Prosegue la nostra rubrica “La Voce dei Lettori. Il post, molto articolato, che leggete oggi ci è stato inviato e firmato e noi lo pubblichiamo, comunque in forma anonima, secondo la volontà dell’autore. E’ stato inviato al nostro sito dieci giorni fa lo pubblichiamo oggi dopo le elezioni europee per evitare strumentalizzazioni in periodo elettorale.
Molti partiti conservatori, di destra e neofascisti europei sostengono le ragioni della Russia in Ucraina.
Putin sta costruendo una “Internazionale Conservatrice”?
Il ruolo della sinistra radicale nelle relazioni fra la Russia e l’Europa.
Nell’imminenza delle elezioni europee (nel momento in cui scriviamo queste righe la campagna elettorale è ancora in corso) la crisi ucraina ha posto il tema delle relazioni con la Russia al centro del dibattito politico in Europa occidentale. L’aggravarsi del conflitto ha precipitato i toni e rese più nette e riconoscibili le posizioni. I due gruppi più rappresentati nel parlamento uscente, socialisti e popolari, hanno espresso con decisione il proprio appoggio al governo di Kiev e ad una linea di lealtà atlantica. Diversi partiti minoritari, ma dati dai sondaggi in crescita di consensi, hanno invece solidarizzato con il Cremlino, o almeno promosso un approccio più pragmatico al contenzioso con la Russia.
Questo secondo gruppo di forze politiche condivide in tutto o in parte, oltre alle simpatie per la Russia, altri tratti distintivi come un forte scetticismo per il progetto europeo e per la moneta unica ed il rifiuto del liberalismo e del liberismo a favore dell’intervento statale in economia e del protezionismo commerciale. Talvolta a questi elementi si accompagnano nazionalismo, populismo, conservatorismo e sostegno a politiche migratorie restrittive.
Qual è l’atteggiamento della controparte russa di fronte a questo scenario? Di certo l’approccio del Presidente Putin ha subito una forte discontinuità negli ultimi anni (in particolare dopo il conflitto in Ossezia nel 2008 e la crisi economica dell’Europa Occidentale). Le “relazioni personali speciali” con leader occidentali (Gerard Schroeder, Jacque Chirac, Silvio Berlusconi) hanno prodotto discreti risultati ma questa stagione è definitivamente tramontata con l’uscita di scena o il declino politico dei partners. Il nuovo scenario è maggiormente frammentato, ma avendo come interlocutori soggetti politici e non singole personalità consente di impostare relazioni di più lungo respiro.
Viene naturale chiedersi la natura di queste relazioni, ed in particolare se debbano essere lette come espressione di un indirizzo politico unitario e coerente. Intendiamo proporre una risposta dubitativa: i giochi non sono fatti, e, in particolare, la connotazione ideologica delle mosse russe è, a ben guardare, molto meno definita di quanto non appaia. Putin sta costruendo in Europa una nuova Santa Alleanza, una Internazionale Nera o almeno Conservatrice mirante a disarticolare l’Unione e ad affermare regimi amici di orientamento ultranazionalista e neofascista? Nonostante alcune frequentazioni della Russia in Europa siano senz’altro discutibili, crediamo che questa sia una conclusione troppo affrettata.
1. L’ipotesi dell’Internazionale Conservatrice.
Lo spettro politico europeo, esaminato alla luce della crisi in Ucraina, evidenzia una forte presenza di partiti nazionalisti di destra e di estrema destra fra i sostenitori delle posizioni russe. Si tratta di gruppi molto diversi fra loro: talvolta sigle senza un reale seguito popolare, talaltra grandi movimenti in crescita e profondamente radicati. Limiteremo la nostra rassegna a casi per diversi aspetti significativi come quello Francese, Britannico, Greco, Bulgaro e per nostro particolare interesse, Italiano.
La capofila dei partiti nazionalisti e filorussi è Marine Le Pen, leader del francese Front National. Nel giugno 2013, su invito del Presidente della Duma Sergey Narushkin la Le Pen è stata ricevuta con tutti gli onori a Mosca, dove ha potuto incontrare il Vicepremier Dimitry Rogozin. Nel marzo successivo i Russi hanno incassato il sostegno del partito della Le Pen all’ingresso nella Federazione della Crimea “parte storica della Madre Russia”. Secondo Marine Le Pen la Russia è ingiustamente “demonizzata” in una “sorta di guerra fredda” scatenata dall’Unione Europea. “Ho sentito critiche su come funziona la democrazia Russa” ha dichiarato la Le Pen “Ma il mio lavoro è risolvere i problemi della democrazia Francese. Solo quando avrò risolto tutti i problemi della democrazia francese penseremo a come migliorare quella russa.”
Nigel Farage, leader dell’UKIP, il partito britannico che vuole il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, di ispirazione conservatrice e liberale, accreditato dai sondaggi fra il 13% ed il 18% ha dichiarato di ammirare Putin come statista per il suo approccio alla crisi siriana, anche se ha aggiunto che la stima non si basa su una vicinanza umana o politica. Nonostante questo alcune opinioni politiche di Farage non dispiaceranno certo al Cremlino: “L’Unione Europea” ha dichiarato per esempio in un dibattito televisivo “ha le mani sporche di sangue a causa delle responsabilità nella crisi ucraina”. In buona sostanza Farage, che pure ribadisce “non concordo con quello che ha fatto Putin. Ovviamente no”, aggiungendo che l’Unione Europea è una organizzazione imperialista perché “se stuzzichi l’orso russo con un bastone ovviamente quello si infurierà” si può contare nel numero degli “amici di fatto”.
Più imbarazzanti per la Russia sono le simpatie di alcuni partiti balcanici. I commentatori occidentali hanno ripetutamente insinuato che esistano collegamenti fra il partito xenofobo greco Alba Dorata di simpatie neonaziste e Mosca. Questi tentativi, però, non hanno prodotto risultati definitivi. La “pistola fumante”, ovvero una (presunta?) corrispondenza fra il Prof. Alexander Dugin, intellettuale russo, e Nikos Mikaloliakos, leader di Alba Dorata attualmente detenuto in carcere, non ha avuto riscontri inoppugnabili. Al netto di queste speculazioni, restano alcune surreali dichiarazioni di Nikos Mikaloliakos sulla convergenza di interessi fra la Grecia “potenza ortodossa marittima” e la Russia “potenza ortodossa continentale”: “la Grecia dovrà cedere alla Russia l’accesso ai mari caldi in cambio di garanzie sulla sovranità nazionale”. Gabor Vona (leader del partito ultranazionalista Ungherese Jobbik) ha invece incontrato senz’altro il Prof. Dugin che l’ha invitato nel marzo 2013 a tenere una lezione all’Università Lomonosov. In questa occasione si è intrattenuto anche con figure politiche dell’establishment russo ma, a differenza di Marine Le Pen, si è trattava di funzionari di secondo piano e in veste semiufficiale.
Anche Volen Siderov, leader del partito ultra nazionalista Bulgaro Ataka, come la Le Pen, ha incontrato il presidente della Duma Sergey Narushkin nel 2012. Dopo l’ammissione della Crimea nella Federazione Russa Siderov ha espresso posizioni veementemente russofile, minacciando addirittura di assaltare il Parlamento se la Bulgaria avesse sostenuto le sanzioni dell’Unione Europea, e addirittura lanciando la propria campagna per le elezioni Europee da Mosca. Il presidente della Commissione Europea Manuel Barroso ha insinuato che Siderov sarebbe un agente russo.
Il regista della possibile convergenza fra la Lega Nord è la Russia è Leonardo Fontana, il “ministro degli esteri” della Lega, che tiene i contatti con i francesi di Front National. Alla fine del 2013 una delegazione di deputati di Russia Unita, il partito presidenziale, ha partecipato ai lavori del congresso della Lega a Torino. Le posizioni della Lega nella crisi Ucraina sono state nettamente filorusse. La richiesta insistente di un incontro Salvini – Putin avanzata dai Leghisti sembra ad oggi fantapolitica (fra una delegazione di deputati e il Presidente ci sono molti gradini da salire) e tuttavia Fontana non farnetica quando dice: “Alcuni deputati di Russia Unita erano venuti al nostro congresso e il Front National ha buoni agganci a Mosca”. Ciliegina sulla torta: una bella intervista al Prof. Alexander Dugin sulla Padania “gli Stati Uniti finanziano i nazisti ucraini per alimentare la guerra e indebolire la Russia.”
Tirando le fila di questa nostra rassegna possiamo tentare una descrizione dei rapporti fra la Russia e i suoi nuovi “amici”:
1) Esiste nei paesi dell’Unione Europea una costellazione di partiti di vario orientamento (liberali, conservatori, talora neofascisti) che condividono una generale ostilità per il processo di integrazione Europea ed una simpatia per le posizioni della Russia in politica estera;
2) Alcuni opinionisti ed intellettuali in Europa e negli Stati Uniti (come Pat Buchanan e Mark Sleboda) hanno teorizzato che questa simpatia possa sostanziarsi in una nuova “Santa Alleanza”, “Internazionale Conservatrice”, “Unione di Nazionalismi Senza Confini” basata sulle parole d’ordine fede patria e famiglia.
3) Più difficile comprendere la posizione della Russia, e quella personale del Presidente Putin riguardo a questo disegno. Il Presidente della Duma Sergey Narushkin, ricorre frequentemente nelle cronache: si tratta di una figura importante, ma non di primissimo piano. Una personalità abbastanza conosciuta che si è espressa a favore della costituzione di una struttura permanente di coordinamento delle destre continentali è Sergey Baburin, leader del piccolo partito Unione dei Popoli Russi e rettore dell’Università di Economia e Commercio di Mosca. Sul versante culturale un nome ricorrente è quello del Prof. Alexander Dugin, il maggiore ideologo della corrente di pensiero “Eurasiatica”. Intellettuale immaginifico, narcisista e popolare, Dugin è un personaggio complesso da decifrare, e ancora più difficile è determinare quale sia il suo reale influsso sul pensiero di Putin. Definirlo, come fanno alcuni, “eminenza grigia” o “mentore” di Putin è senz’altro esagerato. D’altronde Putin pare essersi servito di concetti cari all’ eurasianesimo nella costruzione della propria visione geopolitica. E’ più dubbio che l’influenza si estenda anche a questioni più generali di filosofia politica (concezione comunitaria dello stato, relazione fra comunità ed individuo, intervento pubblico in economia). Per quanto Dugin definisca la sua posizione politica in termini di estremo consenso al potere putiniano (con la colorata espressione “centrismo radicale”) è revocabile in dubbio che un analista pragmatico come Putin ricambi l’entusiasmo per un intellettuale tanto astratto. E’ vero che in quello che è stato definito un manifesto del paleo conservatorismo, il discorso sullo stato della Federazione del 12 dicembre 2013, il Presidente ha parlato di difesa dei valori tradizionali. A ben vedere, tuttavia, il discorso reca sottotraccia una chiara matrice di politica internazionale: la difesa delle identità viene vista come un elemento a favore del multipolarismo e contro la globalizzazione atlantica. Occorre tenere conto, tuttavia, che Dugin non è isolato: altri ambienti intellettuali vicini al Cremlino hanno interpretato la linea politica di Putin come una consapevole espressione dogmatica di “sano conservatorismo”.
4) Oltre settanta osservatori europei hanno partecipato alle operazioni di voto in Crimea. L’operazione è stata organizzata con il supporto di una fondazione con simpatie per le tesi eurasiane con sede a Parigi, l’EODE. Fra i settanta figurano esponenti di tutti i partiti politici passati in rassegna (tranne l’UKIP) e di tutti i maggiori partiti di destra dell’Unione Europea. Nella delegazione erano presenti anche tre italiani: Valerio Cignetti di Forza Nuova, Fabrizio Bertot, europarlamentare di Forza Italia e Claudio D’Amico della Lega. Sia per la natura difficilmente interpretabile dell’EODE, sia per la presenza nella delegazione di forze di diverso orientamento politico, ancora una volta questo elemento è significativo ma non univoco.
2. Internazionale Conservatrice: Una Verifica Controfattuale.
Gli argomenti che sostengono l’ipotesi della Internazionale Conservatrice hanno una qualche consistenza, ma non sono sufficienti, a nostro avviso, ad affermare che l’ipotesi è già una realtà. Se procediamo ad una verifica controfattuale, ci rendiamo conto che siamo di fronte al prodotto di elaborazioni che derivano in gran parte da distorsioni propagandistiche. Le classi dirigenti dei paesi atlantici raffigurano Putin come un estremista di destra, un dittatore, un feroce nemico dei diritti umani. Le opposizioni di destra vedono questa immagine deformata e la leggono al contrario, facendo di Putin un paladino delle proprie posizioni tradizionaliste e conservatrici, quando non omofobe, xenofobe, cheauviniste. A sua volta il Cremlino ha percepito che esiste in Europa una vasta area di consenso potenzialmente utile al fine di spezzare l’assedio propagandistico avversario, e vi si avvicina con grande cautela. Difficile dire se questo gioco di specchi deformanti possa alla fine giungere ad influenzare (in qualche imprevedibile modo) la realtà.
Prendiamo in esame alcune, interessanti, circostanze.
In primo luogo occorre rilevare che quasi tutta la pubblicistica apparsa sul tema della “Internazionale Conservatrice” segue una linea argomentativa estremamente ripetitiva. Decine di articoli pubblicati da testate specializzate e riprese da giornali, blog, commentatori politici esibiscono una sospettosa ridondanza interpretativa: le personalità citate, le fonti, addirittura la disposizione del materiale appariono estremamente omogenee. Ovviamente è impossibile individuare un modello originario (ammesso che esista) ma uno studio dell’Institute of Modern Russia a firma Elena Servettaz sembra un buon candidato alla primogenitura. L’Istituto, con sedi a New York e Washington, è Presieduto da Pavel Kodorkovsky, figlio del più famoso Mikahil, l’oligarca riparato in Svizzera dopo una lunga detenzione. Un antenato più remoto (e decisamente più dignitoso) è uno studio del 2009 del think tank liberale ungherese Political Capital, poi coinvolto a livello istituzionale nei programmi di contrasto all’estremismo del Commissariato Europeo per Gli Affari Interni. Una ipotesi è che con l’avvitarsi della crisi ucraina la pubblicistica americana abbia setacciato le fonti alla ricerca di propaganda antirussa imbattendosi nello studio ungherese, rielaborandolo e promuovendone la diffusione virale. Non che questo smentisca la tesi, ma probabilmente ne rivela la matrice.
Va in secondo luogo notato che anche i critici maggiormente accesi devono ammettere che non esiste alcuna prova diretta ed esplicita di finanziamenti di qualsiasi tipo erogati dalla Russia ai partiti di destra europei. Osserva Political Capital, in un recente aggiornamento dello studio del 2009: “il vantaggio che deriva ai partiti di estrema destra, non è necessariamente finanziario, come normalmente ritenuto, ma piuttosto professionale, organizzativo, e di supporto mediatico: ovvero accesso alle reti e know how politico”. In sostanza convegni, gruppi di studio, ONG, think tank. In termini concreti molto poco: il primo grado nella scala della collaborazione politica.
Terzo. Il mito di una Russia omofoba, xenofoba, monolitica trova rispondenza nella pubblicistica occidentale, e, di riflesso, nell’immaginario della destra europea. Ma non è affatto aderente alla realtà. La Federazione Russa è un paese multietnico, multi religioso e largamente decentrato sotto il profilo amministrativo. Cristianesimo Ortodosso, Islam, Buddismo ed Ebraismo sono considerate per legge confessioni paritetiche, in quanto tutte parte dell’ ”eredità storica del paese”. Le minoranze linguistiche ed etniche sono largamente tutelate e sovente sono rappresentate in maniera più che proporzionale nelle amministrazioni locali. Proponiamo solo due esempi della distorta percezione della realtà russa. Nel febbraio 2013 ebbe ampia eco negli ambienti della destra Europea un estratto di un discorso anti islamico (asseritamente) tenuto dal Presidente Putin alla Duma. Il leader russo avrebbe detto: “in Russia vivono i Russi. Ogni minoranza, da ogni luogo, se vuole vivere in Russia, lavorare e mangiare in Russia, deve parlare Russo, e deve rispettare le leggi Russe. Se preferiscono la Shari’a, li avvisiamo che è meglio che vadano in altri posti dove quella è la legge dello stato. La Russia non necessita di minoranze. Le minoranze hanno bisogno della Russia, e noi non garantiremo ad esse speciali privilegi, e non cambieremo le nostre leggi in modo da accontentare i loro desideri, e non ci importa quanto grideranno alla discriminazione”. Chiunque conosca anche solo superficialmente la storia e la tradizione politica del paese, e l’accortezza del suo Presidente, avrebbe dei sospetti. In realtà nessun presidente di un paese con cento minoranze etniche rappresentanti il 20% della popolazione potrebbe fare un simile discorso sperando di conservare a lungo il potere. Infatti, il discorso è un falso. L’approccio tenuto da Putin su queste questioni è quello espresso in occasione del discorso sulla adesione della Crimea del 18 marzo 2014: la diversità e la pluralità sono una ricchezza per la Russia, non un handicap. Un secondo esempio potrebbe essere rappresentato dalla famosa legge contro la propaganda omosessuale, a proposito della quale il Guardian ha scritto parole assai pertinenti: La nuova legislazione non è senz’altro, come attivisti dei diritti gay statunitensi hanno recentemente affermato “una delle leggi anti gay più draconiane del pianeta”. Dietro il fervore polemico, è facile notare alcuni semplici fatti. Essere omosessuali in Russia (diversamente da quanto avviene in più di 40 dei 70 paesi aderenti al Commonwealth in tutto il mondo) non è illegale. Ad oggi, ad oltre sei mesi da che la legge è entrata in vigore, meno di una dozzina di persone sono state multate per “propaganda gay”. Non una sola persona è stata incarcerata. La polizia russa non ha il potere di detenere persone che sospetta semplicemente di essere gay o lesbiche, come il New York Times ha erroneamente affermato l’anno passato. Se fosse così, come si potrebbero spiegare le pubblicità dei club gay a Mosca ed in altre grandi città? E, no, i gay non sono, come protende il sig. Fry, picchiati a morte “mentre la polizia sta a guardare”: se questo fosse il caso, avrebbe la polizia di Volgograd arrestato ed incriminato per omicidio tre uomini che avevano compiuto, a detta degli investigatori “un brutale crimine a sfondo omofobo”? E l’uomo che ha compiuto un brutale omicidio omofobo nella Russia Orientale sarebbe stato mandato in una colonia penale? E il violento che ha attaccato un attivista dei diritti gay per avere avvolto in una bandiera arcobaleno la torcia olimpica durante la marcia dei tedofori nella Russia Centrale, sarebbe assegnato ai servizi sociali? Le autorità dovrebbero e devono essere molto più attente nel punire chi compie certi crimini, ma non esiste assolutamente un terrore sponsorizzato dallo Stato. Un’ottima notizia senz’altro per tutte le persone che hanno a cuore i diritti fondamentali degli individui, ma abbastanza deludente, di converso, per neofascisti europei in cerca di un modello di bigottismo ed intolleranza. Nella realtà la Federazione Russa è un posto abbastanza diverso da quello immaginato da molti europei di destra e di sinistra.
Quarto elemento. Un aspetto che le destre europee tendono a sottostimare è il ruolo primario che l’antifascismo e la tradizione del comunismo sovietico hanno assunto nella costruzione ideologica putiniana. Nel senso comune del discorso pubblico russo l’accusa di fascismo è infamante, mentre la riabilitazione del nazismo è un illecito di rilevanza penale. A differenza che nei paesi baltici, membri dell’Unione Europea, l’esposizione dei simboli del periodo sovietico in Russia non è affatto avversata, ed anzi in occasione della festività nazionale del 9 maggio l’iconografia comunista compare nella massima evidenza a fianco a quella ufficiale della Federazione. “Nel nostro paese onoriamo profondamente la memoria dei martiri antifascisti” ha detto Putin al Bundestag, e se questo non equivale a promuovere l’ideologia comunista, certo preclude un abbraccio con le ideologie di estrema destra, preclusione resa ancora più drastica dalla retorica neofascista prodotta proprio nel corso della crisi ucraina dalla parte filo occidentale. Il Partito Comunista della Federazione Russa è la seconda formazione politica del paese, ed è attestato su una linea di opposizione ma di difesa dell’interesse nazionale e di legittimità istituzionale.
Quinto. I partiti conservatori, di destra o neofascisti non hanno il monopolio della critica alle posizioni dell’Unione Europea nella crisi Ucraina. Grandi partiti di sinistra antagonista hanno assunto una netta posizione anti atlantica. Il leader del Front de Gauche, Jean Luc Melencon, ha commentato così la crisi in Ucraina: “I porti della Crimea sono vitali per la sicurezza della Russia, era assolutamente prevedibile che i russi non avrebbero potuto permettersi di perderli. I russi stanno semplicemente prendendo misure di protezione contro un colpo di stato avventurista, pesantemente supportato da neonazisti”. Simile la posizione della tedesca Die Linke. “La colpa è dell’occidente” commenta Katja Kipping, co-segretaria del partito “Governo Federale e Unione Europea non devono sovvenzionare un governo pieno di fascisti” mentre il Segretario della NATO Rasmussen, sempre secondo la Kipping “è un sobillatore che agisce con logiche da guerra fredda”. In Italia, Rifondazione Comunista ed il Partito dei Comunisti Italiani (con differenza di toni, più distaccata la prima, più veementi il secondo) hanno assunto simili posizioni. La delegazione EODE di ispettori in Crimea non era una scampagnata di neofascisti. Erano presenti quattro delegati della Linke, uno del Partito Comunista Greco (KKE), uno dell’Alleanza Democratica di Sinistra per la Polonia e Tatiana Zdanoka, attivista di sinistra a difesa dei diritti della minoranza russa in Lettonia. Perché nessuno parla della “nuova internazionale comunista”?
Infine. Gli orientamenti filosofici eurasiatici non sono di chiara matrice destrorsa e, men che meno, neofascista. Xenofobia e nazionalismo non solo sono estranei alla tradizione culturale russa, ma ne sono fieramente avversati. “l’eurasianesimo non è né di destra, né di sinistra, né liberale, né socialista. I suoi sostenitori si trovano in ogni campo ideologico che difenda lo statalismo e gli altri valori eurasiatici” ovvero la dimensione pubblica della convivenza sociale. Non esiste un solo motivo per cui un disegno (geo) politico eurasiatico dovrebbe escludere la sinistra socialista e comunista.
In definitiva la cosiddetta Internazionale Conservatrice è oggi come oggi piuttosto una rappresentazione retorica o al massimo una ipotesi di lavoro, che trova deboli conferme nei fatti.
Vladimir Putin è un pragmatico ideologicamente onnivoro. In vista del proprio obiettivo (essenzialmente: la preservazione e se possibile l’accrescimento dell’entità statale da lui guidata) ogni sostegno ideologico è utile ed utilizzato: nel pantheon nazionale, come ricostruito dal Presidente, le glorie dell’autocrazia zarista sono esposte a fianco ai cimeli del periodo sovietico e di quello federale senza apparente soluzione di continuità.
Il Presidente Russo desidera alleati forti e strutturati all’interno delle istituzioni e dei sistemi politici europei. Alleati in grado non tanto di fare implodere l’Unione Europea (obbiettivo poco realistico e forse neppure desiderato), quanto di indebolirla costringendola a rinunciare agli inaspettati appetiti orientali. Probabilmente il dialogo con gli Europei, ed in particolare con la Germania, con cui la Russia ha intrattenuto per decenni ottime relazioni (a dispetto degli Stati Uniti) è ancora l’opzione preferita di Putin.
Tuttavia in questa fase il leader del Cremlino ha bisogno di piazzare un colpo agli Europei, un colpo che li costringa a riflettere su vantaggi e soprattutto sugli svantaggi delle proprie scelte filo atlantiche. Se, come segnalato da alcuni sondaggi, in occasione delle prossime elezioni gli Euroscettici sostenuti dalla Russia dovessero conquistare un terzo dei seggi al Parlamento di Strasburgo arriverebbe proprio questo tipo di segnale. E’ assai probabile che Putin ambisca ad interloquire seriamente con l’establishment Europeo. Nikos Mikaloliakos, Gabor Vona e Volen Siderov non sono il tipo di frequentazioni che un politico sottile come Putin desidera al proprio tavolo. Sono invece ottimi per costringere gli Europei che contano a sedersi al tavolo che il Presidente Russo ha apparecchiato ed a cui desidera accomodarsi da una posizione di forza.
Il matrimonio fra Putin e la destra Europea è un connubio di interessi, non d’amore. E c’è un possibile terzo incomodo. Come nota Clemens Wergin, capo redattore estera di Die Welt, “l’anti occidentalismo viene da entrambi i lati dello spettro politico. C’è la parte di sinistra istintivamente antiamericana che si schiera con qualsiasi attore internazionale possa sfidare lo status quo e compromettere l’egemonia occidentale, e c’è la destra populista, che segue la propaganda russa secondo cui l’Europa è diventata troppo favorevole ai gay, tollerante, permissiva sotto il profilo morale e troppo laica e che saluta con sollievo un leader europeo capace di sfidare lo stravagante multiculturalismo europeo”.
Difficile paragonare questa pragmatica convergenza di interessi al Komintern o alla Santa Alleanza.
3. La sinistra europea di fronte alla Russia.
Per quanto non disdegni di utilizzare categorie politiche astratte, come il conservatorismo e l’eurasianesimo, Putin rimane per formazione e per convinzione essenzialmente un analista aderente alla Ragione di Stato, ed il suo orizzonte ideale affonda le radici nella tradizione politica russa; prima ancora, dei paesi ortodossi e slavi, con i relativi tratti specifici: armonia sociale, ecumenismo ed autocrazia. Nell’ottica del Presidente le diversità economiche, sociali, culturali, nazionali non devono essere soppresse o conculcate, ma devono convivere sotto l’ala protettrice dello Stato, che provvede ad armonizzarle producendo una sintesi. Nel preservare l’integrità territoriale della Federazione Russa, e nel recuperare uno spazio geopolitico che consenta alla Russia di perpetrarsi con i suoi tratti essenziali nel ventunesimo secolo, il Presidente non si mette al servizio delle ideologie, ma se ne serve nella misura in cui costituiscono strumenti adeguati al perseguimento dell’interesse nazionale. Possiamo ritenere per certo che Putin inviterebbe Elton John e Jodie Foster per un grande ricevimento al Cremlino, e li riceverebbe in camicia rosa a fiori, se questo lo aiutasse a scongiurare il declino demografico del paese, o a tenere l’Ucraina lontana dalla NATO. Purtroppo per la comunità LGTB russa, però, le cose stanno diversamente.
Un discorso molto simile vale per le alleanze Europee: chi si candida alla amicizia russa dovrà provare con le proprie posizioni in primo luogo di non nuocere, in secondo luogo di essere utile. Nei confronti di chi saprà fornire un apporto simile il sostegno russo verosimilmente non mancherà.
Questa sfida si pone in particolare alla sinistra radicale occidentale, che appare nettamente spaccata fra esponenti post comunisti dell’Europa centrale, meridionale e orientale (le cui posizioni si sono sommariamente esposte) e i sostenitori radicali della primazia dei diritti civili (del nord Europa). Fra queste posizioni il candidato Presidente Alexis Tsipras ha cercato una difficile mediazione sintetizzabile nel rifiuto del duplice imperialismo atlantico e russo. Forse è il meglio che si possa fare in questa congiuntura: tuttavia è difficile che un sostegno così tiepido possa attirare l’attenzione e la simpatia del Presidente Russo. La sinistra radicale europea ama unirsi troppo spesso al coro atlantico di zelanti maestri sempre pronti a impartire alla Russia lezioni non richieste in tema di diritti umani e democrazia. Sulle questioni internazionali la sua opposizione all’imperialismo statunitense non si traduce in esplicito sostegno alle potenze antagoniste. In conclusione, la sua posizione appare debole ed inutile, ed è difficile immaginare due peccati più mortali agli occhi di Putin.
Come prefigurato da Samuel Huntington nel lontano 1997 la globalizzazione potrebbe innescare delle complesse reazioni, tali da produrre non un unico mondo liberale, ma bensì alcuni blocchi culturalmente omogenei raccolti attorno a potenze guida, in reciproca competizione. Nel caso dovesse verificarsi uno scenario simile (e diversi indizi suggeriscono che l’evoluzione sia proprio questa) è possibile che la lotta politica interna in ciascuno di questi blocchi si polarizzi fra sostenitori ed oppositori del potere costituito. Gli oppositori degli uni convergeranno sulle posizioni dei sostenitori altrui, e ciascuna alleanza si doterà di strumenti militari, politici, propagandistici intesi a conservare sé stessa destabilizzando i competitori.
Queste dinamiche sono famigliari ai paesi non occidentali, abituati ad essere sottoposti alla pressione propagandistica, politica e culturale dell’occidente (pressione che si traduce nelle varie “primavere”, “rivoluzioni colorate” e dissidenze interne, spesso sostenute logisticamente ed economicamente dal blocco atlantico). Sono invece del tutto nuove per gli occidentali, che rispondono a questi vagiti del mondo multipolare con stizzita sorpresa e malcelata indignazione. Si tratta di reazioni a nostro avviso del tutto fuori luogo: incoraggiare la dissidenza degli avversari e colpirli con le moderne tecniche offerte dalla propaganda è un’arma di cui l’occidente sta perdendo il monopolio quale diretta e naturale conseguenza della fine della sua egemonia.
Le ideologie del ventesimo secolo dovranno evolvere velocemente se vorranno sopravvivere in questo contesto. In particolare la sinistra europea è chiamata ad una difficile scelta fra il sostegno alla dirigenza europea, l’irrilevanza politica e l’allineamento con Mosca. Il militante di sinistra europeo che osservi la società russa odierna, anche al di là delle caricature rappresentate dai media occidentali, difficilmente potrà provare entusiasmo. Tuttavia, come abbiamo cercato di dimostrare, esistono significativi elementi di convergenza fra l’immaginario politico russo, anche nella sua colorazione eurasiatica e quello della sinistra radicale: antifascismo, visione multipolare della politica internazionale, intervento pubblico in economia, valorizzazione della dimensione collettiva e sociale dell’individuo. Non a caso in molti paesi dello spazio sovietico i partiti comunisti occupano oggi una posizione ideologicamente compatibile con il sistema di potere costituito, quando non giungono addirittura a sostenerlo esplicitamente. La sinistra possiede anche gli strumenti culturali per depotenziare i possibili punti di dissenso: la diversa valorizzazione dei diritti individuali in Europa ed in Russia può essere derubricata come espressione di specificità culturali locali in relazione alle quali dovrebbe valere il principio di non ingerenza. Ovviamente un avvicinamento al Cremlino (manovra rispetto alla quale le formazioni politiche meno coinvolte dalle revisioni degli anni novanta appaiono paradossalmente più pronte) non richiederebbe svolte rosso brune, o una rinuncia alle lotte per i diritti civili in seno all’Unione Europea: tutto quello che viene richiesto è che si cessi di fare da megafono alle critiche più strumentali della propaganda atlantica ed una chiara presa di posizione filorussa nelle questioni internazionali, culturali e commerciali.
L’ “Internazionale Conservatrice” è oggi, a voler molto concedere, una ipotesi di lavoro cara ai “falchi” sia in Russia che in Occidente. Se questa ipotesi diventerà realtà dipende in primo luogo dal futuro atteggiamento della dirigenza Europea. Qualora dovessero riprendere quota le ipotesi di collaborazione e di pacifica convivenza, probabilmente il progetto rimarrebbe nei cassetti del Cremlino. Ma se i rapporti dovessero ulteriormente logorarsi, allora la tentazione di creare una struttura meno informale potrebbe allettare il Presidente russo. In questa partita la sinistra radicale, accreditata dai sondaggi alla quota non disprezzabile di 52 seggi nel futuro Parlamento Europeo, potrebbe giocare un ruolo importante nel connotare il gruppo filorusso come un polo ideologicamente neutro, basato semplicemente sulla opposizione alla globalizzazione ed alla burocrazia di Bruxelles, magari con un inquadramento culturale ispirato all’eurasianesimo, una ideologia abbastanza vaga da non compromettere veramente nessuno.
Se si dovesse realizzare lo scenario ipotizzato di un mondo multipolare in cui ciascun blocco sostiene gli elementi antagonisti dei blocchi avversari, una simile scelta potrebbe permettere alla sinistra antagonista europea di giocare un ruolo nel ventunesimo secolo. Scopriremo presto se potrà (e vorrà) compierla.