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Stabilizzare la Libia priorità assoluta della lotta all’estremismo 

Libia

Quando un rogo brucia in maniera incontrollata è preferibile evitare che si diffonda a strutture ancora difendibili, piuttosto che cercare di spegnere subito l’incendio principale.
Allo stesso modo oggi è importante intervenire in Libia per impedire che l’incendio dell’estremismo e dell’integralismo che brucia in Siria e in Irak prenda il controllo del della costa africana da Tobruk a Tripoli, e instauri una base logistica in una nuova e strategica regione geografica.
La Libia è uno stato nel quale il Califfato non è ancora riuscito a stabilire il controllo assoluto su una parte di territorio, e quindi è ancora possibile combatterlo prima che possa organizzare militarmente una parte della Libia.
La Libia potrebbe essere quindi un luogo dove molti (ma non tutti) i paesi che si combattono per procura in Libia potrebbero trovare una via comune per ristabilire la stabilità della Libia.
La Libia, e lo sosteniamo da tre anni, è il luogo dove si decideranno le sorti del Califfato Islamico. Senza la Libia il Califfato non potrà disporre di un accesso al mare e resterà isolato nei territori, sconfinati e relativamente isolati, di Siria e Irak. Se invece il Califfato prendesse possesso della Libia esso avrebbe libero accesso al mare, e tramite il mare potrebbe iniziare una serie di traffici illeciti che gli permetterebbero di crescere oltre la dimensione locale che ancora oggi lo contraddistingue, oltre che infiltrare agevolmente terroristi in tutto il sud europa. Impossessarsi della Libia qualificherebbe il Califfato come un aggregatore sovraregionale dell’estremismo teocratico sunnita, in quello che potrebbe essere visto da molti estremisti islamici come la rivoluzione Khomeinista dei suniti. Tutto ciò si gioca in Libia e non in Siria.
Tuttavia particolari ragioni geopolitiche, legate in particolare alla produzione e al trasporto di Gas Naturale e Petrolio (dedicheremo un post specifico a queste motivazioni), dividono gli interessi a lungo termine dei due principali attori della geostrategia nell’area europea e mediterranea: naturalmente parliamo della Russia e degli Stati Uniti d’America.
Una Libia stabile permetterebbe la creazione di un gasdotto che dai campi metaniferi di Israele (Leviathan) e dell’Egitto (Zhor) potrebbe raggiungere l’Italia seguendo la linea costiera libica fino a Tripoli e poi affiancarsi al gasdotto Green Stream già in funzione. Con questa opzione non sarebbe necessario costruire terminal di liquefazione del Gas in Israele e in Egitto e costruire rigassificatori nei paesi Europei destinatari del gas. Ma senza i rigassificatori in Europa gli Stati Uniti si vedrebbero preclusa la possibilità di esportare, nel prossimo decennio, il loro gas naturale che verrà prodotto in grande quantità.
Speriamo che in questo caso l’interesse sovranazionale dell’Europa sia prioritario rispetto ai piani energetici di esportazione di gas naturale dei nostri alleati americani, e che per questa battaglia al califfato l’Europa sia in grado di gestire in relativa autonomia le proprie politiche energetiche e di sicurezza.
Siamo certi che se l’Europa avrà la forza di chiamare una grande coalizione internazionale alla stabilizzazione della Libia, sia la Russia, sia gli Stati Uniti (vista anche l’imminente campagna elettorale) parteciperebbero fianco a fianco ad una operazione unica nella storia moderna del nostro continente.
Sulla Libia si gioca il futuro dell’Unità Europea, si potrebbe rilanciare lo spirito di Pratica di Mare che mise fine alla Guerra Fredda e al timore di una Guerra Nucleare Globale e si potrebbero decidere le sorti della geopolitica di tutto il medio oriente.
…infine se qualcuno di voi chiedesse: si va bene andiamo in Libia ma poi come ne usciamo? Noi ci abbiamo pensato oltre un anno fa, qui trovate il link alla nostra analisi sulla possibile exit strategy dopo un intervento militare in Libia.
Il tempo della preghiere e delle fiaccolate è finito, è tempo di avere una strategia, è tempo un piano a lungo termine per rappacificare la Libia, è tempo di mettere in campo una ampia coalizione che guardi al futuro e non solo alla contingenza dell’oggi, in due parole è tempo di combattere.