Hormuz, uno stretto strategico che l’Iran ciclicamente da oltre trenta anni minaccia di chiudere e che è diventato negli ultimi mesi argomento di trattazioni accademiche, articoli di giornale e scenario per gli strateghi di geopolitica. In questi mesi si è fatto un gran parlare delle conseguenze sul prezzo del petrolio e sull’economia globale di un eventuale conflitto che portasse alla chiusura, anche temporanea, dello stretto di Hormuz. L’occidente e le monarchie del Golfo Persico hanno messo in atto molteplici strategie al fine di limitare i danni di un eventuale blocco di Hormuz, gli americani hanno aumentato la loro presenza militare nell’area, raddoppiando il numero di navi cacciamine, aumentando il numero di uomini delle forze speciali, dislocando elicotteri d’attacco Apache sulle portaelicotteri nel Golfo, al fine di contrastare la minaccia delle piccole imbarcazioni veloci iraniane. I sauditi e gli EmiratiAarabi Uniti, hanno implementato a tappe forzate le loro capacità di trasporto del greggio, via oleodotto, oltre lo stretto di Hormuz, in particolare con due progetti, il primo un vecchio oleodotto iracheno che termina la sua corsa sulla costa del Mar Rosso e che i sauditi in poco più di cinque mesi hanno rimodernato e messo in efficienza, il secondo un oleodotto pensato per soddisfare in parte le necessità degli Emirati e dell’Arabia Saudita, che termina la sua corsa sulla costa del mare arabico, in territorio degli Emirati e che permette di evitare Hormuz. Queste misure hanno in parte tranquillizzato la comunità economica internazionale, facendogli credere che anche se Hormuz verrà chiuso, sarà per poco tempo e che il petrolio arriverà comunque seguendo quest vie alternative. Questa analisi non è corretta. In caso di un blocco di Hormuz, non basteranno 30 giorni o 100 giorni ad americani e sauditi per riaprire il passaggio. O per meglio dire per rendere il passaggio sicuro per le petroliere. Non basta togliere le mine, non basta affondare i barchini dei Pasdaran, per rendere sicuro Hormuz con la forza servono ” Boots on the ground “. Servono truppe di terra in alcuni punti strategici, in caso contrario un missile antinave iraniano potrebbe determinare l’affondamento di una superpetroliera in cinque minuti dal suo lancio. Se si vorrà non solo eliminare le mine ma rendere sicuro Hormuz, i Marines dovranno prendere le tre isole dello stretto ( Abu Musa e i due isolotti minori ), ma forse questo non basterà perchè dalla costa iraniana ricca di insenature e promontori un missile Exocet oppure un Silkworm cinese saranno sempre in agguato e immaginare una operazione anfibia sulla costa di Bandr-Abbas è una operazione oggi non realizzabile. Le forza armate iraniane dispongono di centinaia di missili antinave, non è immaginabile di eliminarne in breve tempo, una quantità sufficiente a garantire l’incolumità del naviglio commerciale.