Lo spezzatino della politica estera italiana nella lotta per la Libia
Oggi a Parigi si terrà un incontro, voluto e cercato in prima persona dal presidente francese Macron.
Un incontro che vedrà presenti nello stesso luogo, e nelle intenzioni di Macron nella stessa stanza, il presidente libico Al Serraj e il Generale di Tobruk Kalifa Haftar. Un incontro a suo modo storico che potrebbe determinare un netto cambio di direzione nella travagliata guerra civile libica.
Ma cosa ha fatto la Francia per essere oggi il fulcro della mediazione tra le parti in conflitto in Libia? La Francia ha di fatto determinato la caduta di Gheddafi, uomo non certo amato né da Haftar né da Al Serraj, ma la Francia ha anche la forte responsabilità di aver gettato un intero paese, che si stava sviluppando e che ogni anno migliorava lo stato sociale e il grado di ricchezza della nazione, nel caos.
La Francia ha determinato, direttamente ed indirettamente, la morte di decine di migliaia di libici, non solo in combattimento, ma anche per malattia, per complicanze legate al parto, per l’impossibilità di avere a disposizione cibo e acqua di qualità. Allo stesso tempo la Francia ha avuto la responsabilità di determinare la rinascita delle fazioni tribali libiche, dei traffici illeciti che coinvolgono il mediterraneo centrale e il Sael, tanto caro a Parigi.
E l’Italia? L’Italia si presenta sullo scacchiere internazionale, ed in particolare sul terreno libico, divisa, senza un progetto strategico, senza una visione di lungo periodo, senza il coraggio di scelte risolute, senza una voce univoca in politica estera. L’Italia, una nazione che chiede ad ogni vertice europeo una sola voce in politica estera, non è in grado di trovare all’interno dell’esecutivo una linea comune. Il Presidente del Consiglio appare a nostro avviso sempre influenzato delle idee e dalla visione di una certa parte del mondo cattolico militante, il ministro degli interni che si sente nella nostra visione schiacciato nel suo ruolo e che cerca in ogni momento, forte delle sue capacità e dei suoi anni trascorsi come responsabile politico dei Servizi, di scavalcare il ministro degli Esteri (ruolo forse più congeniale all’On. Minniti). Il Ministro degli Esteri appare non in grado di tracciare la via della diplomazia italiana, di fatto schiacciato come un vaso di coccio tra due vasi di ferro. Il ministro Alfano dovrebbe avere l’onere e l’onore di guidare la nostra diplomazia, ma oggettivamente osserviamo che le sue iniziative non vengono mai prese in considerazione dalla restante compagine politica di maggioranza.
Ci meravigliamo quindi che la Francia ci abbia scavalcato nel ruolo di mediatore in Libia?
Ci meravigliamo se i libici cercano una guida forte che possa portare benefici a tutti gli attori su campo?
Ci meravigliamo se i leader della Libia non mostrano alcuna fiducia verso l’Italia e i suoi Ministri?
Noi siamo visti dalla Libia come un paese di persone incerte, pronte a cedere ai ricatti, ma altrettanto pronte a cambiare idea riguardo agli accordi fatti, se non altro per l’estrema frammentazione delle responsabilità riguardanti la politica estera.
L’Italia si è limitata in questi anni alla gestione passiva dell’immigrazione irregolare, e alla protezione di una minoranza di profughi di guerra, continuando a parlare di un nostro grave errore di valutazione come di un successo.
Continuiamo a presentare al mondo un fallimento come i recuperi al largo della Libia, come un esempio da imitare, perseveriamo nell’applicare un accordo relativo a Triton e alla destinazione delle persone recuperate davanti alla Libia (tutte devono essere portate in Italia), senza avere la forza di cambiare quello stesso accordo o di denunciarlo e uscirne in maniera unilaterale.
Stiamo spacciando la nostra debolezza per una virtù, ma gli arabi ed i libici conoscono bene la differenza tra ricatto e concessione, tra magnanimità e debolezza, tra ingenuità e stupidità.
E’ la Libia oggi che ci offre una lezione di relazioni internazionali, di politica estera e di diplomazia, un tris di attività che il nostro paese ha cessato di perseguire e di sviluppare.
Relazioni internazionali, politica estera e diplomazia dovrebbero essere funzionali allo sviluppo del paese, all’interesse nazionale, all’equità e alla pace con i vicini, ma le crepe nel nostro esecutivo hanno minato ognuno di questi pilastri delle nostre relazioni con gli altri stati.
Chi pensa che la politica estera non sia così importante, chi pensa che la geopolitica sia solo l’analisi astratta di scenari ipotetici, guardi oggi a Parigi e osservi la Francia che sottrae all’Italia il ruolo di principale partner politico della Libia (di tutta la Libia), osservi la Francia che pone le basi per scalzare l’Eni dalla sponda sud del Mediterraneo, osservi al castello di La Celle Saint Cloud un presidente francese che conquista per il proprio paese un nuovo mercato, nuove commesse per le sue aziende, nuovi contratti per la sua industria bellica, e che completa il controllo francese relativo alla forniture di energia all’Italia, già oggi primo cliente delle centrali elettriche nucleari di Parigi, e che domani acquisterà dalla Total-Elf il gas ed il petrolio che Eni ha contribuito a scoprire in Libia.
Speriamo che il governo cambi radicalmente la propria posizione, che trovi una via comune per difendere gli interessi della nazione e non solo per alimentare e soddisfare le scelte ideologiche di questo o quel gruppo di potere, per mantenere una poltrona, per appagare il desiderio del proprio ego. Avete nelle mani i destini della Repubblica, ricordatelo tutti.