Antefatto
Dopo la stabilizzazione della guerra in Ucraina, successiva agli accordi di Minsk II, le due parti in conflitto (Ucraina e milizie indipendentiste) e i loro principali sostenitori (Stati Uniti che hanno sostenuto il cambio di regime a Kiev e Federazione Russa che ha armato e favorito il flusso di combattenti verso il Donbass) hanno continuato i preparativi nel caso in cui le ostilità fossero riprese, qualunque ne fosse stata la causa.
SCENARIO
Nei giorni e nelle settimane successive al 24 febbraio, giorno ufficiale di inizio ritiro delle artiglierie, la situazione nel Donbass è rimasta relativamente tranquilla, l’esodo dei profughi si è arrestato, le strutture sanitarie hanno ricevuto rifornimenti di farmaci e attrezzature, così come i negozi di alimentari che sono tornati ad essere forniti di tutti i beni di prima necessità. Tuttavia appena oltre le città le unità militari delle due parti permanevano in stato di massima allerta e dall’ovest dell’Ucraina sempre nuovi battaglioni giungevano nel Donbass. Stessa cosa avveniva negli Oblast’ russi confinanti con l’Ucraina.
Report non ufficiali, raccolti sui Social Media, raccontavano, ad una platea assopita, dell’arrivo di centinaia di mezzi corazzati russi ad una cinquantina di chilometri dal confine ucraino. Unità d’élite, il meglio delle truppe di Mosca, brigate aeromobili, truppe corazzate con in dotazione i più avanzati MBT della Federazione. Negli aeroporti, in particolare a Belgorod ed in Crimea, si assisteva all’arrivo di Su-34, SU-27, MIG-31 all’ultimo stadio di evoluzione e decine di elicotteri d’attacco, inclusi, i pochi ma temibili KA 50. Pochi in occidente, tra il grande pubblico, si accorgono di questa mobilitazione mentre tra gli addetti ai lavori la tensione rimane palpabile. Intorno alla metà di aprile la mobilitazione russa si estende, in maniera massiccia anche alla penisola di Crimea, dove sono presenti forze non inferiori ai 35000 uomini. Nelle zone di campagna tra Belbek (l’aeroporto militare ad ovest di Simferopoli) e l’istmo di Crimea sono stati dispiegati sistemi antiaerei S-400 ed S-300 PMU2, missili balistici Iskander, e nelle basi aeree, navali e delle forze missilistiche tattiche sono disponibili testate nucleari.
La NATO si riunisce ogni due settimane e il 20 aprile il Consiglio Atlantico dichiara che la Russia pone ormai una minaccia diretta all’Ucraina. Mosca risponde immediatamente alla dichiarazione NATO e rivela che il 23 febbraio 2015 ufficiali ucraini avrebbero concordato al pentagono, con i responsabili americani che si occupano dei rifornimenti di armi all’estero, di cedere all’Ucraina armi avanzate. A questo scopo, sempre il Cremlino, rivela che dal mese di Marzo 2015 addestratori americani si sarebbero recati in Ucraina con simulatori di missili multiuso (anche se prevalentemente anticarro) Javelin, e missili antiaerei Stinger di ultima generazione, mentre ufficiali e tecnici polacchi hanno contribuito a rimettere in linea decine di aerei MIG-29 e SU-27 spesso inefficienti a causa della carenza di ricambi, prontamente consegnati all’Ucraina dai depositi della riserva della Polonia e della Bulgaria.
Mosca ritiene, sebbene non lo dica in questi termini, che questo incremento delle capacità belliche dell’Ucraina sia in grado di compromettere un eventuale intervento delle forze armate della Federazione Russa a supporto delle regioni separatiste e della Crimea, nel caso in cui l’Ucraina riuscisse ad organizzare un esercito in grado di attaccare le aree di Deblachevo, Donetsk e Lugansk. In un simile caso le forze russe che affluissero in supporto dei separatisti dovrebbero essere pronte a subire ingenti perdite, perdite che potrebbero minare il consenso al presidente russo Putin. In caso di non intervento le ricadute politiche sul presidente russo potrebbero essere ancora peggiori e al Cremlino si vuole evitare in ogni modo che sulla fine dell’estate Mosca debba subire l’iniziativa militare di Kiev. Esiste poi presente e pressante la questione della Crimea. La Crimea dipende dall’Ucraina per la gran parte dell’approvvigionamento elettrico. Per quanto riguarda l’approvvigionamento elettrico la Russia sta per posare un cavo sottomarino in grado di alimentare la quasi totalità della penisola, ma per quanto riguarda l’acqua indispensabile all’agricoltura e all’industria dipende al 90% da Kiev e dal canale che pesca l’Acqua del Dniepr per portarla in Crimea. Questa problematica non è in alcun modo risolvibile, se non con l’accordo di Kiev o la conquista del canale nella sua interezza fino al fiume Dniepr.
12 Aprile 2015 Pasqua Ortodossa
Il mite inverno 2014/15 nel Donbass è alle spalle ed il caldo torna a farsi sentire dopo mesi di pioggia, neve e fango. Nello scorso mese di Marzo sono affluite ai confini con l’Ucraina circa 40000 uomini delle forze armate della Federazione Russa, mentre nell’ovest dell’Ucraina circa 350 addestratori occidentali (un centinaio di britannici e duecentocinquanta uomini della 173ª aviotrasportata americana) hanno lavorato duramente per preparare, non le forze regolari, bensì prioritariamente i battaglioni della Guardia Nazionale all’utilizzo delle armi avanzate che il Presidente americano ora ha ordinato di consegnare alle forze di Kiev.
La Russia ha più volte avvertito che far giungere armi avanzare a Kiev avrebbe reso “imprevedibile” l’evoluzione della situazione nel Donbass. Ma in realtà l’evoluzione della situazione è largamente prevedibile. Poco dopo la Pasqua, tra Novoazovsk e Mariupol, alcuni colpi di mortaio rompono la tregua. Cinque colpi centrano posizioni tenute dal battaglione Azov, che registra un morto e due feriti.
Come sempre la leadership di Kiev ordina di non rispondere al fuoco. Questa volta l’ordine di Kiev è sensato, ma visto che in passato Kiev aveva in altre occasioni ordinato di non rispondere al fuoco, anche quando ció aveva determinato la disfatta di intere unità di battaglioni composti sia da volontari che da forze regolari; così, a causa dei ripetuti errori di comando del passato, i comandanti dell’Azov decidono di contrattaccare e utilizzano i razzi Grad in loro possesso per colpire le postazioni avanzate dei filorussi. La risposta dell’Azov causa oltre 10 morti colpendo un Check Point dove stazionano alcune vetture di civili, nel tentativo di raggiungere parenti a Mariupol. La provocazione russa e la scomposta reazione del battaglione paramilitare determina a questo punto la ripresa delle ostilità su tutto il fronte.
Le forze ucraine subiscono il colpo dei sistemi di artiglieria filorussi riportati in 72 ore a distanza utile per colpire le postazioni delle forze di Kiev. A questo punto, e dinanzi al profilarsi dell’ennesima sconfitta e con la prospettiva di assistere all’accerchiamento di Mariupol, il presidente ucraino ordina lo stato di guerra e accusa la Russia di essere direttamente in guerra con l’Ucraina. Poco dopo le forze aeree di Kiev ricevono l’ordine di attaccare i mezzi e le postazioni filorusse ad est di Mariupol. Simultaneamente al levarsi in volo dai caccia di Kiev anche tutto il sistema di difesa aereo russo riceve un repentino ordine di cambio di assetto: “pronti al combattimento”. Le batterie antiaeree iniziano a tracciare i caccia di Kiev e gli intercettori a volare paralleli al confine tra Russia e Ucraina, questi si spingono fino sul mare di Azov a poche centinaia di metri dallo spazio aereo ucraino. Nel caos che ne deriva qualcosa di veramente grave accade, la scintilla di detonazione: una coppia di MIG-29 ucraini e di SU-27 russi si ingaggiano e lanciano gli uni contro gli altri, i missili con i quali sono equipaggiati.
Tre dei quattro aerei non rientrano alla base. Gli allarmi risuonano nelle sale controllo della difesa aerea e le batterie S400 e S300 russe inquadrarono con i radar di tiro qualunque oggetto voli sopra il Donbass. Pochi decine di secondi dopo una dozzina di missili antiaerei a lungo raggio si levano in cielo e puntano verso ovest segnando l’inizio formale della guerra tra Russia e Ucraina.
Nelle ore successive le divisioni corazzate e meccanizzate di Mosca entrano con la bandiera russa ben in vista nel Donbass e puntano direttamente su Melitopol, ignorando la cittadina costiera di Mariupol, la cui guarnigione governativa Ucraina resta isolata dal resto dell’esercito. Presa Melitopol, non fortificata e priva di una sostanziale difesa, si apre ora per le truppe di Mosca la via per la Crimea.
A nord invece entrano in azione le truppe aviotrasportate che si assicurano, non senza gravi perdite, l’aeroporto di Kharkov mentre nell’aeroporto di Belgorod continuano ad affluire i voli logistici a supporto dell’operazione militare contro Kharkov. In Europa orientale intanto scoppia il panico. I paesi baltici dichiarano la mobilitazione generale e lo stesso provvedimento viene preso dalla Polonia, mentre tutto il mondo attende con ansia, speranza e paura il discorso alla Nazione annunciato per le ore 20 di Washington dal presidente americano Obama, dal Cremlino Putin pensa più ad agire che a parlare…..