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La Siria: una possibile nuova provincia iraniana nella mezzaluna sciita

La Guerra in Siria, la guerra contro i “ribelli”, contro lo “Stato Islamico”, si avvia alla sua conclusione, ma la Guerra in Siria, quella vera non è ancora incominciata.
La Siria, come abbiamo scritto più volte, è uno stato fallito, un luogo geografico i cui confini sono porosi, labili, non più soggetti alla sovranità di Damasco.
A Nord i turchi agiscono attraverso la frontiera indisturbati, ad Est i curdi lottano per creare uno stato che possa dare una parvenza di sicurezza ad una nazione senza una terra, a Sud gli americani hanno stabilito un bastione, un caposaldo dove sono presenti forze speciali e artiglieria, anche a lunghissimo raggio, protetta ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette dalla potenza aerea americana.
Ma la Siria è anche un luogo dove gli “alleati” di Al Assad oggi agiscono apparentemente in maniera non coordinata con il presidente della Siria, e dove Iran ed Hezbollah non agiscono solo per difendere la Siria laica che noi tutti ricordiamo prima dell’inizio della tragedia del conflitto.
Oggi la Siria è utilizzata per il progetto di egemonia geopolitica iraniano, ed allo stesso stesso modo è stata strumento delle monarchie sunnite del Golfo per impedire la medesima egemonia iraniana.
L’Iran con la sua presenza in Siria ha invertito i rapporti di forza tra l’Hezbollah libanese ed il governo siriano. Prima del conflitto era la Siria il principale sponsor della milizia sciita libanese, e spesso il governo di Damasco dettava la linea al Partito di Dio. Oggi accade esattamente l’opposto e sono gli integralisti religiosi sciiti a dettare le regole al governo laico di Al Assad. Ma la forza dell’Hezbollah in Siria non deriva unicamente dalla grande mobilitazione di uomini messa in atto per la guerra contro i “ribelli” siriani. La forza di Hezbollah deriva dal fatto che l’Iran ha riconosciuto Hassan Nashrallah, e non il presidente Al Assad, come il vero leader della parte occidentale della Mezzaluna Sciita.
La Siria, con la sua indipendenza economica e la sua forza militare, non aveva mai accettato le sollecitazioni degli sciiti radicali ad unirsi a guerre, anche asimmetriche, atte ad alterare i rapporti di forza nella regione, primo tra tutti quello con Israele.
Ora però tutto potrebbe cambiare. L’Iran preme da sempre per una mobilitazione generale contro Israele e per la distruzione dello stato ebraico.
La mezzaluna sciita non è infatti solo un progetto di egemonia geopolitica, ma anche un progetto di conquista religiosa che vede in Gerusalemme l’obiettivo finale.
Quando osserviamo gli estremisti sciiti muoversi in Siria dobbiamo ricordare che la nazione guida, la Repubblica Islamica dell’Iran, dal primo giorno della sua fondazione ha un obiettivo di supremazia su tutte le altre correnti religiose dell’Islam, e ha un desiderio di controllo diretto di tutti i principali luoghi sacri alla religione fondata dal Profeta Maometto.
Mecca, Medina e Gerusalemme sono tre tra questi luoghi che non sono sotto il controllo dell’Iran. Conquistare Gerusalemme spalancherebbe automaticamente all’Iran le porte di Mecca e Medina, coagulando attorno agli Ayatollah tutti quei mussulmani, che da decenni attendono la cacciata degli ebrei ed il completo controllo dell’Islam sulla città santa di Gerusalemme, mettendo quindi a repentaglio lo stesso controllo dei Saud sulla Penisola Araba.
La Siria di Bashar Al Assad non ha mai condiviso tali obiettivi e probabilmente mai li condividerà, in quanto un’altra guerra contro Israele, al giorno d’oggi, non potrà essere vinta, ma al massimo potrebbe concludersi con la devastazione reciproca delle due parti in conflitto.
È per questi motivi che una volta sconfitto il Califfato, trovato un accordo con la Turchia e resi inoffensivi i curdi, l’Iran cercherà di trasformare la Siria in uno stato vassallo di Teheran, un proxy da utilizzare come corridoio verso il Mediterraneo e come un’arma contro Israele, un’arma da sfoderare nel prossimo conflitto tra Hezbollah e lo Stato Ebriaco, possibilmente dopo che l’Iran sarà in grado di fornire un “ombrello nucleare” funzionale alla difesa attiva dei suoi alleati ed ai suoi proxy.
Sì, la prospettiva da osservare non è solo quella odierna ma anche quella che deriva dall’attuale accordo sul programma atomico dell’Iran.
L’accordo limita per quindici anni la quantità e la percentuale di purezza di materiale fissile a disposizione dell’Iran, così come non permette per dieci anni l’utilizzo industriale di centrifughe avanzate per la produzione di uranio arricchito.
Ma l’accordo prevede anche possibilità di ricerca e sviluppo su centrifughe avanzate, a partire dal 2018 e il mantenimento in esercizio del centro nucleare fortificato di Fordow. L’accordo non menziona inoltre il programma missilistico iraniano, messo al bando dalle Nazioni Unite, ma che invece procede a passo spedito al fianco del medesimo progetto Nord coreano.
Tra pochi anni, secondo la nostra stima non più di cinque, l’Iran potrebbe essere in grado (se decidesse di violare l’accordo nucleare) di ottenere in poche settimane il materiale fissile necessario per una testata. Per quel tempo la componente missilistica di Teheran sarà completamente sviluppata ed in grado di trasportare una testata ovunque nel Medio Oriente. Alcuni potrebbero obiettare che l’Iran non ha esperienza nel costruire armi nucleari, ma non dobbiamo dimenticare i forti legami tra Corea del Nord ed Iran e non sottovalutare la possibilità che Pyongyang favorisca la ricerca nucleare iraniana con i dati raccolti nei suoi test atomici sotterranei.
In questo scenario la Siria perde sempre più forza e l’Iran ne acquista progressivamente ed inesorabilmente.
Sarà quindi inevitabile una deriva degli equilibri tra le due nazioni a favore di Teheran e colui che sarà al governo a Damasco non potrà che essere un uomo fidato e fedele agli Ayatollah, un uomo che per caratteristiche personali, culturali e famigliari, non potrà essere Bashar Al Assad, la cui permanenza al potere sarà indubbiamente legata ad una eventuale riduzione dell’influenza iraniana in Siria, prima che Damasco diventi una “provincia” iraniana nella mezzaluna sciita.