di Marco Bordoni
All’indomani della visita di Alexis Tsipras a Mosca, possiamo sgombrare qualche equivoco e cercare di capire cosa è successo, cosa non è successo, e di interpretare il significato di questo importante sviluppo.
Iniziamo con ciò che non è successo. Putin non ha revocato le sanzioni russe nei confronti della Grecia: “ la Russia e la Grecia hanno sempre mantenuto buone relazioni.” Ha detto il Presidente Russo “Ma le cose, in sostanza, sono andate così: la Grecia ha dovuto votare l’imposizione di sanzioni alla Russia, e le misure di ritorsione hanno certamente danneggiato la Grecia, ma non è colpa nostra. Non potevamo agire diversamente, non possiamo fare eccezione per nessun paese dell’Unione Europea.”. Putin ha aggiunto che la strada per la revoca delle sanzioni passa per il complessivo ritiro delle misure limitative degli scambi fra Unione Europea e Russia. Altra cosa largamente annunciata e non successa: la Russia non ha concesso prestiti diretti alla Grecia per far fronte alla propria situazione debitoria. Alla vigilia del vertice il ministro delle finanze Varoufakis aveva dichiarato: “Dobbiamo essere molto chiari: il nostro salvataggio deve essere concordato al’interno della famiglia europea. Questo governo non cerca una soluzione extra europea ad un problema europeo”. Da parte sua Putin ha detto che la Russia non intende utilizzare la crisi greca come grimaldello per scardinare l’Unione Europea: “A proposito della mitologia e dei cavalli di Troia e tutto l’armamentario: la considerazione sarebbe valida se fossi andato io ad Atene. Noi non costringiamo nessuno a fare nulla.”
Veniamo a ciò che è successo, che non è meno interessante. Putin e Tsipras hanno sottoscritto tre documenti: un piano d’azione congiunto 2015 – 2016, una dichiarazione congiunta sul settantesimo anniversario della vittoria ed un memorandum per la dichiarazione del 2016 quale “anno della Grecia” in Russia ed “anno delle Russia” in Grecia. Il piano d’azione congiunto e il progetto culturale, secondo gli annunci, prevedono la costruzione di infrastrutture comuni, in relazione alla quali la Russia potrà effettuare anticipi di pagamento sui ricavi a beneficio della Grecia. Inoltre la Russia ha annunciato di voler partecipare alle eventuali privatizzazioni greche. Riportiamo le dichiarazioni testuali del Presidente Putin: “abbiamo discusso la cooperazione in vari settori economici, inclusa la possibilità di mettere in cantiere grandi progetti nel settore energetico. Questi progetti possono consentirci non solo di effettuare prestiti in relazione ai piani discussi, ma anche di instaurare rapporti creditizi nel più ampio contesto della realizzazione delle opere. Lasciatemi spiegare nel dettaglio. Se realizziamo una grande infrastruttura produciamo un utile per la Grecia, parte di questi utili dovrebbero essere usati per ripagare i prestiti che ho menzionato. In altre parole, ciò a cui pensiamo non è assistenza ma cooperazione, un cooperazione che include il settore finanziario, in relazione a grandi progetti specifici. Riguardo alla possibile partecipazione di compagnie russe alla privatizzazione di particolari infrastrutture o assetti della Grecia, lasciatemi dire che se il Governo Greco decidesse di mettere in cantiere privatizzazioni, siamo pronti a prendere parte alla procedura. Speriamo che se questo progetto andrà avanti, le compagnie russe potranno partecipare alle stesse condizioni degli altri offerenti. Non chiediamo nulla più di questo.” Questi discorsi alludono ovviamente alla partecipazione della Grecia al progetto Turkish Stream, il successore di South Stream, un gasdotto concepito per portare un volume di 63 milioni di metri cubi che porterà l’oro azzurro ai paese dell’Europa meridionale. dichiarato Tsipras: “I progetti di questo calibro creano possibilità per rafforzare la stabilità e la sicurezza della regione nel suo insieme. Crediamo che ciò serva anche a migliorare i nostri rapporti con la Turchia, pertanto siamo aperti all’analisi delle possibilità per finanziare il progetto, nel rispetto però del framework istituzionale derivante dalla nostra appartenenza all’UE e della legge greca”. Quanto alle infrastrutture da privatizzare, i tecnici pensano alla possibilità che una società russa possa acquistare quote di un porto greco. Ha Meno importanti sotto il profilo economico, ma carichi di valore simbolico, l’omaggio di Tsipras ai caduti sovietici nella seconda guerra mondiale, i programmi di scambi culturali e linguistici e lo scambio di doni cerimoniali (Putin avrebbe regalato a Tsipras una icona trafugata dai tedeschi durante la loro occupazione della Grecia e finita ad un collezionista privato, da cui i russi l’hanno acquistata).
Che valutazione dare di queste mosse? Ovviamente i rapporti greco russi vanno letti nel quadro più ampio delle relazioni fra i due paesi e l’Unione Europea. Nessuno dei due protagonisti dell’incontro di Mosca intende in questo momento portare all’estremo la rottura. Putin sembra avere la chiave per “ucrainizzare” l’ Unione Europea (per usare una espressione di George Soros http://www.controinformazione.info/soros-leuropa-deve-diventare-come-lucraina/) ma una opzione simile non pare di suo interesse. I Greci, da parte loro, paiono esitare e vogliono essere certi di non avere alternative prima di lanciarsi in un salto nel buio geopolitico ed economico. Sia Greci che Russi, però, intendono inviare un segnale a Berlino e Strasburgo, e dalle reazioni scomposte che hanno preceduto e seguito il vertice, possiamo affermare che questo segnale sia arrivato.
I commentatori occidentali, che da tempo teorizzano l’ “internazionale nera di Putin” http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/09/nasce-linternazionale-nera-anti-ue20.html, dovranno aggiornare le proprie linee guida rendendole, se possibile, ancora meno plausibili. E’ già pronta la teoria dell’ “internazionale rosso bruna” http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/31/tsipras-grimaldello-putin-per-disgregare-lue/1383609/, il tutto sullo sfondo di un prossimo, “ritorno dell’URSS” http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/04/ucraina-russia-dopo-la-crimea-il-neocolonialismo-di-putin-prevede-la-transnistria/900715/. A nostro avviso l’ipotesi del collante ideologico e quella del progetto di restaurazione imperiale non trovano riscontro nella realtà. Certo, il patriottismo russo vanta alcuni toni ed alcune tradizioni storiche che possono suggerire una assonanza con la destra e la sinistra euroscettiche. Salvini e la Le Pen troveranno a Mosca un uomo forte (e poco importa se questo uomo rappresenta solo il punto di raccordo di un apparato statale incredibilmente complesso, vario e frammentato sotto il profilo politico, culturale e religioso). Le sinistre post comuniste potranno ritrovare a Mosca quelle falci e martello che inalberano in patria con sempre meno convinzione (cercando di farsi piacere l’amor patrio che tutti i russi, in primis i comunisti locali, manifestano) . Ma gli uni e gli altri andranno incontro a una crudele disillusione se vedranno nella Russia un soggetto disposto a dilapidare patrimoni per finanziare una chimera imperiale. Il 22 luglio 2014, in occasione di un discorso particolarmente significativo al Consiglio di Sicurezza, Putin dichiarò: “Noi, da parte nostra, ci atteniamo rigorosamente alle norme del diritto internazionale e agli impegni presi con i nostri partner, e ci aspettiamo che altri Paesi, unioni di Stati e di alleanze politico-militari facciano lo stesso. La Russia non è fortunatamente un membro di alcuna alleanza. Questa è anche una garanzia della nostra sovranità. Ogni nazione che fa parte di un’alleanza cede parte della sua sovranità.” Chiunque conosca un minimo il pensiero di Putin sa che si tratta di un patriota ideologicamente “freddo” e con il pragmatismo dell’incompetenza in materie economiche. Non propriamente un visionario pronto a guidare masse fanatiche alla conquista del mondo.
La Russia ha già conosciuto i costi di un sistema imperiale, e sa bene che questi sono insostenibili per un paese della sua attuale taglia economica, politica e militare. Certo, esiste il progetto dell’Unione Eurasiatica, ma non si può affermare che questo blando tentativo di recuperare qualche influenza in regioni appartenute alla compagine statale russa per secoli sia un disegno di egemonia mondiale. Per quanto la stampa occidentale insista a volerci infilare l’elmetto per prepararci alla seconda guerra fredda, con tanto di giustificazione ideologica, non c’è nessuna Nuova Unione Sovietica oltre il Dnepr, e non c’è nessuna ideologia strutturata che possa tenere nella stessa formazione politica Tsipras e la Le Pen. Il progetto imperiale ideologicamente giustificato si scorge al contrario sul versante Atlantico, che raccoglie una concentrazione di potenza economica, politica e culturale incolmabilmente superiore a quella della Russia di Putin.
Se vogliamo allora trovare un precedente nella storia europea alla situazione attuale, non dobbiamo fermarci alla Guerra Fredda, ma dobbiamo forse riavvolgere il filo degli eventi fino all’inizio del cinquecento, il tempo di Niccolò Machiavelli. Allora, come ora, gran parte degli assetti di potere economico e politico europei occidentali era raccolta in una grande alleanza politico militare: l’impero degli Asburgo. A questa grande alleanza, ideologicamente sorretta dalla Chiesa Cattolica, e finanziariamente dall’oro delle Indie e dalle banche italiane e tedesche, si opponeva uno stato nazionale potente, ma da solo insufficiente a confrontarsi con il complesso politico militare asburgico: la Francia di Francesco I di Valois. Il conflitto fra Francia ed Impero insanguinò la prima metà del cinquecento, e da questo confronto emerse, con i sui pregi e i suoi difetti, l’ Europa multipolare in cui abbiamo vissuto fino alla nascita dell’Unione Europea.
Fu la spregiudicatezza di Francesco in politica estera a consentirgli di resistere agli assalti imperiali, mettendo anzi in crisi la compattezza dell’alleanza rivale. Basteranno due esempi relativi all’anno 1532. In questa data Francesco, feroce e cattolicissimo persecutore dei protestanti in patria, strinse alleanza con il Sultano Ottomano Solimano, una alleanza anti asburgica destinata a funzionare per secoli, e che portò alla Francia vantaggi incalcolabili. La lettura delle cronache del tempo, e dei commenti costernati degli imperiali, ricorda lo scandalo delle nostre gazzette per gli amici “rosso bruni” di Vladimir Putin: “un vile, infame, trattato diabolico” scrisse l’italiano Giovanni Botero “questa confederazione è stata l’occasione per diminuire la gloria e la potenza di un regno fiorente come la Francia.” tuonò Francois de la Noue. A questi replicava Biagio de la Monluc con una osservazione valida ancor oggi “contro i nemici si posson far frecce con legno di ogni tipo”. Non contento di queste “cattive” frequentazioni Francesco giunse a stringere alleanza con i protestanti tedeschi della Lega di Smalcalda: e fu questa la mossa decisiva che costrinse gli Asburgo a rinunciare alle proprie aspirazioni egemoniche.
Anche i tentativi di Putin, come quelli di Francesco, sortiranno l’effetto sperato (che non è creare un nuovo impero, ma fare sorgere un sistema multipolare dopo avere abbattuto l’unilateralismo americano)? E’ presto per dirlo. Ma la sfida appare effettivamente aperta.
In conclusione: non intendiamo negare che questi eventi possano avere una lettura ideologica (anche se gran parte dei tentativi effettuati sin ora in tal senso appare largamente insufficiente): ma è chiaro che oggi, come nel cinquecento, l’ideologia (sotto forma di proposizione di un sistema di valori coerente e di un avversario metafisico da esorcizzare e combattere) è necessaria all’Impero che si pretende universale (che l’ha effettivamente trovata nella “visione” di Francis Fukuyama), e non allo sfidante che si limita a giocare di sponda sulle altrui contraddizioni.
In questo senso l’incontro di Mosca, pur nelle sue limitate conseguenze pratiche, costituisce un momento chiave del dispiegarsi di una azione politica di importanza capitale per il mondo del nostro tempo.