Questo post vuole rappresentare solamente uno scenario teorico e non rappresenta una previsione dei fatti che potrebbero avvenire in futuro. Lo proponiamo come esercizio teorico, come possibile soluzione estrema del conflitto in atto in Medio Oriente.
Beirut 1 dicembre 2017: la situazione politica a Beirut è ad un punto di svolta. Il presidente libanese Michel Aoun si trova da un mese ad affrontare una impasse politica che è iniziata con le dimissioni del Primo Ministro Sahad Hariri. Secondo gli accordi in vigore per la stabilità del Libano il premier libanese dovrebbe essere un sunnita, ma lo scontro diplomatico-economico tra Arabia Saudita ed Iran ha spinto gli sciiti libanesi a pretendere che il primo ministro non sia un esponente sunnita. Così cedendo alle pressioni il presidente libanese accetta come Primo Ministro un membro del partito sciita Amal.
Le forze armate libanesi rischiano ora di essere strumento degli sciiti e non più contrappeso interno alla presenza di Hezbollah.
Riyadh 3 dicembre 2017: un aereo da trasporto delle forze armate americane ha lasciato da poco l’aeroporto militare della capitale saudita. A bordo un altissimo esponente dell’esecutivo americano che ha avuto un colloquio non annunciato con il Sovrano saudita Re Salman e con il Principe ereditario Mohamed Bin Salman Al Saud. Nessuna comunicazione alla stampa della visita, solo la scomparsa da Washington per 36 ore dell’importante membro del governo americano. L’incontro pare essere stato una riunione finale prima di una importante operazione nella regione, talmente importante che necessita di comunicazioni dirette senza l’intermediazione degli strumenti informatici.
Beirut notte tra il giorno 8 e 9 dicembre 2017: è una notte come tante altre a Beirut, il tramonto arriva presto in Libano così come le ultime invocazioni dai minareti della città. Il governo filo-sciita si è insediato due giorni fa, il ministero della difesa è stato affidato ad un sunnita ma noto per i suoi legami politici con l’Hezbollah libanese. Il Partito di Dio tiene a tarda ora una riunione tra i suoi massimi vertici e i ministri del governo che si sono impegnati a seguire le indicazioni degli sciiti. Poco dopo le 23 l’ufficiale responsabile della sicurezza del leader libanese Hassan Nasrallah irrompe nella sala ipogea dove si tiene il consesso. I radar collegati ai sistemi antiaerei a corto raggio 9K33 Osa (Codice Nato SA-8 Gecko) in possesso dell’Hezbollah hanno rilevato una possibile minaccia aerea che dal mare si avvicina a circa 280 nodi, a 500 piedi di quota. Impossibile identificare il bersaglio distante al momento dell’allarme circa 24 miglia, il fatto avveniva quasi tre minuti prima dell’ingresso dell’ufficiale della sicurezza all’interno della sala riunioni. Se i calcoli dei militari sono corretti, tra circa un minuto gli aerei potenzialmente ostili saranno su Beirut. Nella sala è il panico, le guardie del corpo dei vertici di Hezbollah non usano mezze misure e fanno uscire immediatamente le persone sotto la loro protezione. Il piano di emergenza prevede di far rifugiare il leader in un bunker ipogeo collegato con una abitazione poco distante per evitare di esporre i vertici del partito sciita al rischio correlato con la permanenza all’esterno.
Quaranta secondi dopo l’inizio dell’evacuazione un’esplosione devasta l’edificio di Beirut Sud. Poco dopo altre due detonazioni determinano il collasso dell’intero fabbricato e un incendio di vaste proporzioni. La sorte dei vertici dell’Hezbollah libanese è incerta, ma forse il n.1 del Partito di Dio si è salvato.
I quattro caccia F-15 SA tornano sul mare e puntano verso sud. I velivoli erano decollati novanta minuti prima dalla base aerea saudita di King Faisal, eseguito il rifornimento in volo e proseguito verso il golfo di Aqaba identificandosi come velivoli in volo di trasferimento per manutenzione ai controllori egiziani poco prima di impegnare lo spazio aereo del Cairo sopra la penisola del Sinai. Il controllore di volo egiziano aveva negato l’autorizzazione al sorvolo, ma il Sinai è un’area che non viene controllata efficacemente dalle forze aeree egiziane, che per gli accordi di Camp David non possono mantenere una presenza militare costante nell’area. Secondariamente il minimo preavviso fornito dai sauditi non aveva permesso alcuna reazione da parte del Cairo (che forse non era nemmeno intenzionato a reagire). Ora i caccia sauditi stanno rientrando ad alta quota, prossimi alla velocità del suono, anche in questo caso l’Egitto non ha la possibilità (e probabilmente la volontà) di fermare gli aerei sauditi.
Tel Aviv notte tra l’8 e il 9 dicembre: c’è grande fermento nel comando generale delle forze armate israeliane. I radar di scoperta hanno tracciato, fin dal loro decollo, una formazione di quattro F-15 SA diretti verso il Mediterraneo. Le basi aeree israeliane sono state poste in stato di massima allerta, la difesa aerea dispiegata, i riservisti dedicati alle batterie Iron Dome svegliati nel cuore della notte con l’ordine di recarsi ai propri battaglioni entro 120 minuti.
La voce si diffonde velocemente, la radio militare israeliana conferma le esplosioni a Beirut, e che sono stati richiamati duemila uomini della riserva israeliana.
Poche ore dopo la situazione peggiora, sembra che il numero uno dell’Hezbollah sia ferito, ma non in pericolo di vita e che abbia ordinato una rappresaglia missilistica, non contro l’Arabia Saudita, ma contro Israele, come era stato promesso a inizio novembre, durante i primi giorni della crisi nella regione.
I servizi informativi israeliani rilevano una mobilitazione generale dell’Hezbollah libanese, con alcuni battaglioni che si preparano a lasciare rapidamente la Siria per tornare in Libano. La forza multinazionale delle Nazioni Unite in Libano, visto il precipitare della situazione e non avendo agito in passato per evitare il riarmo di Hezbollah a sud del fiume Litani, evacuano le basi all’interno del Libano e si rifugiano sulla costa avvisando Hezbollah e Israele della loro posizione e delle loro intenzioni.
In risposta a questa situazione Israele ordina la mobilitazione generale delle forze di difesa, il governo si riunisce alla presenza dei leader dell’opposizione, i servizi segreti militari parlano di attacco missilistico imminente da parte dell’Hezbollah.
Confine Libano-Israele ore 0745: è l’alba al confine tra il Libano ed Israele e le sirene risuonano nei paesi nel nord dello stato Ebraico, ad Haifa, ad Afula e in tanti centri della Galilea. Pochi minuti dopo decollano i primi intercettori israeliani, la televisione trasmette messaggi di allarme alla popolazione, tute le TV del mondo trasmettono da Tel Aviv, arrivano i primi report di impatti missilistici su centri urbani, militari ed industriali di Israele.
Quello che ancora non si sa è che i primi colpire sono stati i caccia con la Stella di Davide. Avendo osservato la mobilitazione e la preparazione al lancio dei razzi, Gerusalemme non ha rinunciato al vantaggio tattico di colpire per prima e ha ordinato un lancio di missili cruise e bombe guidate contro note postazioni di comando e controllo, nonché contro le postazioni interrate dei razzi dell’Hezbollah non trascurando quelle batterie nascoste nei centri urbani.
Ryad ore 0900: nella capitale saudita risuonano le sirene dell’allarme aereo. Missili balistici iraniani sono in volo contro le principali infrastrutture militari ed industriali del paese e della capitale. Solo nelle Città Sante di Mecca e Medina non risuonano gli allarmi della difesa aerea. I sistemi antimissile sauditi reagiscono alla minaccia e circa il 60% dei vettori iraniani vengono intercettati. Si è trattato in realtà di un attacco limitato, portato con una trentina di vettori su otto diversi obiettivi, una dura rappresaglia, comunque un’azione che ha utilizzato solo una minima percentuale dell’arsenale missilistico di Teheran.
Stretto di Hormuz ore 0900: simultaneamente all’attacco missilistico contro gli obiettivi sauditi la marina iraniana mette in atto “stretti controlli” sull’accesso al Golfo Persico ed intima ad una superpetroliera saudita di dirottare verso Bandar Abbas, per “verifiche doganali”, una dichiarazione che equivale al blocco della libera circolazione delle merci. I barchini delle IRCG, vista la mancata risposta della petroliera saudita, iniziano a sparare raffiche di avvertimento. L’azione è monitorata in tempo reale da parte di due droni americani presenti sullo Stretto. I militari americani chiedono l’autorizzazione all’uso della forza al presidente americano, che non sorpreso dalla vicenda ordina di eliminare la minaccia nel modo più rapido possibile. Elicotteri d’attacco dei Marines si alzano in volo da una nave da sbarco 50 miglia a sud dello Stretto e in 20 minuti sono pronti a lanciare i loro missili guidati contro le unità iraniane che vengono distrutte senza poter reagire.
Lo Stretto di Hormuz viene chiuso, tutte le unità in transito avvisate di attività belliche nell’area e invitare a non impegnare le acque dello Stretto.
Golfo Persico settentrionale, gruppo attacco della portaerei Theodore Roosevelt (CVN-71) ore 1010: è massima allerta a bordo dell’ammiraglia americana nel Golfo Persico, si teme che gli iraniani possano tentare di colpire un’unità americana. Da Hormuz giungono notizie di continua attività della marina iraniana nel Golfo e di scontri continui con unità americane.
Sulla Roosevelt suonano gli allarmi, missili balistici antinave sono in volo verso la Nimitz, allo stesso tempo missili antinave Ra’ad (NATO: Silkworm), di vecchia concezione ma ancora temibili, volano verso il gruppo attacco porterei. Il sistema AEGIS reagisce alla minaccia ma un incrociatore viene colpito a dieci metri dalla poppa e perde il sistema propulsivo principale. La nave non affonda ma ora è vulnerabile a nuovi attacchi. La Casa Bianca aveva già deciso un intervento ad ampio raggio contro l’Iran ma questo fatto determina la decisione di una azione decisiva, mediante l’utilizzo del potenziale combinato di Aeronautica e Marina. Circa 70 minuti dopo questo attacco 400 missili da crociera americani si abbattono sull’Iran riducendo la capacità operativa delle forze di difesa aerea, delle forze missilistiche strategiche, cercando l’eliminazione dell’alto comando di Teheran.
Contemporaneamente le forze di trasporto strategico americane iniziano un ponte aereo di emergenza verso l’Arabia Saudita, rifornendo di munizioni, specialisti e nuovi sistemi antimissile le basi locali, mentre viene mobilitata la Guardia Nazionale in caso di una ulteriore escalation nella regione.
Si teme infatti una offensiva di terra dell’Iran attraverso l’area irachena di Bassora. Al momento, in caso di attacco solo la componente aerea sarebbe in grado di fermare l’avanzata iraniana, non essendo presenti forze di terra adeguate per confrontarsi con le divisioni iraniane, le quali comunque dovrebbero fare i conti con le difficoltà logistiche di operare a centinaia di chilometri dalle loro basi. Per questo motivo una azione di terra iraniana seppure possibile, sarebbe da considerarsi una opzione suicida.
Ecco come potrebbe iniziare un confronto militare nella regione. Molto più complesso invece è delineare in poche righe e senza formulare almeno una trentina di scenari come potrebbe concludersi una tale operazione di guerra, soprattuto per quanto riguarda il Golfo Persico.
In Libano invece la guerra dovrebbe terminare con un alto costo umano sia dalla parte israeliana che da quella libanese, ma riteniamo che in questa occasione Gerusalemme cercherà in ogni modo di eliminare integralmente il potenziale bellico, infrastrutturale e strategico dell’Hezbollah libanese.