GeopoliticalCenter, Geopolitica, Strategia, Analisi Economiche

Putin e gli amici europei

amici di Putin

Per la rubrica “Voce dei Lettori” ospitiamo un post di T.F. sul rapporto tra Putin e forze politiche dell’Europa

Negli ultimi anni, in particolare dalla guerra in Georgia del 2008 e durante la guerra in Ucraina dell’ultimo anno, abbiamo assistito al risveglio dell’Orso Russo, ormai insofferente del rango minore cui era stato ridotto dopo la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il presidente Putin sa che il suo è un grande paese, pieno di risorse, e che può contare sul vasto consenso di una popolazione quantomai patriottica e desiderosa di riscattare quelle che vede come umiliazioni subite nell’ultimo quarto di secolo: la fine del blocco europeo orientale, la sconfitta economica e tecnologica, e soprattutto la fine dell’impero russo-sovietico con l’Occidente mai così vicino alla Madre Russia dai tempi delle occupazioni tedesche del 1917-’18 e del 1941-’44. Ci si permetta questa licenza, impero russo-sovietico, considerando un’ideale continuità di obiettivi geopolitici che parte da Pietro il Grande ed arriva a Stalin ed ai suoi successori; e che sostanzialmente viene ora ripresa da Putin. Sintetizzando, vengono considerati vitali per la Russia l’accesso al Mediterraneo (nel quale da tre secoli cerca basi permanenti), il controllo del Baltico e del Caucaso, ed una frontiera occidentale quanto più lontana possibile da Mosca (o almeno protetta da stati amici/satellite).
Gli strateghi russi hanno però sempre anteposto i fattori militari a quelli economici, lasciando il fianco scoperto ad una profonda debolezza economica che può condurre al collasso politico: la Russia è un paese troppo grande per essere occupato, come ben dimostrano i fallimenti di Napoleone e Hitler; ma gli eventi del 1917 e del 1991 dimostrano anche che, in caso di crollo dell’autorità centrale, diviene assai facile perdere quei territori occidentali e caucasici che oggi Putin deve “riconquistare” al suo popolo (nel 1918, il crollo tedesco permise comunque ai Bolscevichi di riconquistarne la gran parte, mentre il resto fu ripreso da Stalin nel 1945). La Russia rimane dunque un grosso esportatore di materie prime non lavorate, armi ed alcune tecnologie “pesanti” (es. nel campo nucleare) ed un grande importatore di prodotti finiti, ed ha dunque un estremo bisogno dei mercati europei per garantire alla propria economia una minima prosperità senza operare una profonda trasformazione che prioritizzi i consumi privati e la libera impresa sull’industria pesante ed il complesso militar-industriale controllati (direttamente o indirettamente) dallo stato e dalla nuova aristocrazia post-sovietica. L’impennata del prezzo del petrolio nel nuovo millennio, ed in particolare tra 2007 e 2014 (con solo una breve pausa dovuta alla crisi globale), ha permesso alle finanze di Mosca di aumentare grandemente sia il sostegno economico e sociale interno, che le spese militari, mettendo in cantiere un ambizioso programma di riorganizzazione ed ammodernamento delle proprie forze armate, ancora in gran parte fornite di vetusti e mal tenuti equipaggiamenti sovietici.
Il crollo del prezzo del petrolio negli ultimi mesi e le sanzioni economiche del blocco occidentale hanno evidenziato tutta la fragilità dell’economia russa, e si conferma dunque con urgenza per Putin la necessità di amici occidentali che vogliano mantenere buoni rapporti politici e commerciali. Il presidente russo non è però un visionario ideologico, e dunque non sceglie i propri amici in base all’ideologia, non avendo nessun interesse per argomenti come l’antisemitismo o la lotta di classe; piuttosto è nel suo interesse un certo grado di nazionalismo, per ostacolare l’integrazione europea ed eliminare dunque un “nemico” ai suoi obiettivi di influenza geopolitica nell’Europa Orientale. Divide et impera: ma non troppo, dato che il suo obiettivo non è nemmeno quello di disgregare gli stati nazionali europei, e non cerca dunque sponde finora nei movimenti indipendentisti (Scozia, Catalogna, Veneto ecc.) A Mosca servono paesi economicamente con un minimo di solidità, oltre che amichevoli, per garantire l’interscambio commerciale necessario all’economia russa. Nemmeno Putin è un nemico dell’Islam ed un campione della cristianità, come alcuni europei vorrebbero presentarlo: un ottavo della popolazione russa appartiene ad etnie musulmane, sebbene molto probabilmente metà di questi non siano per nulla praticanti, ma sono comunque più di 16 milioni (più che in tutta l’Europa Occidentale) di cui oltre 2 nella sola Mosca; il resto della popolazione è in massima parte diviso tra ortodossi russi ed atei/agnostici, più o meno equivalenti nei numeri, più alcune minoranze più piccole (altri ortodossi, buddisti ecc.) La religione, come da sempre, è uno strumento del potere del Cremlino, e non viceversa, come ben dimostrato dall’anomalo sincretismo tra le tradizioni zarista-ortodossa e sovietica, cui si rifà la Russia attuale nei propri simboli. Infine, il carisma di Vladimir Putin presso molti ambienti europei è grandemente aiutato dalla gravissima assenza di leadership e strategia dei leader europei e nord-americani, incapaci di essere veri statisti invece che semplici amministratori o capi di partito.
Il problema, semmai, è che come l’Occidente ha fallito nel leggere le mosse russe del 2013-’14 in Ucraina, così Mosca sembra incapace di capire che il blocco euro-atlantico si sente in dovere di garantire qualunque paese chieda di aderire ai suoi ideali, anche se fuori da legami storici e geografici: la disastrosa escalation che ne potrebbe derivare non è però l’oggetto di questo articolo.
Passiamo invece ad esaminare in breve quali sarebbero i principali referenti di Putin nei paesi europei, secondo la lista rilanciata da diverse testate britanniche negli ultimi mesi:
Atakha (Bulgaria)
Alba Dorata*, Syriza (Grecia)
Jobbik (Ungheria)
FPÖ (Austria)
Front National (Francia)
BNP, UKIP (UK)
Podemos (Spagna)
Lega Nord, Forza Italia (Italia)
NPD, AfD (Germania)
Vlaams Belang (Belgio).

*nome tradotto per la sua fama
In grassetto, i partiti che sarebbero direttamente legati alla Russia, in alcuni casi per finanziamenti dimostrati (come al FN francese), in altri per la semplice, stretta vicinanza dei leader alle politiche di Putin od alla sua persona. Gli altri (UKIP, Podemos, AfD) sono invece partiti che hanno espresso una posizione non ostile alle scelte di politica interna ed estera del leader russo. Vediamo bene come, al contrario dell’ideale di una crociata antifascista in Ucraina, gran parte di questi partiti siano di destra, fino a sfociare in posizioni ultranazionaliste ed antisemite nei casi più estremi (es. Jobbik). Esistono tuttavia anche partiti di sinistra che dimostrano una forte vicinanza alla Russia, come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia: che infatti, già dalle prime settimane del suo governo, ha fortemente riavvicinato Atene e Mosca.
In altri casi, abbiamo invece leader politici che per semplice opportunismo politico ed economico (intercettare le posizioni elettorali più nostalgiche e critiche dell’Occidente, ed evitare ripercussioni nelle forniture di gas e nell’interscambio commerciale) sono stati negli ultimi mesi accusati di eccessiva condiscendenza verso Putin: parliamo dei premier Orban in Ungheria e Fico in Slovacchia, e del presidente Zeman nella Repubblica Ceca. Nessuno di loro ha impedito l’applicazione delle sanzioni alla Russia, anzi nel caso slovacco si è persino permesso di pompare gas verso l’Ucraina. Tuttavia, essi hanno più volte espresso parere contrario alle sanzioni e ad un sostegno diretto al nuovo corso ucraino, e nel caso ungherese la recente visita di Putin in terra magiara ha cementato gli accordi per i nuovi reattori nucleari di Paks con tecnologia e finanziamenti russi, e le forniture di gas; sono inoltre considerati, nei casi ceco e slovacco, vicini a certe posizioni “revisioniste” sul passato regime comunista, anche se la loro militanza nel partito fu breve. Le proteste dell’autunno 2014 a Budapest e Praga, principalmente contro la corruzione ed alcune specifiche leggi, li hanno comunque preso di mira anche per le posizioni filo-russe: che a nostro avviso, sono appunto dettate da opportunismo, nella ricerca di un equilibrio tra est ed ovest ben esemplificato da un colloquio privato dove Orban definisce di prioritaria importanza la Russia per il gas e la Germania per il lavoro, al di là di ogni ideale.
Concludendo, al momento Putin gode di numerosi amici in Europa, pochi di questi sono al governo o hanno speranza di arrivarci, ma alcuni di essi potrebbero arrivare a posizioni in grado di cambiare importanti carte in tavola sullo scenario euro-mediterraneo (soprattutto ad Atene, Budapest, Parigi e Londra). La posizione putiniana, post-ideologica ed assolutamente funzionale al proprio potere ed alla supremazia russa, è pragmatica e studiata, per cercare una sponda in un’Europa della quale teme l’unità politica, l’amicizia americana, e le tendenze anti-russe di alcuni settori, ma della quale ha anche bisogno come partner politico e commerciale prioritario per sostenere la crescita e la prosperità economiche della Russia.