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Role analysis sull’attacco all’ambasciatore russo in Turchia.

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Per la rubrica “Voce dei Lettori” vi proponiamo questo post Di Pasquale Camuso

Un analista che non si sbilancia mai e non fa previsioni, ma ha la tendenza a esaminare solo i fatti accaduti per trarne quasi esclusivamente delle evidenze, lascia il tempo che trova e più probabilmente, le cose come stanno.
Stavolta cercherò di trarre qualche conclusione tramite una analisi basata sulle capacità che ritengo per me siano le migliori che posso usare, applicando il role play alla situazione generata dall’attacco in Turchia all’ambasciatore russo, in special modo le implicazioni di quell’attacco dal punto di vista jihadista.
L’attentatore è un ventiduenne che, dalle informazioni giunte finora, è entrato nei corpi di polizia turca ben oltre 2 anni fa. Pare che durante l’attentato sia riuscito a rimuovere almeno altri due componenti del dispositivo di sicurezza posto attorno all’ambasciatore: questo ci confermerebbe il fatto che la Turchia non sia responsabile direttamente del fatto, ma anzi evidentemente si credeva il VIP al sicuro. L’atteggiamento del terrorista dopo l’attacco dimostra tutto l’intento puntato al martirio del killer, che ha avuto il sangue freddo, dopo aver rimosso gli altri elementi della sicurezza, di porsi direttamente alle spalle dell’ambasciatore, forte del fatto che nessuno avrebbe dubitato di lui, e compiere una vera e propria esecuzione di fronte alle telecamere, con l’ulteriore fortuna di avere perfino del tempo per dichiarare pubblicamente i suoi intenti, dato che era l’unico elemento destinato alla protezione del VIP nella stanza.
Dato che il terrorista ha ucciso esclusivamente l’ambasciatore, possiamo dedurre che l’intento fosse puramente dimostrativo, e che con tutta probabilità poteva avere una regia esterna, soprattutto per l’organizzazione dell’attacco sfruttato come evento mediatico: se non fosse stato così, probabilmente l’attentatore avrebbe ceduto alla paura o alla frenesia e avrebbe tentato di uccidere gli astanti, che ricordo non erano protetti.
Questo tipo di strategie è un chiarissimo esempio di Taqyya, il mascherare la propria fede al fine di ottenere una vittoria sul nemico è infatti permesso attraverso questo principio coranico. L’individuo infatti non presenta certo i connotati del terrorista tipico: ben vestito, senza barba o tratti particolarmente distintivi, molto calmo nonostante l’uccisione di una persona, non si concede ad altre azioni sennon quelle del proprio obbiettivo, spara con precisione e solo quando si trova in una posizione tale per cui verrà registrato: da questo dettaglio assieme ad altri, sono giunto alla conclusione che qualcuno l’abbia istruito sulle modalità mediatiche sulle quali è stato impostato l’attacco, in questo caso addirittura più importanti dell’omicidio stesso che, come dicevamo prima, risulta appunto identico alle esecuzioni da parte di ISIS nei confronti dei prigionieri in tenuta carceraria arancione.
Il ragazzo, ancora giovanissimo quindi, si è concesso del tutto alla jihad, attendendo con incredibile pazienza la sua attivazione, per oltre due anni. Il suo martirio rasenta la perfezione, è un modello per il jihadista a tutti i livelli: ha sacrificato se stesso ed ha atteso per molto tempo al fine unico di morire al servizio dello sforzo contro l’infedele, sacrificando con la Taqyya perfino la sua fede, per avere successo, tagliandosi la barba e mescolandosi, vestendosi e vivendo come i traditori della fede, in mezzo a loro, per tutto quel periodo.
Nell’ottica dei terroristi, quindi, lui rappresenta la perfezione:
– tecniche sfruttate con successo mutuate da quelle usate in Iraq, dove anni prima terroristi si univano alla polizia, seminando il panico e uccidendo reclute in attentati suicidi
– la Taqyya, ovvero l’infiltrazione all’interno delle istituzioni turche condotta con successo per un lunghissimo periodo, con l’unico intento di giungere al martirio, quindi sacrificandosi già anni prima di giungere all’attacco
– il sacrificio totale, prima del corpo e dopo nella fede, per giungere al risultato, anni prima di arrivarci, danno una immagine eroica, quasi inumana di un ragazzo di soli 20 anni
– il successo totale dell’attacco, come atto per lanciare un messaggio, senza altri fini, portato a termine con lucida freddezza e capacità, in contrapposizione alla cacofonia e al caos di altre forme di attacco
– la rinuncia alla vita dopo aver portato a termine il proprio compito, e quindi la figura estremizzata del soldato della fede
– il fatto che l’individuo sia riuscito ad infiltrarsi nella maglia più importante e più difficile dello Stato, quella della difesa, che porta una doppia valenza all’attacco in quanto dimostra anche l’incapacità e l’errore dell’avversario, quindi lo mostra vulnerabile proprio nell’aspetto in cui lo dovrebbe essere di meno, quello della sicurezza pubblica.
Questi punti mi portano a pensare che i terroristi tenderanno per molto tempo ad identificarsi con questa persona, potremmo quindi avere una impennata di tentativi di infiltrazione anche e soprattutto sul territorio europeo, con l’intento unico di piazzare delle pedine da muovere ESCLUSIVAMENTE nel momento migliore, per colpire con decisione pochi bersagli molto importanti, magari come in questo caso, che possano portare ad effetti a valanga a causa di implicazioni diplomatiche fra gli stati, o che diffondano ancora di più il terrore fra la popolazione per via dell’incapacità dimostrata nel gestire perfino le persone che, in teoria, dovrebbero essere predisposte alla nostra difesa.
Tutto questo si sarebbe evitato se la Turchia avesse applicato le minime, normali e basilari operazioni di screening per coloro che vengono inseriti all’interno dell’organico per la difesa di obbiettivi così importanti, e questo dimostra anche che, in questo momento e nel futuro, in Europa non potremmo più essere lassisti a riguardo, perché se questa persona adesso rappresenta per i terroristi un modello da ricalcare, è evidente che verrà emulato, ma gli effetti non si noteranno sennon in un lungo periodo e soltanto mettendo assieme vari tasselli del puzzle, quando e se emergeranno.