Afrin è caduta, il Ramo di Ulivo brandito come un maglio dal presidente turco Erdogan ha colpito la popolazione curda della Siria, come negli scorsi anni di guerra aveva massacrato le città curde nel sud della Turchia.
Circa duecentomila persone sono in fuga dirette a sud-ovest, non certo verso la libertà, ma solo verso la sopravvivenza. Una sopravvivenza messa in dubbio dall’ingresso in città di quelle orde di combattenti (ora con la bandiera dell’FSA) che in passato le milizie curde avevano tenuto lontano dalla città, dalle donne e dai bambini inermi.
Ma se osservate le immagini dell’ingresso in città delle truppe turche e dei loro alleati dell’FSA, noterete che è la bandiera rossa con la mezzaluna che sventola dal palazzo del governo, è la bandiera turca che garrisce sul pennone più alto della città, mentre quella degli alleati arabi del’FSA sono quasi superflue.
Anche se molti non se ne sono resi conto oggi è nato l’impero tanto desiderato da Erdogan, oggi è iniziato l’espansionismo territoriale che ha fatto seguito alla retorica e alle minacce. Ad Afrin non è stata una guerra per procura, ad Afrin le truppe regolari turche sono entrate in azione palesemente e reclamando un ruolo ben preciso per la Turchia.
Il successo non placherà la sete di potere del Sultano, non tanto perché sia Erdogan, ma perché chiunque si trovasse nella sua posizione non avrebbe alcun motivo per fermarsi o addirittura per indietreggiare. L’avanza su Afrin ha reclamato il sangue di molti soldati di Ankara, o meglio il sangue di molti martiri come probabilmente preferirebbe dire Erdogan. Ma Erdogan ha anche altri motivi per non arretrare. Primo fra tutti il fatto che egli si senta un predestinato, un uomo del destino non solo per la Turchia ma per tutto il mondo mussulmano. Essere poi scampato alla morte in occasione del colpo di stato fallito del luglio 2016, il grande appoggio avuto dal popolo turco, non ha fatto altro che cementare nella psiche del presidente turco il concetto che egli non poteva ancora lasciare questo mondo, in attesa che il suo destino, quello delle Turchia e di tutto il mondo mussulmano si compia.
La bandiera turca resterà ad Afrin, e se nessuno sarà abbastanza determinato da fermare la marcia dei turchi, presto sventolerà sui piccoli scogli greci al limite più meridionale del Mar Egeo, su tutta l’isola di Cipro e su altre aree della Siria.
E’ evidente anche che oggi Erdogan agisce in Siria con il nulla osta della Russia e dell’Iran, desiderose di spezzare il legame che ancora lega l’esercito e parte del popolo turco con l’occidente e con la NATO; il presidente invece non è più legato a nessuna alleanza, ma cerca di utilizzare i vari attori delle regione per l’esclusivo interesse turco.
Verrà il giorno che gli interessi di Turchia e Russia divergeranno e chi oggi dal Cremlino ha autorizzato la nascita dell’impero turco dovrà confrontarsi con un nemico imprevedibile, esaltato dalla religione e dalla convinzione della propria invincibilità, pronto a sacrificare se stesso ed una intera nazione per la gloria della sua fede.