione che si sta vivendo nel giardino di casa della Cina: la penisola di Corea.
L’arrivo del Supertanker cinese indica che la Cina si sta opponendo, e non solo a parole, alla politica si sanzioni nei confronti dell’Iran organizzate dagli Stati Uniti d’America. Con questa mossa la Cina ottiene greggio a basso costo dagli iraniani che, con i depositi al limite massimo di capienza e in carenza di compratori internazionali, accetterebbe prezzi inferiori rispetto a quelli decisi dall’OPEC, e allo stesso tempo rende molto più difficili gli sforzi degli Stati Uniti che attraverso le sanzioni sperano di interrompere il programma atomico dell’Iran. Ma le sanzioni non fermeranno i progetti atomici iraniani, come non hanno fermato i progetti atomici della Corea del Nord. Le sanzioni affameranno il popolo iraniano aumenteranno l’isolamento del paese degli Ayatollah, così come hanno affamato la Corea del Nord, e allo stesso tempo faranno crescere la paranoia in tutti gli strati della popolazione che vedendosi in pericolo appoggeranno le idee militariste dei loro leader.
Ma osservare lo bandiera cinese sventolare su un supertanker nell’isola di Kharg significa molto di più. Significa che Corea del Nord ed Iran sono legate a doppio filo nella pericolosa strategia espansionistica cinese. Significa che la Cina è estremamente innervosita dalla possibilità che il regime nord coreano collassi, e vuole ricordare agli americani che così come gli Usa sono risoluti nel non tollerare più le minacce dei Coreani, allo stesso modo la Cina è decisa a mantenere aperta la rotta che porta il purissimo petrolio light iraniano alle raffinerie cinesi, anche se ciò comporta il fallimento del piano di sanzioni americane verso l’industria petrolifera iraniana.
Ecco perché una semplice petroliera che attracca in un terminal iraniano rappresenta la più grande sfida che la Cina abbia mai lanciato agli Stati Uniti d’America dai tempi della nascita della Repubblica Popolare Cinese. Una sfida aperta che, alla maniera dei cinesi senza proclami ma con fatti concreti, dimostra agli Stati Uniti che la Cina, nonostante quello che riportano quotidianamente i media tradizionali, è pronta a difendere la Corea del Nord con le armi. La Corea del Nord, non il regime di Kim che troppe volte non ha rispettato gli ordini di Pechino.
In questa situazione di incertezza l’Iran avanza nel suo programma nucleare, civile o militare che sia, lo stallo nei colloqui del 5+1 e il timore che alla fine gli Stati Uniti rinuncino ad intervenire militarmente verso l’Iran sta rendendo lo stato di Israele estremamente nervoso. Gerusalemme osserva la penisola di Corea e vede la Corea del sud ad un passo dalla distruzione totale se, per un qualsiasi motivo, quale che sia, la leadership di Pyongyang decidesse di premere il pulsante atomico. Nei pensieri del Primo Ministro di Israele l’idea di un nuovo olocausto all’orizzonte potrebbe spingere il gabinetto di sicurezza di Israele a prendere una decisione definitiva sull’opzione militare contro l’Iran, prima che le capacità militari di Israele non siano più sufficienti per gestire in autonomia l’attacco ai siti nucleari dell’Iran, lasciando da parte le considerazioni politiche verso gli Stati Uniti e avendo come riferimento quella volontà di non voler più assistere ad un nuovo olocausto. La politica del “Never Again” potrebbe concretizzarsi in un attacco ai siti nucleari iraniani, attacco che diventerebbe ancora più vicino alla realtà se nella penisola coreana si scatenasse una guerra dove l’impiego di armi atomiche non può più essere escluso.
Tocca ora agli Stati Uniti decidere quale si la migliore strategia che possa mantenere intatta la fiducia degli alleati nella fedeltà dell’America ai trattati di mutua difesa e che eviti di scatenare una guerra dalle conseguenza potenzialmente devastati. Questa volta nessun può far finta di niente, nessuno può accettare lo status quo.
La situazione in Corea così come nel Golfo Persico non può rimanere quella attuale, deve cambiare e cambierà; sarà la diplomazia o la forza delle armi a determinare il cambiamento perché oggi l’equilibrio geopolitico è instabile, talmente instabile da alimentare i foschi scenari che oggi osserviamo nel mondo.