Venerdì scorso abbiamo assistito ad un radicale cambio di strategia da parte dei palestinesi di Gaza, ed in particolare di Hamas. Non potendo più ricorrere liberamente e con successo ai razzi ed ai missili, essendo sempre più lontani dalle posizioni dell’Egitto laico di El Sisi, cercando sponda nell’Iran teocratico e nella Turchia neo-ottomana, i vertici di Hamas hanno deciso di usare le masse contro Israele.
Sì, le masse come ai tempi delle grandi carneficine della Prima guerra mondiale, quando migliaia di uomini venivano mandati incontro a morte certa simultaneamente, per conquistare pochi metri di trincee. Oggi non siamo più nel 1918 ma abbiamo osservato ancora una volta come 100 anni fa, una massa umana mandata incontro a morte certa per cercare di destabilizzare il confine con Israele.
Il bilancio della giornata di scontri è stato terribile, 16 palestinesi uccisi e circa 1200 feriti. Terribile certo, anche fosse solo stata la perdita di una sola vita umana. Ma cosa sarebbe accaduto se l’esercito di Gerusalemme avesse lasciato fare? Cosa sarebbe accaduto se i tiratori scelti dell’esercito israeliano non avessero cercato di colpire a morte principalmente gli organizzatori, o gli agitatori se preferite, ma avessero atteso che quella massa formata da oltre 20000 persone superasse i reticolati? I morti sarebbero stati centinaia. Così come è evidente la sproporzione tra vittime e feriti. Spesso gli sniper israeliani hanno mirato alle gambe e non al “bersaglio grosso”, certo una azione forte ma che anche in questo caso ha evitato una strage.
Gaza oggi è un ambiente sovra-abitato, con una età media estremamente bassa, pari al grado di istruzione dei suoi abitanti, dove la disoccupazione è alle stelle e la prospettiva di un miglioramento della qualità di vita soltanto una chimera.
Questo ambiente è ideale per reclutare decine di migliaia di giovani da arruolare per una nuova guerra per procura, una guerra che potrà dare linfa alla retorica della Turchia neo-ottomana, pronta ad ergersi come paladina dei palestinesi, in contrapposizione all’Arabia Saudita anche oggi nei fatti è un alleato dello stato ebraico.
Ecco, questo noi vediamo, osservando le masse arabe che muovono dalla Striscia verso Israele. Persone che credono di rivendicare diritti ormai inesigibili sulle terre che oggi sono parte integrante di Israele. Persone che invece sono strumento della politica mediorientale di Ankara che vuole ergersi a pilastro dell’Islam non sciita.
Queste masse sono le medesime, seppur di altra nazionalità, che vedremo marciare ed impossessarsi delle terre dei curdi nel nord della Siria, sono le stesse che cercheranno di prendere possesso politico del Kosovo, e che dai sobborghi del Cairo tenteranno di indebolire il potere dei militari in Egitto, per poi occuparsi della Libia (partendo da Tripoli).
Noi vediamo il Sultano dietro i fatti di Gaza, vediamo la volontà di uno stato ebbro di desiderio di “spazio vitale”, di prendere possesso di tutto il Mediterraneo orientale, di schiacciare Israele, e di sostituire l’Egitto come guida teologica e politica dell’Islam sunnita mediterraneo.
E’ miope non prendere atto delle dichiarazioni di Erdogan, il quale definisce il Primo Ministro di Israele, e lo stesso stato ebraico, entità terroristiche, mentre è proprio la Turchia a perpetrare la sostituzione etnica dei curdi, fin dentro i confini siriani. E’ la Turchia che corre veloce verso l’obbligo del velo per le donne, è la Turchia che arresta i giornalisti di opposizione, è la Turchia che reprime ogni protesta che abbia come oggetto il presidente Erdogan, è sempre la Turchia che ricatta l’Europa mediante i flussi migratori come fece Gheddafi molti anni fa, è la Turchia che impedisce a Cipro di disporre del mare che appartiene ai ciprioti, ed è sempre la Turchia che agisce in Kossovo per “portare in patria” (di fatto mediante un rapimento), cittadini turchi accusati di essere seguaci di Gulen.
Non possiamo ignorare questo attivismo turco, non possiamo lasciare Israele ancora una volta solo a combattere anche per la nostra libertà e per i nostri interessi. E’ tempo di individuare chi è amico e chi è nemico pensando all’oggi e solamente a questo. Ma che nessuno ci fraintenda, la Turchia non è nostro nemico, il popolo turco non è nostro nemico, è però il caso di riportare il vertice politico della Turchia a più miti consigli, iniziando magari sospendendo ogni pagamento (frutto di ricatto) a favore di Ankara, non facendo dettare a Erdogan la scaletta delle sue visite in Europa o la possibilità o meno di tenere conferenze stampa in occasione di summit con i nostri capi di stato.
Gaza e Turchia sono legate da un solido filo che unisce la Striscia al Palazzo Presidenziale di Ankara, se non comprendiamo questo elemento non potremo mai analizzare in maniera corretta cosa accadrà nei prossimi mesi in Medio Oriente.