Ospitiamo oggi un post di Alessandro Leonardi su democrazia e populismo. Buona lettura
Nel dibattito occidentale continua ad infuriare la polemica su i cosiddetti partiti “anti-sistema” accusati spesso di minare il processo democratico e di mettere in discussione il benessere occidentale. Le critiche da parte di certi intellettuali, dirigenti e mass media includono spesso l’accusa di populismo, che viene però rivolta a movimenti molto diversi fra di loro, il cui unico fattore in comune è la messa in discussione del sistema di potere attuale, che a livello politico si fonda sull’alternanza fra i partiti socialdemocratici e i partiti conservatori o addirittura sul governo in coalizione di entrambi. La definizione di populismo nel corso della storia è stata spesso usata, strumentalizzata e travisata a più riprese e ha sempre conservato un alone di incertezza e ambiguità. In teoria il populismo, che come categoria politica è apparsa ripetutamente nella Storia a partire dalla fine del 1800, consisterebbe in un processo politico demagogico e anti-elitario, con cui un leader carismatico si legittima agli occhi delle masse. Nella pratica le sfumature sono infinite e tracce di “populismo” si possono ritrovare in tutti i partiti di massa. Basti pensare che negli ultimi anni in Europa sono stati tacciati di populismo movimenti e partiti assolutamente diversi fra di loro, quali Podemos, Movimento 5 Stelle, Syriza, Front National, Fpo, AFD, Ukip, tutti rinchiusi in un unico calderone, mentre negli Usa il campione del “populismo” sarebbe il candidato repubblicano Donald Trump.
L’accusa più grave che si muove a queste forze è quella di mettere in discussione l’assetto democratico occidentale, portando la società verso la “democratura” di stampo ungherese, russo o recentemente polacco; un assetto politico dove l’esecutivo assume ruoli sempre più forti, alterando il bilanciamento dei poteri grazie al consenso del popolo.
In verità la questione è nettamente più complessa e la prospettiva va in un certo senso ribaltata: queste forze, così come il mutamento dei partiti al potere, sono soprattutto uno dei segnali dell’evoluzione della democrazia spinta dal mutamento dell’assetto globale. Se si amplia l’orizzonte si può notare che il cambiamento è iniziato molto prima, con la diffusione della globalizzazione e i mutamenti tecnologici/sociali derivati da essa. Da una parte si è accentuato il leaderismo e il suo contatto diretto con i cittadini a discapito delle liturgie politiche dei vecchi partiti. Le sezioni di partito sono man mano scomparse, così come i dibattiti interni, per essere sostituiti dallo show-business mediatico e da leader costretti a fare le rockstar. Così ora abbiamo presidenti e premier che cantano, ballano, fanno sport, partecipano a show televisivi, dilettandosi su argomenti che nulla hanno a che fare con la politica. Decisioni importanti e pensieri dei vertici vengono spesso anticipati su i social network dai leader stessi, invece che nelle aule dei parlamenti, viste sempre più come luoghi distanti e mediaticamente non appetibili. La politica viene sistematicamente semplificata a livelli imbarazzanti con slogan rapidi e scene ad effetto.
A tutta questa deriva politica-culturale si sovrappone il potere dei tecnocrati a livello internazionale, i quali grazie a innumerevoli trattati, istituzioni e organismi, sono in grado di esercitare un peso notevole sulla sovranità degli Stati. Ma allo stesso tempo, data l’oscura e siderale distanza delle decisioni prese in sedi sovranazionali, creano nei cittadini una sensazione di vuoto e paura oltre che l’immagine di un Sistema fuori controllo, delegittimando ancora di più il loro ruolo. Questo fattore spinge le masse a richiedere leader forti per riprendere in mano la nazione di fronte a migrazioni di massa, terrorismo e crisi economica. Richiesta che incita i politici a cercare esecutivi forti per calmare le acque.
Quindi da una parte abbiamo poteri transnazionali sempre più sfuggenti, oligarchici e dalle pratiche complesse e oscure, mentre dall’altra parte abbiamo la richiesta di una politica nazionale o locale sempre più forte di fronte alle lungaggini e ai rallentamenti dei processi democratici classici.
Un cambiamento che riguarda l’interno modello occidentale e che di fronte a nuove crisi potrebbe spingere verso movimenti autoritari, “populistici” e non, per governare in emergenza i pericoli in aumento.
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Ottima lettura , la ringrazio.