Di Roberto Orsi
Il panorama politico contemporaneo, non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo occidentale, è dominato dallo scontro tra globalisti e sovranisti, “liberals” cosmopolitani e conservatori identitari, tra europeisti ed euroscettici. Si tratta indubbiamente della linea di demarcazione fondamentale della politica di questi anni. Un particolare fondamentale è sinora poco notato: il globalismo, l’europeismo per quello che concerne l’Europa e l’Italia, è ciò che in fin dei conti produce il sovranismo, diventando in maniera sempre più accelerata il miglior garante dell’avanzata sovranista, un’avanzata che è ormai fuori da ogni dubbio. I sovranisti possono dormire sonni tranquilli. Vinceranno. Il loro futuro è radioso. Se sarà radioso il futuro delle nazioni europee, si tratta di una faccenda diversa. Ma da un punto di vista ideologico, le dinamiche della marea storica sono ormai molto ben definite.
Prendiamo il caso italiano. L’Italia è un paese sotto tutela BCE dall’estate del 2011, quando divenne incapace di accedere autonomamente ai mercati finanziari senza l’appoggio europeo. La BCE e il sistema delle banche centrali dell’eurozona hanno in questi anni messo in campo vari strumenti per la sopravvivenza finanziaria del paese, partcolarmente il massiccio acquisto, diretto e indiretto, di titoli di stato.
Ovviamente c’è una contropartita: l’Italia si impegna a rispettare il tetto del deficit, e a fare una lunga lista di riforme, che furono dettate da Bruxelles, Francoforte e Berlino con la famosa lettera della BCE al governo italiano. La posizione europea, per quanto possa apparire solida da un punto di vista tecnico, è in realtà fallace sotto almeno due punti di vista.
Innanzitutto, chiunque conosca la realità della politica italiana e le sue strutture costituzionali, sa che il tipo di riforme a dir poco draconiane che la UE richiese a suo tempo non sono percorribili da nessun governo, né ora né mai. Quelle riforme sono semplicemente irrealistiche in un paese in cui la spesa pubblica è la fonte di reddito del grosso della popolazione, e quindi conseguentemente anche il pilastro del consenso politico, ovvero dei voti che servono per l’elezione e ri-elezione del personale politico. Infatti, i vari governi che si sono succeduti dalla crisi del 2011 (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) sono stati ben lungi dall’attuare le riforme richieste. La loro azione di governo è stata invero abbastanza limitata e non ha pertanto avuto un impatto decisivo sulla struttura fondamentale della spesa pubblica, sull’organizzazione dello stato e dell’economia privata, se non per gli effetti depressivi, spesso devastanti, di una grave recessione (2011-2015) esarcebata anche da manovre che hanno colpito duramente la domanda interna. Va anche notato che nonostante queste manovre, il rapporto debito/PIL è peggiorato progressivamente passando dal 120% del 2011 al 131% attuale, per quanto in stabilizzazione nell’ultimo biennio.
Il secondo errore dell’UE e dei suoi uomini in Italia, tra cui certamente il Partito Democratico nel suo insieme e il Presidente Mattarella, sta nel pensare che un paese possa rimanere per molti anni, magari decenni, in un regime infinito di bassissima crescita, alta disoccupazione, altissima tassazione, bassissimi investimenti, senza che si formino poderosi movimenti di opposizione politica. Come si fa a conservare il consenso politico propugnando una visione del futuro basata esclusivamente su un percorso di stagnazione-recessione, di rassegnazione a vivere in un paese che va stabilmente e inesorabilmente verso una lenta implosione economica, sociale, demografica, e culturale? Questo non è solo contrario allo spirito della democrazia moderna e delle sottostanti ideologie progressiste, è contrario alla politica come arte del governo, democratica o meno.
Questo secondo aspetto è il più grave perché rivela un’incapacità di pensare veramente in termini politici (e specificatamente di consenso). A rafforzare la convinzione che i globalisti non stiano capendo quali siano i costi politici della situazione italiana, vi sono i chiari esempi che si possono trarre dalle vicende europee. In risposta ad ogni azione globalista, è sorta una risposta sovranista.
Negli anni successivi al 2011, le istituzioni europee e i vari esponenti politici “globalisti” hanno devastato la loro stessa credibilità in seguito alle ben note vicende legate alla crisi dei migranti e al dilagare del terrorismo di matrice islamica in tutta l’Europa. Questo è un punto fondamentale per capire l’ascesa dei movimenti euroscettici e sovranisti. Senza le assurde politiche della Merkel nel 2015, non ci sarebbe stata con ogni probabilità né la Brexit né l’elezione di Trump alla Casa Bianca. La Merkel è riuscita nel capolavoro di creare un partito alla destra della CDU-CSU nel Bundestag (non ce n’era uno dal 1961), con vari Länder che potrebbero cadere sotto il controllo di AfD nel giro di pochi anni. Ha consegnanto tutta l’Europa centrale al nazionalismo almeno per una generazione (Gruppo Visegrád e dintorni), e provocato un massiccio spostamento a destra in Austria, Olanda, Danimarca. Ancora oggi l’UE continua a insistere su un piano di ripartizione dei migranti che non ha alcuna possibilità di venire accettato ma che acuisce e rafforza le istanze sovraniste. Il fatto stesso che a Bruxelles non si rendano conto di quanto questo atteggiamento sia controproducente, è testimonianza di una dissociazione dalla realtà che rasenta il patologico. Esso testimonia inoltre l’assenza di capacità comunicative, con un scelta di messaggi circa le priorità dell’azione politica (Juncker: “Vigileremo sui diritti degli Africani in Italia”), che è sempre e puntualmente dannosa per le proprie posizioni. L’europeismo è diventato incapace di pensare in termini di dialettica politica, di azione e reazione. Ossessionato dal tecnicismo economico-giuridico dell’Ordnungspolitik teutonica e dal politically correct di matrice anglosassone, è diventato una struttura di pensiero completamente dogmatica. Gli europeisti-globalisti si trovano in quello che gli psicologi chiamano “tunnel cognitivo”: hanno imposto a se stessi dei limiti invalicabili a quello che può e non può essere contemplato, costi quel che costi. Così facendo, sono incapacitati a fare altro se non una infinita serie di errori, nient’ altro che errori, che avvantaggiano sistematicamente i sovranisti, le forze nazionaliste, le destre euroscettiche, i “populisti”, i “deplorables”. Come se ciò non bastasse, l’attenzione maniacale al dettaglio tecnico-giuridico impedisce loro di vedere il costante allontanamento dell’UE dai veri principi e “valori” dell’integrazione europea sulla base dell’uguaglianza tra gli stati (non dell’innegabile egemonia di Berlino), la mancanza di trasparenza e di democraticità in molti processi decisionali, i limiti di un’istituzione che è crescita troppo e troppo in fretta.
In Italia più che altrove è palese la dissociazione dalla realtà che ha caratterizzato politiche totalmente controproduttive in ogni campo. Come esempio basti citare la guerra in Libia del 2012, la quale ha devastato interessi strategici vitali elementari non solo del paese, ma di tutta l’Europa, gettando il Mediterraneo nel caos, con un flusso di immigrazione che i governo Letta e Renzi hanno gestito e comunicato nel peggiore dei modi. Essi tuttavia non si sono mai resi conto che tali politiche avrebbero minato in modo irrimediabile il loro consenso, lasciando campo aperto ai sovranisti. Altri errori sono stati il maldestro tentativo di riforma costituzionale di Renzi, nonché il suo formidabile storytelling, specie sulle questioni economiche. Se i precedenti governi fossero stati in grado di limitare gli errori ad un solo aspetto della loro politica, dialogando coi sovranisti su altri aspetti, probabilmente avrebbero mantenuto il potere. L’errore è stato voler tentare di imporre in tutto e per tutto una visione europeista e globalista, disconoscendo ogni validità e persino legittimità ad altre forme di pensiero, non comprendendo però che le già difficilmente digeribili politiche di austerità, se combinate con una gestione (e pessima comunicazione) del fenomeno migratorio inqualificabile, avrebbero portato i sovranisti alla vittoria. Se Renzi avesse mediato sul fenomeno migratorio, seguendo la politica di altri paesi europei (anche senza scomodare le ben più lungimiranti politiche del Giappone e altri paesi asiatici), probabilmente sarebbe riuscito a contenere a questo giro l’ondata sovranista. Semplicemente, la sua visione del mondo non prevede l’esistenza di tali opzioni.
Il 4 Marzo scorso è accaduto che, come sommatoria di tutti gli errori di valutazione e le politiche sbagliate di cui sopra, le forze europeiste hanno perso il controllo dell’Italia. Sono insomma riuscite a trasformare movimenti che dieci anni fa detenevano forse il 10%-15% dell’elettorato, a forze che possiedono la maggioranza assoluta degli elettori e dei seggi parlamentari, e viaggiano verso il 60% combinato. Poiché agli europeisti rimane, come ultima carta, il controllo del Quirinale (oltre ovviamente ai grandi media italiani e del mondo euro-atlantico), possono solo tentare di forzare una soluzione presidenziale che ignori la maggioranza parlamentare, una mossa ai limiti (forse oltre) delle prerogative costituzionali. Ma che succederebbe dopo? Una forzatura europeista, centrista, “cerchiobottista” (per usare un’espressione calzante della prima repubblica) rafforzerebbe solo i sovranisti, i quali arriveranno prima o poi a controllare ancora più voti e seggi. Anche l’inquilino del Quirinale arriverà un giorno alla fine del suo mandato. Che succede dopo? Potrebbero le forze europeiste ri-guadagnare una maggioranza? Sulla base di che cosa? Il progetto UE potrebbe forse riprendersi, con quali presupposti e quale visione del futuro?
L’europeismo-globalismo dell’UE nella sua veste attuale, ideologicamente e pragmaticamente, specie in un paese come l’Italia ma in realtà in tutto il mondo occidentale, è fondamentalmente votato all’autoliquidazione, in quanto incapace di autocritica e di cambiamento, incapace soprattutto di capire che le sue fondamenta, anche in termini squisitamente politico-filosofici e persino antropologici, sono sbagliate. L’europeismo produce quindi come sua nemesi il sovranismo. Finché gli europeisti e i globalisti non cambierannno traiettoria, i sovranisti continueranno a vincere. Ma non cambieranno traiettoria, sono impossibilitati a farlo dati i vincoli che si sono auto-imposti. Quindi i sovranisti prevarranno. Quello che accadrà dopo, è un’altra storia.
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Roberto Orsi ha conseguito un dottorato di ricerca in Relazioni Internazionali presso la London School of Economics. Dal 2013 insegna politica internazionali all’Università di Tokyo.
Comment(2)
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Buona analisi, speriamo che l’evoluzione prefigurata si svolga prima che gli europeisti e le mafie di contorno abbiano estinto noi e gli altri popoli d’europa.
Analisi parziale, incompleta quando non addirittura faziosa. Condivido molte delle critiche portate dall’autore ai governi di molti paesi UE, ossessionati dal rigore, incapaci di visioni strategiche di lungo periodo, e più interessate a titillare il loro elettorato che a rendere l’Unione Europea una casa, nella quale, tutti noi vorremmo sempre abitare.
Ma i difetti degli altri non coprono minimamente i nostri, anche se l’autore sembra dimenticarsene. Le politiche di austerità hanno affossato la domanda interna, eroso i diritti, e aumentato la precarietà? Certo. Quindi cosa facciamo? Torniamo a fare politiche a debito alla “Viva il Parroco”?
Siamo uno Stato con un debito pubblico enorme, la ricetta proposta dalla UE per abbatterlo può essere sbagliata, ma la soluzione non è certo fare altro debito, aumentando ancora di più il macigno che, già oggi, grava sul futuro delle generazioni future. Se vogliamo contrapporre ricette valide a quelle ottuse proposte da Bruxelles e da Berlino, dobbiamo cominciare a tagliare la spese pubblica, che non vuol dire chiudere scuole e ospedali, vuol dire chiudere tutte le partecipate, consociate, controllate nelle quali, per anni Comuni, Province e Regioni hanno buttato miliardi per avere il controllo di serbatoi elettorali, Vuol dire razionalizzare le risorse umane, evitando che, Comuni di 5000 abitanti abbiano uffici amministrativi grossi come quelli della Unilever o della Nestlè, perché riempiti di assunzioni politiche. Vuol dire riportare il forestali calabresi a numeri che non siano il triplo dei rangers canadesi.
Fatto questo possiamo andare in Europa a far valere le nostre ragioni. Se invece vogliamo fare la voce grossa pretendendo di spendere soldi che non abbiamo , perché “è sempre stato fatto così” allora non abbiamo proprio capito nulla. Anche perché con buona pace del radioso Sol dell’Avvenire promesso dai sovranisti di turno, le vicende che hanno portato alla revisione della compagine governativa, in versione più accomodante nei confronti del volere UE dimostra che le leve del comando del nostro paese, sono tutt’ora saldamente nelle mani della UE e dei suoi azionisti di maggioranza (Berlino su tutti) e che le mirabolanti promesse del governo giallo-verde dovranno fare i conti con la realtà imposta dalla UE, realtà alla quale, possiamo sottrarci solamente redendoci conto che, i tempi della spesa pubblica ipertrofica, dei pensionati a 50 anni, e delle assunzioni a pioggia nel pubblico impiego sono finiti e che bisogna cambiare registro.